Serie antologica di episodi scollegati con la caratteristica di rivoluzionare la loro narrazione tossica attorno al perno fallico del fantastico e dell’incredibile.
Ora, cosa uno intenda per fantastico e incredibile è il vero mistero della serie; perché le storie dalla loro hanno poca ciccia sotto il cofano e quando c’è poca ciccia le fiche umettate delle spettatrici non verranno saziate dai salsicciotti degli spettatori. Quindi, una serie per famiglie con bambini.
Un ragazzo viene visitato nella notte da un meteorite che sconquassa camera sua e lo lascia con un piccolo problemino magnetico, ovvero comincia ad attirare oggetti metallici con forza sempre maggiore fino a quando non tirerà a sé la cosa che meno desiderava al mondo, la vagina.
Forse uno degli più riusciti perché riesce a fondere perfettamente l’elemento fantastico con la narrazione allegra di una storia per ragazzini.
Episodio 12 – “Vanessa”
Byron Sullivan è un pittore ottocentesco felicemente sposato con la bellissima Vanessa del titolo fino a quando la loro carrozza si cappotta e la giovane musa ispiratrice muore come una cagna di periferia gettando nella depressione più cupa l’artista, interpretato da Harvey Keitel non nudo.
Byron pensa che oramai la sua carriera artistica sia finita, ma invece scopre che la moglie può rivivere come fantasma corporeo nei luoghi dove lui l’ha dipinta… e ovviamente si affretta a dipingerla nel lettone matrimoniale.
Diretto da Clint Eastwood, questo è uno degli episodi più maturi e toccanti, nel quale il fantastico ha il sapore dei romanzi romantici ottocenteschi più che del popcorn da cinema americano.
Episodio 19 – “Lo specchio”
Uno scrittore di racconti de paura non ha paura di un cazzo, ma si trova spavaldo col suo uccello da 40enne flaccidone di fronte la terrificante consapevolezza che c’è un triste figuro incappottato alle sue spalle ogni volta che vede la sua immagine riflessa.
Diretto da Martin Scorsese, l’episodio è molto accattivante e riesce a tenerti sulle terga per la gran tensione di vedere Tim Robbins, che interpreta l’oscuro figuro incappottato, prendere il deretano del protagonista senza il suo consenso.
Murray Bernstein sembra inoffensivo, ma è accusato d’omicidio e il giovane avvocatucolo assegnato al caso, piuttosto che dormire sugli allori, comincia a sospettare che a compiere il delitto sia stato un parrucchino malvagio.
Strepitoso episodio da vedere assolutamente con un fantastico crescendo dell’assurdo da far invidia a tuo padre mentre cerca di chiavare tua madre. Ha probabilmente ispirato un episodio dei Simpsons molto molto simile.
Titolo originale: Amazing Stories Creatore: Steven Spielberg Stagione: prima Anno: 1985 Durata: 24 episodi da 25 minuti
Jack The Reacher non ha pietà per le sue palle e per questo se le stramazza di mazzate ogni volta che si ritrova solo per le vie del centro di qualche città mittle-americana.
Sfortunatamente Jack The Reacher arriva in un posto dove lo stramazzamento di mazzate di palle è vietato dalla decenza cittadina e quindi scopre di essere padre tramite un pizzino lasciato in bocca al sorvegliante di un parcheggio notturno nel quale sovente Jack The Reacher ama soverchiare le forze del male col suo peto al profumo di coglioni d’asino.
La figlia, o presunta tale, diventa a questo punto un punto debole in quanto ricattabile di morte ad ogni festa comandata e Jack The Reacher non lo può permettere. Perché lui è forte, Perché lui è astuto, perché lui è bello, perché lui è agile, perché lui vola, perché lui è geniale, perché lui conosce le arti marziali e la via della calma, perché lui è sterile, perché lui ha mandato a memoria gran parte di Ossi di seppia in edizione Neri-Pozza, perché lui è Jack The Reacher.
