Il racconto dei racconti (2015)

Madonna che cazzata.
No, sul serio: questo Racconto dei racconti di Matteo Garrone è sinceramente imbarazzante; dalla regia alla sceneggiatura, dal montaggio alla recitazione, dal macGuffin alla morale.
E questa volta, invece della solita sequela di insulti (meritatissimi) al regista e chi gli ha dato i soldi per fare questo sgorbio chiamato film, voglio invece spiegare per bene perché non funziona, che sennò poi pare che tiro giù solo bestemmie.
Si parte.

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nudo femminile prebuscenziale: sembra i film non funzionino più senza

La Storia:

Tratto dal libro seicentesco di Giambattista Basile Lu cuntu de li cunti, una raccolta in napoletano di fiabe popolari dentro una cornice narrativa unificante (alla Decamerone per intenderci), il film decide bene di escludere le novelle più famose come Cenerentola o La bella addormentata nel bosco, per dare spazio a 3 inascoltate fiabe della tradizione popolare antica: La regina, La pulce e Le due vecchie.
La prima racconta di una regina sterile che, pur di avere un figlio, decide di ascoltare un oscuro figuro innominato il quale suggerisce di farle mangiare il cuore di un drago marino cucinato da una vergine; il secondo episodio vede un re appassionarsi tanto alla sua gigantesca pulce ammaestrata da dimenticare i suoi doveri di padre verso la sua unica figlia, la quale viene data in sposa ad un orco delle montagne; la terza fiaba invece gira intorno alle pazze voglie sessuali di un re alle prese con la sua nuova bellissima moglie, una vecchia bacucca dalle sembianze giovanili per merito di un latte materno magico datole da una vagabonda nella foresta.
Le tre storie sono poi collegate per collocazione geografica (tutti e tre i regni confinano) e per un personaggio minore ricorrente, un saltimbanco triste e muto, una sorta di Rosencrantz e Guildenstern del mezzogiorno.
Costui è…

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Massimo Ceccherini

Non sto scherzando: Ceccherini recita (parolone) ne Il racconto dei racconti ed è anche l’unico motivo buono per vedere questo film.
Le sue apparizioni scuotono talmente l’animo da provocare risate incontrollabili e qualsiasi sia l’azione da lui compiuta risulta un capolavoro involontario: fa ridere quando dice <Ué Ué> in napoletano mentre fa finta di eseguire numeri circensi, fa ridere mentre dà delle inutili pacche sulle spalle ad Alba Rohrwacher e fa riderissimo quando l’orco di cui sopra lo ammazza con un cazzotto in testa alla Bud Spencer.
Guarda, è riuscito a farmi scoppiare pure quando lo inquadrano per 3 secondi (e ripeto 3…una cifra) mentre è steso a terra morto, con il sangue che gli esce dalla fronte.

Il resto del film invece non riesce a reggersi sulle sue gambe e annoia parecchio sia il pubblico intellettuale sia quello da popcorn perché ha tentato invano di fondere fantasy, orrore e poetica cercando di dare inutilmente giustizia alle tetre fiabe a cui è ispirato.
Il risultato è un pappone senza ritmo, crescendi emotivi e una suddivisione dell’arco narrativo, tutti elementi invece indispensabili e tipici della tradizione occidentale (sembra più ispirato alla mitologia indiana che al teatro greco).

Qualche anno fa ci fu una serie televisiva chiamata Fantaghirò con cavalieri mostri e maghi; beh, lì questo giochetto era riuscito molto meglio…e ho detto tutto.

Gli Attori:

Presi singolarmente tutti gli attori sarebbero di un certo spessore, fatto sta che qui recitano letteralmente da cani.
Forse è la poca dimestichezza di Garrone con la lingua inglese che lo ha lasciato fuori dal suo ruolo di regista e quindi garante di una continuità stilistica ed una minima coerenza dei generi, forse è che girava molta droga sul set, il risultato è però un’accozzaglia di accenti inglesi senza una ragione logica (madri messicane, padri americani della costa est e figli londinesi…), recitazioni tipo la Rohrwacher col suo inglese da cagna e il tono monocorde ed un generale senso di scollamento tra le parti, come se ognuno ripetesse a pappagallo le sue battute senza preoccuparsi di entrare in interazione emozionale con gli altri attori della scena.
Certo, le poche linee di dialogo (tra l’altro spesso superflue e fuori luogo) e il sovraffollamento di parti senza un minimo spessore o un approfondimento di sceneggiatura non devono aver aiutato gli interpreti, ma non si può assolutamente avere un livello tale di incomunicabilità emotiva tra personaggi e pubblico.

