C’era una volta l’ignoranza, la più brutta delle bestie, quell’empio mostro che offusca ragione e logica, il parto immondo della sozzura umana che ha dato vita alla religione ovvero alla fiducia cieca in qualcosa senza averne la prova.
Poi si impose il metodo scientifico e un mare di fresche acque sapienti ripulì le stalle di Augia oramai stracolme di preti e merda.
E tutti vissero felici e contenti.
In questo film si parla un po’ di sozza religione, un po’ di spaventose bestie dei mari e un po’ della corruzione dilagante nella contemporanea Russia di Putin, il valoroso guerriero dal naso finissimo.
In una piccola sperduta cittadina russa affacciata sui freddi mari del nord, il meccanico Kolya non vuole vendere il suo terreno (e la casa che vi sorge sopra) al corrotto e grasso sindaco locale perché è convinto che dietro la ragione dell’esproprio ci sia la volontà di costruire una villa della madonna in posizione privilegiata.
Tra una bevuta di vodka, un tiro al segno con l’AK47 e un’altra bevuta di vodka, Kolya e la sua giovane moglie e il figlio adolescente e l’amico avvocato da Mosca cercano in tutti i modi di battere il sindaco sul piano giuridico, ma si trovano davanti un muro d’omertà e servilismo degno della peggior mafia.
Sarà fondamentale l’intervento del potente vescovo locale il quale consiglierà il sindaco di usare la mano pesante perché dio è dalla loro parte.
Lungo e lento (ma non per questo brutto, anzi) film dello stesso regista de Il ritorno che ebbi la profonda fortuna di vedere al cinema nel lontano 2003, questo Leviathan è una silenziosa epopea moderna con protagoniste la passione umana, la sofferenza e la sensazione di minuscolarità di fronte alla potenza del creato e alle sue imperscrutabili leggi; a tal proposito sono fondamentali (oltre che emozionanti) le inquietanti inquadrature del mare in burrasca con in accompagnamento il Philip Glass dell’album Akhnaten, un’opera dedicata all’omonimo faraone egizio che per primo introdusse il monoteismo e l’adorazione del dio sole.
E singolare è constatare come sia proprio il Sole ad essere il gigante assente in questa triste storia priva di lacrime: il villaggio di Kolya è in perenne crepuscolo, con le barche in rovina mangiate dal mare che si specchiano su di un telo d’acqua morto e lucente mentre tutto e tutti procedono nel solco della tradizione col loro fardello di dolori e risentimenti interrotti qua e là da un bicchiere di vodka o una fucilata in riva al lago.
Leviathan è un film bello, di un bello come se ne vedono pochi recentemente: si preoccupa molto poco della pazienza del pubblico e spende tutte le sue energie parlando dell’oggi attraverso metafore bibliche e carcasse di balene.
Mica cazzi.
VOTO:
4 AK47 e mezzo
Titolo originale: Leviathan
Regia: Andrey Zvyagintsev
Anno: 2014
Durata: 140 minuti
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