Bum bim bam, colpo in fronte e vaffanculo.
Secondo capitolo di quel primo capitolo che tutto sommato non era così male mentre questo è un po’ brutto e noiosetto.
Non ci siamo proprio direbbe il Duce guardandosi il cazzetto sotto quel pancione da puzzone e non ci siamo proprio neanche con questo film: combattimenti banali, storia tirata su col naso e triangolo familiare infranto dalla realtà che vorrebbe essere originale perché finisce male e invece finisce male e basta.
Da evitare.
VOTO: 2 duce
Titolo: Jack Reacher: Never Go Back Regia: Edward Zwick Durata: 1 ora e 58 minuti Compralo: https://amzn.to/3Q9jt0c
Tre sorelle vivono in una grande casa di legno nella città balneare di Kamakura quando vengono a sapere della morte di loro padre, un uomo che le abbandonò 15 anni prima per farsi una nuova vita con un’altra moglie.
Al funerale che si svolge a Sendai le tre giovani donne fanno la conoscenza di Suzu, giovanissima figlia di loro padre e della seconda moglie, e decidono, forse sull’onda dell’emotività del momento, di farla venire ad abitare con loro a Kamakura per non lasciarla con la terza anaffettiva moglie.
Le vicissitudini di 4 sorelle, diverse nel carattere ma unite dal medesimo padre, che riescono a riconoscere nel pessimo genitore un’umanità ed una sincera bontà nei rapporti intimi, possono sembrare vicissitudini inutili e senza pathos ed invece, procedendo per accumulazione, granello emotivo dopo granello emotivo, come in effetti succede nei rapporti umani, regalano un’affresco semplice ma non per questo lineare di una famiglia per scelta.
“Nostro padre sarà pur stato uno smidollato, ma una cosa buona l’ha fatta… ci ha data questa sorellina” dice la maggiore delle tre prima di passeggiare lungo la ventosa spiaggia di Kamakura, ed un giorno anch’io affonderò i miei fottuti piedi in quella fottuta sabbia giapponese.
VOTO: 4 fottuti piedi
Titolo originale: 海街diary – Umimachi Diary Regia: Koreeda Hirokazu Durata: 2 ore e 7 minuti Compralo: https://amzn.to/45cbyEU
Una bambina maltrattata dai suoi genitori naturali viene presa in casa (rubata) da una famiglia atipica composta da individui un po’ malandrini uniti non dal sangue, ma dal senso di solitudine che pervade i loro cuori.
Ovviamente questa vita ai margini fatta di sotterfugi e furtarelli per tirare a campare un altro giorno ed uno ancora non potrà durare a lungo, specialmente quando la polizia cercherà la bambina scomparsa.
E’ una Tokyo diversa dalla solita metropoli illuminata e futuristica quella che fa da sfondo a questa storia familiare di una famiglia che famiglia non è: 6 diverse persone condividono una casa con spazi angusti e sporchi perché quello è anche l’unico posto dove si sentono voluti bene e dove sanno che almeno non moriranno soli, come dice l’anziana padrona di casa osservando l’allegra combriccola bagnarsi i piedi al mare.
Sulla città di Kobe si abbatte la violenta furia dell’aviazione americana che, violando parecchie leggi sul diritto internazionale, lancia bombe incendiarie sulle case di inermi cittadini nipponici con l’unico intento di provocare morte e distruzione e costringere con la paura e la sofferenza la resa del Giappone.
In questo scenario apocalittico il giovane Seita e sua sorella minore Setsuko rimangono presto orfani (dopo che la madre muore bruciata viva e il padre affonda con la portaerei sulla quale prestava servizio) e si ritrovano quindi a dover fronteggiare fame e solitudine senza una figura genitoriale a fare loro da scudo.