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foto vera: spettatore perplesso mentre guarda Ceccherini fare Ué Ué

Il Montaggio:

Arriviamo alla parte forse più dolente, quella che salta immediatamente all’occhio ad un addetto al settore, quella che fa gridare al dilettantesco con le mani a conchetta come Tarzan.
Io dico, va bene che gli enti turistici locali hanno sicuramente finanziato il film e messo a disposizione spazi altrimenti inaccessibili e quindi si deve ripagare il favore con vedute paesaggistiche italiane che invoglino i turisti stranieri a portare i loro dindini sonanti nelle povere casse nostrane, va bene pure che ai babbioni stranieri (specialmente americani, giapponesi e russi) i castelli e le foreste e i paesini montani e i ruderi e gli animali italici possono far gola e quindi vanno usati per intrattenere.
Va bene tutto…ma non si possono avere 20 establishing shots di Castel del Monte e altri 20 del Castello di Roccascalegna.
E’ ripetitivo, è controproducente, è noioso, e soprattutto è stupido perché pure il popolare adagio recita “il troppo stroppia”.
Qui il montatore è stato talmente cane da usare OGNI volta queste belle vedute paesaggistiche da acquerello seicentesco (“bravo” Garrone, che poetica…) con nessuno scopo se non quello di aiutare il raccordo tra sequenze, e cioè: per minimizzare il trauma visivo del passaggio repentino da una scena in un bosco ad una a corte, si è deciso di usare tutte le sante volte un’inquadratura di intermezzo (in genere un castello) che faccia da passaggio intermedio tra le due ed aiuti a stabilire le coordinate geografiche..
Questa è una tecnica base, giusta in teoria e che viene insegnata in tutte le scuole di cinema; però per grazia di dio poi tutti imparano che le regole si possono e si devono infrangere se non si vuole scadere nel didascalico, nel compitino da quarta elementare.
Basti pensare all’uso delle transizioni creative in Star Wars, uno dei grandissimi elementi di spessore propri del film futur-fantasy per eccellenza.
Purtroppo Il racconto dei racconti casca in pieno nelle trappole per dilettanti e il risultato è un incredibile rallentamento dell’azione (comunque inesistente) e la sensazione di assistere più ad uno spettacolo di burattini che ad un dramma in quattro parti; peccato, perché il montatore Marco Spoletini ha firmato bei film tipo il capolavoro dimenticato Velocità massima, di cui un giorno farò la recensione.

La Scenografia:

Nonostante l’incredibile occasione che Garrone ha avuto nel poter filmare in bellissime locations come Castel del Monte o Castello di Donnafugata, sembra però si sia dimenticato di arredare le scene.
Sapete…un particolare da nulla.
Tipo che stai guardando un re seduto su un trono bianco di marmo con la sua corona e i mantelli e gli invitati e le tuniche e le perle e Ceccherini che fa il giullare uè ué uè e poi intorno a tutto questo c’è il nulla cosmico: le pareti sono nude, spoglie persino dell’intonaco (si pensi che in Africa o in India anche le capanne dei poveracci hanno un impasto di fango e merda a coprire le pareti), e c’è quella sensazione di assistere ad una recita promossa dell’ente turismo e diretta da un regista omosessuale che si è trasferito a Londra perché a Ragusa lo pigliavano tutti per il culo ma ora lui è tornato ricco e spietato e dentro di sé non si sente più quella timida femmenella presa a calci in culo per le strade del paese il giorno prima della processione della Madonna locale.
Avete presente no? Lo Zeffirelli type.

