Robert Montague Renfield è un avvocatucolo inglese voglioso di soldi che, imbattutosi nel conte Dracula, trova finalmente quell’ammasso di carne rognosa buona a riempire il suo buco di culo interiore che fino ad allora aveva vanamente tentato di tappare con pugnali e cazzi mosci.
Però, dopo 90 estenuanti anni di servitù della gleba, Robert comincia a non volerne più; perché fare il galoppino per un personaggio monodimensionale come Dracula farebbe uscire la cazzimma a chiunque e quindi Robert cerca di emanciparsi con terapia di gruppo e buone dosi di fica asiatica.
Il padrone non la prenderà molto bene e molto sangue verrà inutilmente versato.
Uscito come una scureggia dal cappello da quello che doveva essere l’universo mostri della Universal, Renfield è stato martellato come dal carrozziere facendolo diventare una commedia degli estremi con abbondanti dosi di violenza ed azione che vanno sempre bene in un sistema fascio-liberale quale quello in cui viviamo.
Il nostro Renfield infatti, lungi dal controbattere alla natura padronale del conte, vuole semplicemente la libertà di comprarsi il maglione frocio e questo misero sogno consumista è esattamente il tipo di inutile battaglia individualista che non mette a repentaglio l’ordine piramidale costituito e per questo è una battaglia che viene promossa dai liberali.
E l’eccessiva ed inutile dose di violenza che il film riversa sul pubblico nel tentativo di tramutarsi in satira grottesca non riesce invece a mascherarne la natura assolutamente contro-riformista e semmai lo distanzia ancor di più da vere pellicole autarchiche ed adorabilmente rivoltanti come Tokyo Gore Police.
Anche il grottesco Nicolas Cage calato a calci in bocca nel grottesco personaggio di Dracula appare contenuto dentro un potente schematismo invisibile ed è quasi sprecato, conoscendone le potenzialità.
Un peccato, perché l’idea c’era e molte cose sono fatte bene. Quello che manca è lo schieramento culturale.
VOTO: 3 avvocatucoli
Titolo argentino: Renfield: Asistente de vampiro Regia: Chris McKay Durata: 1 ora e 33 minuti
Chi non conosce la famosa saga con le automobili che sfrecciano sull’asfalto coi culi delle donne in primo piano e la musica tamarra in sottofondo?
Beh, probabilmente in molti visto che ho scoperto, sorbendomi TUTTI e 9 i film, che in realtà si abbandona ben presto il formato adolescenziale dei primi episodi per abbracciare quello tardo adolescenziale della guerra permanente americana che foraggia l’elite liberale con palate di milioni di dollari sottratti alla classe lavoratrice che, oltre al danno, riceve pure la beffa di vedersi investita col passeggino mentre questi 4 scalmanati giocano a fare gli stronzi per le strade di mezzo mondo.
Ecco a voi lo scempio, porca madonna:
Fast and Furious (2001)
Brian O’Conner tira forte la cocaina dal cofano delle macchine parcheggiate alla Conad perché a Brian O’Conner gli tira il cazzo. Ma Brian O’Conner è un piedipiatti, mortacci sua. Un piedipiatti che deve trovare chi cazzo è che sta rubando dei preziosissimi lettori DVD del 2000. Gli occhi sono puntati su Dominic Toretto, un uomo grande e grosso e glabro con la sorella fregna entro cui Brian O’Conner sta disperatamente tentando di entrare ungendosi il cazzo di olio di vasellina, ma incastrarlo è una bella gatta da pelare e Brian otterrà soltanto un bel bocchino nel reparto pane della Conad.
2 Fast 2 Furious (2003)
Brian O’Conner è diventato un maledetto pimp my ride e se la scoatta a Miami con altri sfigati come lui con la fissa per le macchine colorate come un gay pride e rumorose come gli zoccoli per le strade di paese mentre verremo a prenderli pei capelli per poi bastonarli forte sui denti con lacrime e sangue a fiotti dai loro occhi di merda. In sostituzione di Toretto, impegnato a districare il cazzo da un rovo di more, abbiamo un’altra minoranza dipinta come rissosa, arraffona ma col cuore al posto giusto come i vostri cani, un nero.