Seita tenterà di provvedere alla piccola Setsuko spendendo gli ultimi soldi lasciati dalla madre e finendo per rubare la verdura nei campi circostanti, ma la durezza della guerra sarà ben più forte del rinomato spirito giapponese.
Molto toccante e molto duro racconto autobiografico di Akiyuki Nosaka che vide morire di fame sua sorella minore durante la guerra ed ennesimo monito pacifista prodotto nella nazione che ha subito lo scoppio di ben due bombe nucleari.
Bello, indubbiamente, anche per il modo mai banale con cui racconta le piccole quotidianità di due bambini che tentano di sopravvivere in una società che già stava cominciando a dimenticare in nome del nuovo capitolo storico che si apprestava a subire dopo la sconfitta nel secondo conflitto mondiale.
Ovviamente consigliatissimo.
VOTO: 4 bambini
Titolo originale: ほたるのはか Hotaru no haka Regia: Isao Takahata Durata: 1 ora e 29 minuti Compralo: https://amzn.to/45NFQPu
Wayne Zelensky vuole una cosa molto semplice: rimpicciolire l’ego smisurato dei nazionalisti ucraini, eredi diretti di nazisti tipo quel figlio di puttana di Stepan Bandera, morto avvelenato da un agente del glorioso KGB mentre se la godeva a Monaco di Baviera al riparo coi suoi amici fasci tedeschi, ma la macchina che ha costruito allo scopo precipuo continua a farsi i cazzi suoi facendo saltare in aria poveri ucraini russofoni la cui unica colpa è voler mantenere la loro identità culturale nel crescente sentimento fascista della moderna ucraina post-sovietica sui cui fuochi estremisti soffia prepotente una pioggia di petroldollari razziati dalle scheletriche mani di milioni di proletari del blocco occidentale.
Come sempre non tutto vien per nuocere ed una provvidenziale palla di cannone sparata dal fronte est metterà in sesto il giocarello e tutto comincerà a funzionare alla perfezione: cazzi piccoli = cuori neri.
Famosissima pellicola fantacomica anni ’80 che per anni mi ha perseguitato con la battuta sul bacio alla francesce che da piccolo non riuscii a cogliere e che mi lasciò con l’amaro in bocca visto che su questa ci si chiude addirittura il film.
Comunque, a parte i miei traumi infantili, ci si diverte molto, gli effetti speciali sono veramente belli e a tutt’oggi rimangono per la maggior parte godibilissimi; ovviamente straconsigliato alle famiglia numerose come quella di nostro signore Silvio Berlusconi.
Santo subito!
VOTO: 3 baci alla francese e mezzo
Titolo originale: Honey, I Shrunk the Kids Regia: Joe Johnston Durata: 1 ora e 33 minuti Compralo: https://amzn.to/46xKLol
Masao è un ragazzino che vive con la nonna perché il padre non risulta reperibile e la madre lavora in un’altra città per mantenere il figlio.
All’inizio dell’estate, tra noia e solitudine, Masao scopre per caso una foto della genitrice e decide quindi di andare a trovarla, accompagnato da Kikujiro, il marito poco di buono di una vicina di casa, che lo porterà al centro scommesse, ad ubriacarsi e a tutta una serie di robe che il telefono azzurro levati.
E però, nonostante la profonda differenza caratteriale (o forse la differente fase di crescita) tra i due protagonisti, l’uno irascibile e violento e l’altro silenzioso e triste, il duo troverà una quadra, e nel loro rapporto e nei confronti del mondo ostile che difficilmente accetta i tipi che escono fuori dai canoni convenzionali.
Pellicola molto dura nei temi ma spensierata nei modi che rappresenta quasi un’eccezione nella filmografia di Takeshi Kitano, in genere molto più cupo e pessimista, anche se sempre incline al tema dell’assurdo.