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incoronamento di una regina: due drappi sul muro e un tappetino comprato da Irkam al centro commerciale

Gli effetti speciali:

Una lancia va sì spezzata per lo sforzo produttivo e la ricercatezza nell’uso di effetti speciali pratici: il drago e la pulce in gommapiuma e vetroresina sono reali e appaiono come reali, gli attori possono vederli e interagire con loro in un modo altrimenti impossibile se fossero stati fatti col computer, e questo è un bene.
L’enorme cuore pulsante del mostro marino ha un suo peso che poggia realmente sulle mani dell’attore, questo fa sì che la sua interpretazione ne tragga vantaggio, e posso dire con assoluta certezza quanto questa scelta, seppur costosa agli occhi dei finanziatori, sia totalmente legittimata ai fini della storia fantastica che si va raccontando.
Anche il truppo e parrucco dell’orco e delle due vecchie viaggia su alti livelli e tutto questo non fa altro che dimostrare quanto il cinema italiano abbia ancora molto da mostrare al resto del mondo.
Tutti ci ricordiamo degli splendidi effetti speciali in film come La storia infinita o Labyrinth, meraviglie fatte con le mani e con l’ingegno, e Il racconto dei racconti si inserisce perfettamente in questo canone più tradizionalista.

E allora cosa c’è che non va?
Beh, non va che questi effetti siano gettati lì in mezzo solo perché la fiaba originale ne fa menzione: non basta la presenza nel materiale originario per giustificare una scelta cinematografica; deve esserci una specifica esigenza narrativa dietro.
Prendo ad esempio le due vecchie del terzo racconto per spiegare meglio quello che intendo: Garrone ha scelto due giovani attrici e le ha nascoste sotto una caterva di trucco, pelle finta e parrucche argentate invece di dare la parte a due vere anziane.
Perché?
L’occhio umano è uno strumento sofisticatissimo al servizio del nostro cervello e molto difficilmente si può ingannare questa meraviglia evoluzionistica, tant’è che, nonostante l’ottimo lavoro del reparto trucco, non ho creduto neanche per un secondo che le due donne fossero veramente delle vecchie.
E questo in sé non è un problema: Orson Welles in Citizen Kane recita per metà film col trucco addosso, e va benissimo.
Quello che contesto io è “perché”? C’è un’esigenza specifica per correre il rischio di estraniare il pubblico mettendo una giovane dentro a un costume da vecchia?
Un certo tipo di critica ignorante (filmicamente parlando) potrebbe sostenere che questa scelta è stata voluta per avere una continuità interpretativa, per permettere alla stessa attrice di proseguire la sua parabola emotiva una volta che Dora (una delle due anziane) si trasforma magicamente in una bellissima modella da passerella milanese.
Per i motivi di cui sopra, se si fosse optato per una scelta realistica con il casting, lo spettatore avrebbe sentito uno scollamento tra la prima attrice e la seconda e quindi si è andati con la giovine truccata da vecchia.
…beh, vi svelo un segreto: sono comunque due attrici diverse.
La vecchia e la giovane non sono la stessa attrice, con e senza trucco; sono due diverse ragazze.
E perché? Facile: perché la prima sa recitare ma non è una modella, mentre la seconda ha quel bel culo che serve ad attirare il pubblico becero da Canale 5.
Ci troviamo quindi con una grossa contraddizione totalmente ingiustificata: da una parte si sceglie di far interpretare il ruolo di una vecchia ad un’attrice giovane senza un reale motivo e poi, quando la storia richiederebbe l’attrice di smettere i panni della megera, la si sostituisce con un’altra interprete che è stata scelta unicamente per le sue doti fisiche.
Perché?
Perché?
Perché?

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boh…l’importante è che sia anoressica!

La morale politica:

Le fiabe popolari sono un genere che è nato praticamente con la notte dei tempi: fin dall’antichità, coi primi ominidi radunati attorno al fuoco nelle lande desolate dell’Africa preistorica, si trovava conforto ed intrattenimento nel raccontarsi storie fantastiche per farsi coraggio in una vita altrimenti breve e piena di merda come la scala di una pollaio.
I soggetti di questi racconti erano spesso eroi ed eroine che rompevano coi luoghi comuni, erano personaggi che andavano oltre l’umanamente possibile per raggiungere un’eternità altrimenti negata ai comuni mortali.
Era anche un modo per insegnare dei semplici principi morali, delle regole di condotta che avrebbero aiutato i membri delle tribù a vivere in armonia.
Certo, c’erano mostri leggendari e riti magici e un sacco di stronzate che oggi sappiamo con certezza essere semplice frutto della fantasia di questi primi narratori, ma erano storie belle e facevano sognare quella maggioranza silenziosa il cui unico scopo all’interno di queste prime comunità era scuoiare le pelli, fare i vasetti di terracotta e cucinare stufati di gazzella.
Spesso i protagonisti delle fiabe più famose erano gente comune che si trovava loro malgrado in situazioni fuori dal comune, e questo regalava una speranza (seppur vana) a tutti quelli che vivevano in condizioni di difficoltà.
Storie come Cenerentola o L’ammazza giganti o Hansel e Gretel o Pinocchio parlavano di poveracci, di disgraziati vessati per il solo fatto d’essere nati nella classe sociale sbagliata, e quindi la gente ci si rispecchiava, parteggiava per loro perché in loro vedeva una sorta di rivalsa personale verso le proprie insoddisfazioni quotidiane.
Questo film invece prende un’altra strada e decide di mostrarci le pompose inutili vite dei potenti, dei re e le regine, dei principi viziati senza un cazzo da fare tutto il giorno, e quando c’è la ghiotta opportunità di raccontare cosa passa per la testa di un povero (tipo le due vecchie che di lavoro fanno le tintore e quindi hanno le mani slabbrate dai bagni caldi con agenti chimici irritanti) ecco che tutto si riduce alla semplice aspirazione di salita sociale verso la classe nobiliare; sembra che l’unico sogno delle classi subalterne sia di poter entrare a far parte di quelle superiori, di essere finalmente ritenuti parte di un mondo a loro precluso.
Tutto questo anche quando non c’è alcuna logica, e faccio un esempio: una delle due vecchie riesce con l’inganno a scopare il suo re; quando però il monarca si accorge di aver ficcato il suo reale uccello dentro la vecchia fregna di una povera tintora, pensa bene di chiamare le guardie per farla scaraventare dalla finestra giù per un precipizio di 100 metri.
Sapete come sono i ricchi, no? Un po’ impulsivi…
Quando però la vecchia si salva e viene tramutata in giovine modella, la prima cosa che fa è tornare a letto col re e farsi sposare, anche a costo di rompere i rapporti con l’altra vecchia, sua sorella.
Ora, io dico: va bene che per una poveraccia diventare una regina è sicuramente un’occasione d’oro, ma se uno cerca di ucciderti fiondandoti giù per un burrone per il solo fatto di essere anziana, allora come puoi tornare nel suo letto dopo neanche un paio d’ore?
No, sul serio: è assurdo, anche per un film fantastico.
L’effetto però che produce una scelta del genere è quello di instillare nelle giovani menti di tante ragazze adolescenti il pericolosissimo concetto che “Parigi val bene una messa” e che quindi i soldi sono la cosa più importante in questo mondo.
Bella morale eh?
E lo so che tanti critici non si preoccupano di questo aspetto perché vengono da una scuola di pensiero diversa dalla mia, anzi per la precisione non vengono da nessuna scuola di pensiero se non quella di farsi i cazzi propri a questo mondo che così si campa meglio, ma allora non tentate di farvi passare per intellettuali con una credibilità accademica.
Voi a scuola non ci siete andati, no; voi stavate al baretto con gli amici vostri a farvi i caffettini mentre io andavo a vedere Kubrick.
Sarà una dura verità, ma fatto è che questa roba si chiama “critica cinematografica” e quindi si suppone che l’arte la si osservi secondo una certa lente analitica che ne svisceri sentimenti e intenti; non ci si improvvisa critici, ma lo si diventa con tanto studio e parecchio spirito d’osservazione.

Conclusione:

Il cinema italiano è stato dichiarato morto a più riprese da 30 anni a questa parte, spesso a ragion veduta.
I grandi autori del passato sono scomparsi e con loro è andato un modo di fare cinema che esprimeva delle precise filosofie di vita: dal catto-comunismo di Pasolini al borghesismo di Antonioni, dal socialismo di De Sica all’anarco-capitalismo di Fellini, ogni modo di vedere il mondo aveva una ragione d’essere fintantoché l’artista fosse mosso dalla propria coscienza.

Oggi invece troppo spesso gli autori sono semplici esecutori, dei tecnici, a volte molto preparati, che mettono in scena un carosello sterile su cui fanno salire ignari cittadini alla ricerca di un modo come un altro per distrarsi.
I nostri antenati si raccontavano le storie per sognare e stimolare quindi la  loro fantasia che avrebbe poi creato le innumerevoli meraviglie che si sono realizzate su questo pianeta; gli uomini e le donne di oggi invece sono seduti davanti a un fuoco dal quale ogni tanto parte una scintilla accompagnata da un crepitio.
Non è arte, è acqua che fugge dalle crepe del legno.