The Fast and the Furious: Tokyo Drift (2006)
Cambio totale di cast e location ed eccoci in Giappone con il giovane Sean Boswell, teppistello con genitori separati che sfoga la sua rabbia giovane con macchine veloci e tagli di capelli da sfigato. Nella terra del sol levante troverà pane per i suoi denti… e molta gente che parla inglese così da non avere sottotitoli per i pigri spettatori. La cosa importante da ricordare per questo film è che sono 1 ora e mezza di rumorosissime derapate che vi faranno scapocciare come il papa buono.
Fast & Furious – Solo parti originali (2009)
Tornano in scena i nostri Dominic e Brian, separati in casa per una storia di cioccolata e piedi sporchi, che dovranno vedersela con Arturo Braga (non imparentato con il più celebre Mario Brega) e un commercio internazionale di droga. Una piccola parte viene sorprendentemente affidata ad una giovane e sconosciuta Gal Gadot, prima di fare il botto con le colonie illegali israeliane in territorio palestinese e una pioggia di bombe vere durante il crimine di guerra chiamato “operazione piombo fuso”. W il popolo palestinese. A morte lo stato d’apartheid israeliano.
Fast & Furious 5 (2011)
A Rio de Janeiro ci sono le favelas porca madonna. Le favelas! Ma a noi liberali del cazzo ci frega sta minchia dei poveri; noi vogliamo glorificare i nostri privilegi sfrecciando con le macchine veloci per le strade, seminando il panico tra i proletari che si fanno il mazzo tanto per 40 anni costituendo la base della piramide sociale sopra cui sediamo noi. Soldi soldi e soldi. Polizia cattiva, ma in fondo meglio la pula che i criminali come Hernan Reyes che io quasi quasi ci faccio cumunella con i cani del potere che coi loro suv enormi scheggiano e rovinano le già malandate strade di Rio de Janeiro. Mamma come godo a veder soffrire il genere umano! Dwayne Johnson imprime la virata action verticista a quella che fino ad ora era una serie su macchine veloci e culi pubescenti mentre Vin Diesel pensa di parlare spagnolo quando dice “Salud me familia!”.
Fast & Furious 6 (2013)
Dominic e i suoi compari hanno fatto i soldi veri, tipo 100 milioni di dollari ognuno che quasi quasi ci compri un attico a Milano. Ma Dwayne The Rock Johnson sorprende Dominic Pelato Toretto mentre sta pisciando per dirgli che la sua vecchia fiamma Letty è ancora viva e sta lavorando per Owen Shaw, un criminale cattivo cattivo. E allora: perché non ci mettiamo assieme a dare la caccia a questa lestofante che io poi ti faccio riunire con la tua amata te lo giuro porca madonna te lo giuro potessi famme incula’ dal primo che bussa a quella porta?
Fast & Furious 7 (2015)
Il fratello del cattivo del precedente episodio vuole vendicarsi riempiendo di mazzate il signor Toretto e compagnia cantante, ma non ha fatto i conti con la perseveranza dell’alopecia e la magia della coca colombiana. Nel frammentre Letty riacquista la memoria del suo terribile matrimonio con Dominic in canottiera e cavezza d’oro e tenta il suicidio assistito in Svizzera. L’episodio è felicemente famoso perché l’attore Paul Walker carbonizzò dentro la macchina di ritorno da una pesca di beneficenza con le suore di Nevers e si tentò l’impossibile per farlo apparire durante tutto il film spiaccicando la sua faccia computerizzata sul corpo del fratello minore. Una cosa da denuncia.
Fast & Furious 8 (2017)
Dominic e Letty portano scompiglio nella tranquilla repubblica socialista cubana distruggendo proprietà pubblica e impaurendo i ridenti cittadini cubani perpetuando così lo stereotipo dell’americano poliziotto de stocazzo che dovrebbe essere bruciato in pubblica piazza facendo poi pisciare i bambini sul cadavere carbonizzato di Paul Walker. Non domo, questo gruppo paramilitare capitanato da Mastro Lindo riesce pure ad assassinare barbaramente dei giovani soldati russi che proteggevano un arsenale atomico facendo rapidamente precipitare l’allarme di una catastrofe nucleare a Defcon 5. Da notare che Toretto scopre di avere un figlio con una bianca e per tutto il film deve cercare di ammosciare l’inevitabile erezione che ne consegue.