Sviluppato nel più classico dei modi, ovvero il road movie episodico, Kikujiro no natsu è indubbiamente accattivante per il cuor leggero con cui affronta l’abbandono, la crudeltà, l’incomunicabilità, il tradimento e tante altre belle cose, ma proprio per questo, per questa digeribilità ad un pubblico meno avezzo all’asciuttezza giapponese, forse si colloca un pelo sotto altre opere dello stesso Kitano.
Ad ogni modo è sicuramente molto bello, non c’è dubbio; va solo preso per il verso giusto da chi si aspetta un film criminale.
VOTO: 3 piovre e mezza
Titolo originale: 菊次郎の夏 – Kikujirô no natsu Regia: Takeshi Kitano Durata: 2 ore e 2 minuti Compralo: https://amzn.to/433ibbL
Un padre tutto prono a succhiare il cazzo del liberismo capitalista non si rende conto che sua figlia comincerà ben presto ad odiarlo talmente tanto da desiderare più di ogni altra cosa al mondo che essere pisciata in faccia da un gruppo di figli di papà prima d’essere brutalmente stuprata a ripetizione senza il minimo briciolo d’amore. Quell’amore che lei tanto desiderava dal padre prono a succhiare il cazzo del liberismo capitalista.
E no, non stiamo parlando di casa Calenda, ma dell’invasione zombie in Corea del sud che coglie di sorpresa i nostri protagonisti mentre sono in treno da Seul a Busan, senza scalo ad Orte e senza noccioline.
Sangue, spaventi, urla, tradimenti, pentimenti, sacrifici, dentifrici e molto, ma molto rimpianto di queste due ore della vita mia.
NCS ragazzi. Non Ci Siamo.
Nonostante una buona realizzazione tecnica ed alcune simpatiche trovate, tipo il plotone di soldati zombie alla stazione Daejeon che sburrano panna montata quando odono qualcuno pronunciare “carmelitane scalze”, la sensazione è di aver già visto tutto e tutti, perlomeno per chi ha effettivamente già visto qualsiasi altro film zombie.
Chi invece è appena sceso sul pianeta Terra e non ha idea di cosa sia un morto vivente, allora forse questo film riassumerà bene qualche decennio di narrativa al riguardo.
VOTO 2 figlie di Calenda e mezza
Titolo originale: Busanhaeng Regia: Yeon Sang-ho. Durata: 118 minuti Compralo:https://amzn.to/3nqJVIi
Prima di affrontare quest’impresa degna dei peggiori pappataci di Las Vegas, non avevo idea che questa serie di film non avesse assolutamente un filo logico, ma che in realtà fosse un modo per riciclare i soldi delle tasse evase degli imprenditori liberali straccioni che, usando il franchise “Amityville”, hanno sfornato una serie di pellicole basate sulle più improbabili sceneggiature che nel migliore dei casi risultano simpaticamente folli e nel peggiore sono invece un affronto alla fame nel mondo coi bambini neri con la pancia gonfia e privati persino della voce della speranza.
Ecco a voi lo scempio:
Amityville Horror (1979)
A Long Island nel 1974 c’è una bella villona dove Ronald DeFeo Junior ha ammazzato tutta la sua famiglia perché posseduto da presenza demoniache. Neanche il tempo di smacchiare i muri dal sangue che la famiglia Lutz decide di penetrare con tutte le scarpe nella casa degli orrori… perché con un prezzo così non ci si può lasciar sfuggire l’affare. Ovviamente se ne pentiranno; non tanto per la stanza demoniaca sotto le scale del sotterraneo, quanto per gli spifferi dei vecchi serramenti. Famoso per aver ispirato il padre omicida con l’accetta in The Shining.
Amityville Possession (1982)
La famiglia Montelli è veramente un casino, ma per fortuna ci pensa il primogenito Sonny a mettere a tacere quelle malelingue che lo dipingevano come uno che si fotteva la sorella nella casa stregata di Long Island. Perché lui non la fotteva, bensì la perculava, che è ben diverso. Veramente particolari alcune sequenze, tipo la possessione di Sonny. La stanza demonica si è trasferita dal sottoscala alla parete di fondo, dentro un guardaroba.