VOTO:
1 Homo Erectus e mezzo

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Titolo originale: Tale of Tales
Regia: Matteo Garrone
Anno: 2015
Durata: 125 minuti

I film sono visti rigorosamente in lingua originale.
Se ti senti offeso, clicca qui

Autore: Federico Del Monte

I was Born, I Live, I will Die

13 pensieri riguardo “Il racconto dei racconti (2015)”

  1. Non ha ne capo ne coda. É uno sparacchiamento a zero quasi del tutto ingiustificato su aspetti del film completamente fraintesi. Anch'io posso recensire Ratatouille, obiettare che i topi non parlano e condire il tutto con un po' di insulti, ma starei commettendo un errore: non esprimendo un opinione.

  2. L'articolo è molto lungo e spero di non offenderla soffermandomi solo su alcuni punti. Innanzitutto si fa spesso riferimento alla presunta percezione del pubblico di alcune caratteristiche, come la ripetizione costante di elementi della fotografia (i castelli e via dicendo), assumendo come dato di fatto che questi lo abbiano considerato un aspetto negativo. Io e le persone con cui ne ho discusso lo abbiamo interpretato come un efficacie espediente per dare delle coordinate spaziali e narrative allo spettatore e fare in modo che questi non si perda nell'accavallarsi delle tre storie. In base a che dati sostiene che questa non fosse la loro finalità e che il pubblico non l'abbia (consciamente o inconsiamente) percepito?
    L'interpretazione delle due vecchie da parte di due giovani attrici truccate (benissimo peraltro) e il fatto che questo sia evidente, in modo sottile e non grossolano, non ha forse un valore simbolico? Non da forse un senso di disagio che si inserisce bene nel contesto della storia?
    Il fatto che la vecchia, una volta ringiovanita, diventi una bella gnocca e non una bellezza anonima o eccessivamente particolare, non è forse in linea con il significato della storia, in cui il re abbandona la propria vita di piaceri futili e dissoluti per un amore e una venerazione pura che non aveva mai trovato (un edonista che trova infine la pura bellezza)?
    L'uso degli effetti speciali è secondo me efficace e giustamente misurato, ed esprime giustamente in alcuni (non troppi, non troppo pochi) momenti, quella dimensione di "passerella degli orrori" e del fantastico/mitico, che è un elemento centrale nella struttura della fiaba (qualunque fiaba).
    Non ci siamo forse un po rotti i coglioni di Hansel e Gretel, Cenerentola e Pollicino, dell'uomo che si fa dal nulla, e della Bella Addormentata, che sono peraltro le uniche fiabe compatibili con la filosofia americana dell'ottimismo ad ogni costo e dell'ambizione MAI autodistruttiva che con un regista italiano e un pubblico italiano di un certo livello (non è un film per i fanatici di Transformers) non ha assolutamente niente a che fare?
    Mi fermo qua perchè non ho tempo purtroppo, e mi rendo conto che alcune sono opinioni mie contro opinioni sue, ma dato che abbiamo visto lo stesso film (suppongo), già solo il fatto che possano esistere opinioni così diverse dovrebbe essere un buon motivo per essere più cauti e misurati nel giudicarne aspetti non univoci e assoluti in modo univoco e assoluto.

    Grazie per la consiederazione. E niente da ridire sul modo di esprimersi, dato che non sta scrivendo sul dizionario del cinema ma in un blog.