Fast & Furious 9 – The Fast Saga (2021)
Dominic ha un fratello di un’altra razza, ma nessuno ci fa caso. Quando però il padre salta con la sua macchina da corsa sulla recinzione della pista da corsa per brillar di luce fascista grazie alle fiamme purificatrici dentro le quali dovremmo gettare la carta straccia tipo Giorgetti, allora sorge il problema dello schiaffo dello soldato. Ovvero: hanno ammazzata papà Toretto, chi sia stato non si sa, forse quelli della mala oppure la pubblicità. In questo episodio si raggiunge letteralmente l’apice sparando una macchina direttamente nello spazio.
Biopic parodia sul famoso musicista parodico chiamato Alfred Matthew Yankovic, o più romanticamente “Weird Al”.
Tra rocambolesche ed effervescenti situazioni al limite dell’assurdo ed una carrellata di comparsate più o meno famose senza un vero capo né coda, il film si presenta per la verità come una fasulla reinvenzione a fini comici della prima parte di carriera di Weird Al.
Non è un capolavoro e non fa morire dal ridere, ma la simpatia del protagonista, interpretato da quel tappo di Harry Potter in forma fisica smagliante e con una piccola fica di peli sul petto che levati di torno, e il gioco a tirarla sempre fuori dal campo ne fanno un qualcosa di buono.
VOTO: 3 piccole fiche
Titolo originale: Weird: The Al Yankovic Story (2022) Regia: Eric Appel Durata: Compralo: https://amzn.to/40vZWeP
Una piccola troupe televisiva sta girando un filmetto di serie b sugli zombie quando improvvisamente i nostri prodi si ritrovano attaccati da zombie veri.
Spintoni, ramanzine e allegorie del Duce faranno da contorno ad un film che sembra una cazzata e che invece va visto, letteralmente, fino in fondo per comprenderlo appieno.
Commedia senza scuregge e siamo già un passo avanti; se poi ci si mette un simpatico piano sequenza da mezz’ora, un twist risolutivo di molti dubbi (e molte gag) e quello humour giapponese non eccessivo che trova un suo perché nello scovare il bambino che è in noi, ecco allora che il film risulta godibilissimo.
E’ un metacinema che riavvicina al cinema artigianale delle origini, tenendo però in considerazione i 100 anni e passa della celluloide.
VOTO: 3 celluliti e mezza
Titolo originale: カメラを止めるな! (non fermare la cinepresa) Regia: Shin’ichirō Ueda Durata: 1 ora e 36 minuti Compralo: https://amzn.to/3Y5HiZt
Un ricchissimo miliardario scemo con le mani in pasta in parecchi settori, tra cui crypto ed aerospazio, invita i suoi vecchi amici succhia-mammelle per un weekend matto sulla sua isoletta privata con l’intento d’intrattenerli facendoli giocare al gioco dell’assassino misterioso, uno dei tanti dispendiosi modi che i ricchi hanno per non morire annoiati nei loro banali pensieri mediocri.
Lo scemo non ha però preventivato l’arrivo sul fittizio luogo del delitto della sua vecchia business-partner ed attuale rivale in tribunale Cassandra “Andy” Brand, nonché il più famoso detective al mondo, Benoit Blanc e le sue gote rosso ‘mbriacone.
Simpaticissimo e riuscitissimo sequel di quella cacata liberal-prog dei miei contro stivali che ho avuto la sfortuna d’incontrare lungo il cammino di nostra vita, che uno si chiede ma come cazzo è possibile farsi venire i solchini al culo per la rabbia quando poi d’emblee quella merda dà vita a una bella creatura nera nera la mamma o chiamma Ciro sissignore o chiamma Ciro?
E invece eccomi qui ad elogiare questa presa per il culo, finalmente senza moralismi dozzinali, dei salotti liberal zeppi di ricchi idioti che leccano rovinosamente lo sfintere anale di personaggi quantomeno discutibili tipo il qui parodiato Elon “autismo” Musk.
Bene, anzi benissimo, tra piacevoli risate ed un rinfrancante sospiro di sollievo nel constatare che c’è ancora qualcuno che rispetta la sacrosanta porca madonna regola di non tenere totalmente all’oscuro lo spettatore con la convinzione di fare un buon lavoro, ma invece lo fornisce di quegli elementi investigativi che alla fine gli faranno sentire, seppure per un attimo, che ha potuto partecipare al gioco ad armi pari.
Insomma, l’opposto di quel vomito per cerebrolesi di 1899.