Amityville 3D (1983)
John Baxter non crede ai fantasmi e quindi decide di acquistare la vacante casa degli orrori di Long Island, costruita sopra un cimitero indiano; a pagarne le conseguenza saranno tutti tranne lui, il che fa ridere più che spaventare. Molto o forse tutto il senso del film è nel 3D che purtroppo si è perso con il passaggio al piccolo schermo; se ne capisce la presenza dai numerosissimi oggetti schiaffati in primissimo piano come i cazzi in bocca a tua madre. Nel frattempo la stanza demonica è diventata un pozzo senza fondo nascosto sotto le assi di legno del sotterraneo.
Amityville Horror – La fuga del diavolo (1989)
Un drappello di preti si arma di crocifissi e acqua santa per debellare il maligno dalla casa stregata e finiscono per farlo fuggire dentro una lampada a piantana che viene comprata da una vecchia bacucca per regalarla alla sorella semi-ricca che vive in California. Ecco quindi che la stanza demoniaca è diventata una lampada che infesta una nuova dimora e comincia a far casini con signora anziana, figlia di lei e figli di figlia di lei. Una scogliera sul mare e un cavo della corrente lungo 37 metri aiuteranno i nostri beniamini a cacciare il mostro dalle loro vite.
Amityville – Il ritorno (1990)
Un gruppo di amici speculatori vuole fare il colpaccio: comprare una villa derelitta a poco prezzo, ristrutturarla con le loro manine sante e poi rivenderla al doppio di quanto l’hanno pagata. Purtroppo la stanza demoniaca è diventata un confessionale maledetto nel quale 15 anni prima un prete è stato barbaramente assassinato a suon di pistolettate e non vi sarà pace sulla Terra fino a quando Gianni Riotta non verrà scaraventato giù dal dirupo con tutti gli altri neonati deformi e mongoloidi di cui dobbiamo disfarci al più presto se vogliamo purificarci da tale monnezza.
Amityville 1992: It’s About Time (1992)
Un architetto entra in possesso di un antico orologio cinquecentenario e decide di metterlo in bella mostra nel soggiorno di casa dove ogni tanto si ciula una donnetta da 4 lire con la promessa di trattarla con i guanti quando invece il suo unico scopo è posizionare il suo pene tra le sue tette rifatte per poi sburrarle copiosamente nell’arco di 7 appassionati secondi di urla disumane. I figli liceali sentono tutto e tacciono, come è giusto che sia, mentre un puzzo demoniaco si spande per casa. E non è merda. La stanza demoniaca è sia l’orologio che tutta casa.
Amityville: A New Generation (1993)
Un maldestro gruppo di fighetti sfigati che vivono in un loft diviso con pareti di cartongesso devono fronteggiare la puzza di merda che il fotografo Keyes ha portato in casa prendendo un vecchio specchio pacchiano da un barbone accampato di fronte al fast-food. Ma la puzza di cadavere è il male minore di questo manufatto misterioso visto che in realtà siamo di fronte alla famosa stanza demoniaca sotto mentite spoglie. Correlazione zero con il film originale, ma grande emozione nel vedere un non ancora pelato Terry O’Quinn nei panni dell’investigatopo.
Amityville Dollhouse (1996)
Uomo e donna usciti da precedenti matrimoni si accoppiano per non dover crescere i rispettivi figli da soli. Andati a vivere nella gran casa costruita dall’uomo gran testa di cazzo, cominceranno presto a vivere episodi al limite del paranormale a causa della stanza demoniaca che ha preso le sembianze di una casa delle bambole che riproduce in scala quella del film originale. Molto particolare la sottotrama della donna che si masturba pensando al figlio adottivo.
