La storia americana ha terribili scheletri nell’armadio, uno di questi è lo schiavismo, finito (si fa per dire) con la guerra civile del 1861-1865.
Django Unchained è il tentativo (ottimamente riuscito) di ripescare questi terribili eventi dal pozzo del dimenticatoio e metterli in bella vista sotto le sfavillanti luci hollywoodiane.
Questo film, seppur ricevuto ottimamente da pubblico e critica, ha ovviamente scontentato coloro i quali non hanno il buon coraggio di fare i conti col passato; costoro si lamentano dell’eccessiva polarizzazione dei personaggi (bianchi cattivi e vigliaccchi, neri buoni ed eroici), ma non si rendono conto che, in prima istanza, la realtà dei fatti del 19° secolo era abbastanza simile e quella ricreata da Quentin Tarantino, e secondo poi, Django Unchained è un film eccessivo per concezione: dal primo all’ultimo frame si gioca sul grottesco, sulla macchietta, sul leggendario e sull’assurdo.
Ma soprattutto, questo film è un ottimo esempio di come si possa fare storia con un buon mix di humour, violenza e passione.
Tra le tante perle e ottime interpretazioni, non si può tralasciare quella di Samuel L. Jackson nei panni di Stephen, l’ “House Nigger” (il negro di casa), ovvero quel particolare nero che, pur di conquistare particolari privilegi quali ad esempio la permanenza nella casa del padrone, migliori condizioni di lavoro e una certa rispettabilità in società, è disposto a vestire i panni del carnefice contro i suoi stessi confratelli neri nel duro lavoro di oppressione del più debole e perpetuazione della schiavitù.
Il fenomeno dell’House Nigger non è certo nato (né morto) con lo schiavismo americano; esempi sono ovunque, uno dei quali siede alla casa bianca.

Titolo originale: Django Unchained
Regia: Quentin Tarantino
Anno: 2012
Durata: 165 minuti
Non aggiungo nulla, tranne confermare l’impressione di Federico. Un film molto diverso dalle banalità benpensanti cui siamo purtroppo abituati.