VOTO: 4 cerebrolese
Titolo originale: Glass Onion: A Knives Out Mystery Regia: Rian Johnson Compralo: https://amzn.to/3vHOoXC
Nel 2024 gli Stati Uniti d’America sono una landa desolata sconvolta da una recente guerra nucleare e i sopravvissuti girollanz gironzano ginronzalon, vagano vagano vagano.
Roba già vista, stravecchia, che palle; tutto vero, anche se il film è abbastanza vecchio da precedere pure quel Mad Max che a molti sarà venuto in mente, e però una cosa diversa ci sta ed è quella che poi lo contraddistingue, tra le poche varie, per stranezza e cioè, il cane telepatico con cui il giovane protagonista conversa e trama crimini e sopravvivenza all’insegna del menefreghismo etico, tipico dei liberali.
Pasticciaccio che, nonostante gli spunti interessanti, tra cui una stramba e stralunante amoralità pervasiva in tutti i personaggi che animano la vicenda, non riesce a stupire e ad imprimersi come opera bella.
Simpatico forse, curiosamente grottesco, ma non certo un capolavoro. Titolo italiano da manicomio.
VOTO: 3 curiosi grotteschi
Titolo originale: A Boy and His Dog Regia: L. Q. Jones Durata: 1 ora e 31 minuti Compralo: https://amzn.to/3W1Oyo9
Il ragioniere Ugo Fantozzi è un italiano molto piccolo borghese che lavora per una grande ditta petrolchimica parastatale, ha piccolissimi sogni da micro arrivista (la scopatina con la collega, la gita al lago, la promozione tramite leccatona di culo del mega-direttore) ed è talmente instupidito dal falso boom economico che non ne ha minimamente elevato la condizione d’ignorante proletario da non rendersi neanche conto che il suo girare come un criceto sulla ruota della gabbietta è così funzionale e imprescindibile al sistema piramidale che lo schiaccia ogni giorno in fondo al pozzo colmo di merda da smuovere perfino il divino mega direttore galattico nell’unico suo momento di consapevolezza politica.
Prima trasposizione cinematografica per il famosissimo personaggio creato da Paolo Villaggio che risente inevitabilmente della natura episodica dei racconti brevi da cui il film è tratto, ma che riesce comunque a ritagliarsi una sua dimensione che si distanza anche dalle sue origine letterarie per approdare su lidi quasi surreali e cartooneschi.
Bravo Villaggio nel creare una macchietta epica e bravissimi i simpatici caratteristi che spingono Fantozzi a destra e manca tra cui ricordiamo l’indimenticabile talpa Filini, l’eterna signorina Silvani e quella canaglia del geometra Calboni che in quest’altro film tentava di sturarsi Alberto Sordi tramite il suo orifizio anale.
Ma le due cose più interessanti che ho imparato oggi sono:
1: Liù Bosisio, dopo aver interpretato i primi due film della serie, decise di allontanarsi dal personaggio di Pina per non venire identificata unicamente come la moglie di Fantozzi; tornerà sui suoi passi solo una volta per SuperFantozzi, film che segnerà anche con la sua ultima apparizione televisiva. Come doppiatrice invece Luisa ha dato vita a Marge Simpsons, Hello Spank e Doraemon!
2: il regista Luciano Salce, dopo due anni di prigionia in un campo di lavoro nazista nel quale gli verranno addirittura estratti alcuni denti d’oro che lo sfigureranno a vita, scrisse sul suo diario “1943-1945: due anni difficili”.
VOTO: 3 Salce
Titolo: White Collar Blues Regia: Luciano Salce Durata: 1 ora e 48 minuti Compralo: https://amzn.to/3H8rRKK
Poveri razzisti messi in croce per il loro essere esclusi dal discorso politico, ratti ladruncoli figli di una zoccola di dimensioni meloniane, alieni senza sensi che s’impossessano dei corpi altrui come fossero partecipanti ad un convegno di Confindustria, sgorbio di donna che dà ragione a chi non si fida delle racchie, demoni muse di artisti falliti, fratelli che hanno un’attrazione malsana per le sorelle e le seguirebbero in capo al mondo se solo gliela dessero, strafattoni si riuniscono per un sabba interstellare finendo molto ma molto male ed infine un pover’uomo che è tormentato dal fantasma della moglie viva ma che da quando è morta la figlia si è tramutata nel fantasma di sé stessa.