The Amityville Horror (2005)
Che dire? E’ il remake dell’originale con meno sudore e senza la moglie minorenne con le treccine e il maglione di due taglie più grande a suggerire una minutezza fisica tipica delle pubescenti. E quindi non riesce ad interessare minimamente lo spettatore che invano attenderà fino all’ultimo minuto per una risata malefica del suo io interiore, qui a rappresentare la stanza demoniaca.
The Amityville Asylum (2013)
La povera Lisa viene assunta nel manicomio “Grandi speranze” come assistente spazzolatrice di pavimenti e come tale dovrà subire le più profonde angherie da parte di colleghi e pazienti che la perculeranno mentalmente e fisicamente fino a quando la verità non verrà a galla. Sì, perché il manicomio è stato costruito sopra un cimitero indiano e mannaggia la madonna ladra questa storia è più riciclata del culo di tua madre. La stanza demoniaca qui è uno spazzolone del cesso.
Amityville Exorcism (2017)
…da vedere…
Amityville – Il risveglio (2017)
La famiglia Walker è composta da madre fil di labbra, figlia emo e figlio in stato vegetale irreversibile piedi torti e mani a pugno. Trasferitisi in una bella casona grande grande, devono però fare i conti con i misteri grandi grandi che aleggiano tra quelle quattro mura. Misteri e paurose perplessità sembrano far tornare ai fasti del passato il giovane vegetale… ma sarà tutto oro quel che luccica? La stanza demoniaca è un pappagallo per pisciare.
Witches of Amityville Academy (2020)
Siamo alla follia oramai e i collegamenti con il primo film sono talmente esili che mi ci potrei fare il filo interdentale. Qui una giovane ragazza decide che comandare è meglio che fottere e quindi va a scuola di streghe dove non le viene insegnato assolutamente nulla, ma riuscirà comunque a fare molto male alle streghe cattive e a Botis, il demone che hanno invocato ungendosi le fiche con olio di palma.
Bastian Balthazar Bux, con un nome così, poteva solo che diventare lo zimbello della scuola.
Se a questo aggiungiamo un padre assente per lavoro e una madre assente per decesso, ecco che il giovine Bastiano tenta il tutto per tutto rifugiandosi fisicamente nella soffitta della scuola e mentalmente in Fantasia, un mondo aldilà dell’immaginazione dove succedono cose assurde, tipo che uno non devo lavorare 40 anni per mangiare e avere un tetto sopra la testa.
Siccome però il nulla di Giorgia Meloni sta invadendo Fantasia portandosi via i diritti acquisiti con un bel colpo di spugna, ecco che Bastian dovrà farsi carico del grande fardello della nostra contemporaneità, mettere finalmente un punto a quella cazzata economica chiamata Liberismo.
Famosissimo film fantasioso e brioso che dalla sua ha indubbiamente una grande produzione, con effetti speciali strambi ma certamente memorabili, ma che purtroppo è scritto con i piedi devastati dall’artrite reumatoide.
Senza capo né coda, zeppo di scenette che si susseguono l’una all’altra con soluzione di continuità ruvida come la carta vetrata sulla cappella fresca di tuo padre ed un cane volante che vorrebbero farci credere essere un drago.
Lo scrittore della storia originale non fu molto contento dei numerosi rimaneggiamenti apportati e si espresse con parole molto dure:
Auguro la peste ai produttori. Mi hanno ignorato. Quello che mi hanno fatto è una sozzura a livello umano, un tradimento a quello artistico.
La peste non arrivò, però Wolfgang Petersen è morto di cancro al pancreas nell’agosto del 2022 nella sua bella casetta Brentwood, Los Angeles.
VOTO: 3 cani volanti
Titolo originale: Die unendliche Geschichte Regia: Wolfgang Petersen Durata: 1 ora e 42 minuti Compralo: https://amzn.to/3SibGhl
Roma negli anni ’70 era una città gonfia di miseria e menefreghismo e quel poco che la giunta di sinistra a guida comunista riuscì a fare durante i pochi anni al governo della città eterna sono stati solo una goccia nel mare del magna magna istituzionalizzato che Roma rappresenta da praticamente 2000 anni.