  3. Grazie della risposta più articolata.
    Certamente come dici bene tu (lasciamo perdere il Lei di epoche fascisto-savoiarde) alla fin fine sono opinioni e infatti (come aridici bene) scrivi su un blog personale e non su un quotidiano a tiratura nazione (i cui recensori peraltro fanno schifo al cazzo, tanto per dare un ulteriore opinione personale) e quindi non devo rendere conto al gusto medio italico che è sempre stato adagiato su un soffice letto di banalità e moralette ben accette dal potere dominante.
    Ed è secondo questo particolare e personale punto di vista che io giudico i film (se non l'hai capito e da alcuni miei passaggi e dal tono un po' generale dell'intero blog).
    Per dirla semplice, io sono un critico materialista marxista leninista umanista ateo anarchico minimalista e decaffeinato (citando il caro vecchio Luttazzi), ed è ovvio quindi che io giudichi quest'operetta reazionaria secondo questa lente critica.
    Senza stare a farti le pulci, mi sempbra tu non sia della mia stessa parrocchia ed è chiaro quindi che tu non abbia colto o non abbia voluto cogliere dei messaggi che a me invece hanno fatto parecchio rizzare i capelli (tipo la morale della storia delle due vecchie).
    Io non sto qui certo a difendere il self made man, che senza offesa c'entra pure poco con le fiabe di Andersen o i fratelli Grimm che erano dei democratici più che dei capitalisti; io qui soto a criticare la scelta di Garrone e del suo sceneggiatore di dare risalto ad una particolare linea morale molto pericolosa secondo la quale le donne sono belle e i maschi sono valorosi.
    Certo ciarpame andava bene nel 1600, ma non certo oggi, specialmente se non riscatti la storia con una sorta di twist (e per favore, non pensare che la principessa fatta regina sia il riscatto femminista di cui parlo perché allora vuol dire che ha vinto la logica troglodita di Game of Thrones seconda la quale ci si riscatta dagli stupri anali diventano regine dei draghi…).

  4. Lasciato perdere la parte etico-morale (che comunque conta molto in un film), mi disciace dirlo ma evidentemente avremmo visot lo stesso film ma con occhi ed esperienza diverse.
    Senza decantare le mie conoscenze filmiche, ti posso dire che ho una piccola discreta esperienza per quanto riguarda l'industria cinematografica e perciò se ti dico che il montaggio era fatto in maniera molto elementare e oltretutto ripetitiva, prendilo come un parere con un certo peso.
    Il fatto che tu e i tuoi amici non abbiate notato il peso di certi establishing shots, non vuol dire che non fossero delle marchette agli enti turistici.
    Ti devo forse ricordare che la maggior parte delle persone si guardano ogni giorno tonnellate di pubblicità senza batter ciglio? Questo vuol dire forse che le suddette pubblicità non siano delle marchette spudorate?
    L'establishing shot si chiama così perché stabilisce una location (una volta e non molteplici volte) per meglio identificare le coordinate geografiche, per dare un più ampio respiro alla storia che si svolge per necessità di cose dentro delle stanze chiuse, e per aiutare un pubblico forse leggermente più disattento.
    I più idioti (per esempio quelli che guardano la televisione) hanno bisogno addirittura della scritta in basso a sinistra che esplicita direttamente il luogo e l'orario, tipo "Los Angeles 7:30pm").
    In questo film, che ho giustamente comparato ad un prodotto televisivo come Fantaghirò, abbiamo le stesse identiche tecniche che ho qui elencato, con la piccola-grande differenza che i serials televisivi sono intrattenimenti generalisti prodotti in serie (appunto) con molta approssimazione e cura per via dei tempi ristretti, Garrone invece voleva vincere l'Oscar.
    Beh, no caro mio: "Il racconto dei racconti" può lucidargli le scarpe a "Via col vento" (vero film epico) o Il mago di Oz (vero film fantasy).
    Per quanto riguarda le due vecchie, credo che tu non abbia capito esattamente quelllo che intedevo; prova a rileggere attentamente quello che ho scritto e vedrai che i tuoi appunti non vanno ad intaccare le criticità che io ho elencato (tanto per dirne una: il trucco e parrucco che tu difendi non era un problema per me; ho infatti scritto chiamente quanto quella fosse la parte migliore del film).

    Spero di non averti annoiato e grazie comunque per aver contribuito con la tua opinione.

  5. Io non sarò nè prolissa e nè sofisticata, questo film è un "cacatone che ti toglie solo la voglia di vederlo", è l'antifavola totale..un ammazzasogni, soprattutto della coerenza cinematografica fra volti troppo noti da cui ti aspetti l'impossibile, montaggi e sospensioni fra le storie..semplicemente terrificanti e scollanti… Signor Federico sposo ogni sua parola e credo che i soldi dati a Garrone o non so a chi, siano stati buttati..tranne quelli per lo stilista, il parrucchiere e il truccatore, che meritano il ripescaggio. Errare è umano e qua hanno errato parecchio, punto, grazie arrivederci 😉

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