Un’antologia dell’orrore confezionata per Netflix da Guillermo Del Toro che non convince proprio; in parte per la predominanza di episodi concepiti male e sviluppati peggio (Lot 39, Pickman’s Model e Dreams in the Witch House su tutti) e in parte perché manca proprio l’elemento di curiosità da risvegliare nello spettatore che di questi tempi, a meno che non sia un cerebroleso, ha bisogno di ben altro per venir destato dal torpore immaginifico nel quale si ritrova sommerso fino alla bocca di ciavatta che si ritrova.
Eccezione alla mia veemente critica la fanno gli ultimi due episodi; veri e propri gioielli da che da soli valgono il prezzo del biglietto:
The Viewing è un concentrato di stile (un po’ forzato, ma indubbiamente azzeccato) ed ironia che non vedevo da tempo; non si prende sul serio ma non per questo rinuncia a volerti mettere paura e, anche se non è originalissimo, né per trama e né per splatterate, mena il can per l’aia che è una bellezza.
The Murmuring è un gran classico, quasi seicentesco col fantasma che non trova pace, eppure risulta fresco come un paio di calzini di minorenne appena usciti di lavatrice. La semplice ricerca di un’uscita dal limbo emotivo nel quale è caduta la donna protagonista non è nient’altro che l’immagine simmetrica della ricerca di pace dei fantasmi che la perseguitano, con il marito ad essere il vero ed unico veramente in balia di fenomeni oltre l’umana rassegnazione.
Quindi: Saltate tutta la serie e concentratevi su questi due.
VOTO: 2 paia di calzini
Titolo esteso: Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities Regia: Guillermo Navarro, Vincenzo Natali, David Prior, Ana Lily Amirpour, Keith Thomas, Catherine Hardwicke, Panos Cosmatos, Jennifer Kent Durata: 8 episodi da 1 ora
Ho detto camminano? Scusate, intendevo rompono il cazzo e chiunque e la qualunque senza che si riesca a porre rimedio a questo casino della madonna che tipo uno va al drive-in e si ritrova mangiato da un tirannosauro rex sbocconcellato come fosse un sacchetto di popcorn e buonanotte al secchio.
E però c’è Owen, il domatore di dinosauri che su wikipedia è meravigliosamente descritto come uno che di lavoro fa l’attaccabrighe e spero che la cosa non venga mai corretta. Owen che col suo sorriso tenerone ed il cazzo che è un abbacchio saprà farsi valere contro cattivissimi dinosauri e capitalisti liberali con la sola imposizione delle mani.
Film conclusivo di una trilogia che non aveva molto senso di esistere, ma è andata così e ora ce la teniamo.
Ritorno per i vecchi attori del primo capitolo che arrancano malamente sulle grucce con le quali si sono trascinati dalla loro casa di riposo e stretta di mano puzzona con quelli nuovi che anche loro si avviano alla terza età; aggiungeteci scene senza senso tipo quella del laser che ti condanna a morte che se hai visto il film hai capito a che cazzo mi riferisco e sbrindellateci in cima una sana dose di cancro alle ovaie che non fa mai male ed eccolo là: avrete un prodotto che definirlo nauseabondo è praticamente un complimento.
Porco dio (è un po’ che quel cane non faceva capolino da queste parti).
VOTO: 2 cani
Titolo originale: Jurassic World Dominion Regia: Colin Trevorrow Durata: 161 minuti (versione estesa) Compralo: https://amzn.to/3UCjRFM
Roma negli anni ’70 era una città gonfia di miseria e menefreghismo e quel poco che la giunta di sinistra a guida comunista riuscì a fare durante i pochi anni al governo della città eterna sono stati solo una goccia nel mare del magna magna istituzionalizzato che Roma rappresenta da praticamente 2000 anni.
E in questo film, sulla collina Monte Ciocci, a pochissimi passi dal Vaticano, a mettere in scena tutto quel carico di dolorosi scappellotti in pieno volto, abbiamo una folta manata di personaggi così borgatari che siamo oltre il neorealismo e andiamo a sondare il terreno del ridicolo e della macchietta.
Tra questi, c’è l’immigrato terrone Giacinto e la sua numerosa famiglia di piedi neri i quali, tutti assieme come nella prigione a cielo aperto chiamata Gaza, vivono in una baracca di mattoni e lamiere condividendo giacigli e sofferenze come neanche durante la repressione guerrafondaia nazista del governo ucraino golpista contro i civili russofoni del Donbass.
