Un detective senza il benché minimo livello di approfondimento caratteriale si trova a dover indagare sui presunti ripetuti ritualistici stupri di una diciassettenne americana, villica di una cittadina sperduta nel nulla-centro-statunitense; e passo dopo passo, indizio dopo indizio, interrogatorio fatto a cazzo dopo interrogatorio fatto a cazzo, riuscirà a combinare un casino tale che persino lui, agnostico materialista decaffeinato, comincerà a guardare a quel merdoso ciocco di legno intagliato con le sembianze di un uomo orribilmente torturato a morte e da molti incredibilmente scambiato per un dio… con occhi diversi.

Ritorno sul grande schermo per il polemico Amenábar il quale continua la sua personale battaglia contro la stupidità umana e il gregge culturale chiamato società civile.
Questa volta siamo alle prese con la psicologia cacata delle regressioni indotte e le isterie di massa a sfondo religioso tipo le paranoie sulle presunte sette sataniche molto in voga tra gli anni ’80 e ’90.
Nonostante quindi i buoni intenti e una condivisibile visione del cinema come strumento per veicolare messaggi (che stranezza vero?), Regression soffre di alcuni schematismi elementari, una trama telefonata dal 4 minuto e qualche scivolone stilistico-narrativo che affossano il progetto nel cestone delle offerte di Mediaworld.
Un peccato, perché The Others, Agora, Thesis, Mare dentro e Apri gli occhi sono tutti ottimi film; mentre Regression è quello che succede al tuo cervello quando guardi Regression.
VOTO:
2 regressioni e mezza
Titolo originale: Regression
Regia: Alejandro Amenábar
Anno: 2015
Durata: 106 minuti
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