E in questo film, sulla collina Monte Ciocci, a pochissimi passi dal Vaticano, a mettere in scena tutto quel carico di dolorosi scappellotti in pieno volto, abbiamo una folta manata di personaggi così borgatari che siamo oltre il neorealismo e andiamo a sondare il terreno del ridicolo e della macchietta.
Tra questi, c’è l’immigrato terrone Giacinto e la sua numerosa famiglia di piedi neri i quali, tutti assieme come nella prigione a cielo aperto chiamata Gaza, vivono in una baracca di mattoni e lamiere condividendo giacigli e sofferenze come neanche durante la repressione guerrafondaia nazista del governo ucraino golpista contro i civili russofoni del Donbass.
Ma Giacinto ha un asso nella manica, un milione di lire, frutto di un premio assicurativo per aver perso un occhio a lavoro, che lui tiene stretto stretto come un buco di culo nelle docce di Rebibbia, mentre moglie, figli e nipoti sognano di fottergli le banconote per soddisfare i loro tanti e irrisolti desideri.
Molto astio.
Pellicola romanissima e allo stesso tempo quasi un prodotto da esportazione, con tutto quel carico da dodici di personaggi oltre il pasoliniano (un colpo al cuore l’apparizione mariana di Ettore Garofolo, giovane di belle speranze in Mamma Roma e qui ridotto al ritratto di un tricheco col viso striminzito).
Indubbiamente da applausi il coraggio di Nino Manfredi nel ficcare piedi e mani negli acquitrini pisciosi della baraccopoli dove si svolge il film e anche nell’interpretare un personaggio così ripugnante come Giacinto Mazzatella, ma forse la pellicola vale più per la denuncia, purtroppo quasi sterile, fine a sé stessa, che per il valore prettamente filmico.
VOTO: 3 Ettore Garofolo e mezzo
Titolo inglese: Ugly, Dirty and Bad Regia: Ettore Scola Durata: 1 ora e 55 minuti Compralo: https://amzn.to/3T9Mx7e
Edna è una signora anziana che comincia a soffrire di demenza senile.
Figlia e nipote, preoccupate e spaventate dai comportamenti prima bizzarri e poi pericolosi della vecchia, cercano di far quadrare i conti facendole visita nella sua casa di legno e muffa. Ma purtroppo c’è ben poco da fare: bigliettini sparsi per casa con le istruzioni su come comportarsi e un bel po’ di sporcizia e trascuratezza testimoniano la spirale senza ritorno in cui pian piano Edna sta scivolando, tra incubi di strani visitatori notturni e conversazioni con presenze invisibili.
Stupendo film dell’orrore che dell’orrore non è.
Compreso da pochi, visti i giudizi del pubblico spesso ingenerosi, e passato un po’ in sordina durante la pandemia da Covid che sembrava doverci travolgere come un fiume in piena e che invece ha fatto quasi un cazzo, questo film australiano molto indipendente riesce a smuovere l’animo dello spettatore grazie alla piccola storia di una donna che sta perdendo la ragione per colpa di una malattia degenerativa che scorre in famiglia e dell’impossibilità di porvi rimedio da parte di chi le sta attorno.
Costruito come film horror, con tutti i classici del genere quali ombre suoni salti improvvisi, e invece tutt’altro sotto la scorza, Relic è per questo anche quasi l’esemplificazione della storia stessa: una realtà molto più dura e indigeribile, nascosta sotto un velo pietoso di ragionevole negatività.
Di più non dirò, per non rovinarlo. Super consigliato.
VOTO: 4 vecchi
Titolo brasiliano: Deterioração Regia: Natalie Erika James Durata: 1 ora e 29 minuti Compralo: https://amzn.to/3Rcfuz8