La storia di Antonio Ricci, disoccupato romano a cui fregano la bicicletta il primo giorno di lavoro da attacchino e che attraversa mezza Roma alla disperata infruttuosa ricerca della stessa, la conoscono tutti e non mi soffermo qui a raccontarla.

La cosa che lascia più esterrefatti ogni volta che si vede questo film è non tanto l’evidente storia di miseria e distruzione umana sotto e dentro cui passa il povero Antonio, ma è la città decadente in cui si svolge il tutto, una Roma irriconoscibile a tratti, sia rispetto all’oggi, sia rispetto alla propaganda fascista di pochi anni prima: strade deserte con cazzi monumentali bianchi che spiccano solitari e sotto cui trovano ombra i romani, un crogiulo di puttane, sante, ladri, poliziotti fascisti, comunisti da sottoscala e via dicendo che si amalgamano in un unico colore misto come solo Roma può fare, un colore confuso, né acceso né spento, un colore che esiste e che, anche solo per la sua pura esistenza, merita di essere raccontato.
Questa è in fondo l’essenza del neorealismo italiano: fare del furto di una bicicletta qualunque il perno su cui gira una giostra intellettuale di dimensioni colossali.
Nessun commento ovviamente sulle emerite teste di cazzo decerebrate che non apprezzarono il film e che continuano, nelle loro incarnazioni di figli e figlie bastarde, a voler mettere becco nella critica cinematografica sciorinando giudizi negativi su capolavori assoluti solo perché non hanno le capacità intellettuali minime per afferrare siffatte opere.
Stronzi supponenti riccastri di merda.
Arriverà il giorno in cui si farà piazza pulita di voi, come a Bronte.
Libertà!
VOTO:
5 emerite teste di cazzo decerebrate di Andreotti
Titolo originale: Ladri di biciclette
Regia: Vittorio De Sica
Anno: 1948
Durata: 93 minuti
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