Ma Giacinto ha un asso nella manica, un milione di lire, frutto di un premio assicurativo per aver perso un occhio a lavoro, che lui tiene stretto stretto come un buco di culo nelle docce di Rebibbia, mentre moglie, figli e nipoti sognano di fottergli le banconote per soddisfare i loro tanti e irrisolti desideri.
Molto astio.
Pellicola romanissima e allo stesso tempo quasi un prodotto da esportazione, con tutto quel carico da dodici di personaggi oltre il pasoliniano (un colpo al cuore l’apparizione mariana di Ettore Garofolo, giovane di belle speranze in Mamma Roma e qui ridotto al ritratto di un tricheco col viso striminzito).
Indubbiamente da applausi il coraggio di Nino Manfredi nel ficcare piedi e mani negli acquitrini pisciosi della baraccopoli dove si svolge il film e anche nell’interpretare un personaggio così ripugnante come Giacinto Mazzatella, ma forse la pellicola vale più per la denuncia, purtroppo quasi sterile, fine a sé stessa, che per il valore prettamente filmico.
VOTO: 3 Ettore Garofolo e mezzo
Titolo inglese: Ugly, Dirty and Bad Regia: Ettore Scola Durata: 1 ora e 55 minuti Compralo: https://amzn.to/3T9Mx7e
Amber è una trentenne gattara con un decentissimo paio di tette sode che da quasi 10 anni lavora in un ristorante di una famosa catena finto-italiana ai cui tavoli viene servita la famosa pasta Alfredo.
Selezionata per un viaggio premio aziendale nel bel paese da effettuare seduta stante, Amber quasi si piscia sotto dalla contentezza d’evadere da un’esistenza di falsi sorrisi ed incroci su strade americane desolate.
Purtroppo per lei questa spedizione punitiva in terra italica si rivelerà essere un incubo da cui sarà difficile svegliarsi, a meno di fare pace col proprio difficile passato e mettersi in marcia con le proprie forze verso il sol dell’avvenire.
Divertentissima commedia solo apparentemente dedicata ad un pubblico femminile ed invece godibilissima da chiunque.
Ottima scrittura, simpaticissime interpretazioni (caricaturali, ma in puro stile americano) ed un buon ritmo che tira via per i viottoli ciottolosi l’intrigante filo narrativo sono gli elementi un film che cazzo madonna fa il suo stratacazzo di dovere.
Slava Pasta Alfredo!
VOTO: 4 pasta alfredo
Titolo russo: Кружи меня Regia: Jeff Baena Durata: 1 ora e 44 minuti
Dylan Dog è uno spocchioso universitario romano che (con)vive una relazione platonica con uno spilungone vestito alla zuava e che allo stesso tempo trova il tempo per infilare il suo sottile pene coperto da un astuccio di pelle di foca dentro le fiche di donnette con la sindrome del paparino che lo vedi papà? mi scopo i peggio stronzi! E’ tutta colpa tua! Non mi hai mai amata!
Qui Dylan, dopo essersi pulito il glande dalla stomachevole saliva di Groucho, prende in mano il cazzo caso di Adele e del fantasma di Beatrice Cenci, quindicenne assassina del “padre orco” e per questo morta decapitata nel sedicesimo secolo per mano del Papa Re.
Giovane operazione crowdfunding per la giovane regia del giovane Claudio Di Biagio (Freaks) e la giovane sceneggiatura del (non)giovane Luca Vecchi (The Pills) ed tenero omaggio al famoso indagatore dell’incubo londinese che però è più italo-patriota di Ignazio Benito La Russa.
Virtuosa la regia (forse anche un po’ troppo, come se volesse strafare in alcuni punti per mostrare che papà lo vedi sono regista e tu non ci hai mai creduto) e soltanto buona la sceneggiatura, perché fatica a srotolarsi lungo i 50 minuti scarsi di durata dando l’impressione che Luca Vecchi sia bravo nella situazione (spesso comica) e molto meno nella costruzione ponderata e (forse) anche più adulta.
Ciononostante il mediometraggio è bellino e sicuramente è un grandissimo omaggio ad uno dei fumetti italiani più famosi ed importanti della storia.
VOTO: 3 patrioti col braccio teso
Titolo inglese: Dylan Dog – Victim of Circumstances Regia: Claudio Di Biagio Durata: 51 minuti