American Crime Story – Il caso O.J. Simpson (2016)

La notte del 12 giugno 1994 Orenthal James Simpson, famoso atleta americano che ha pure recitato in cose tipo Una pallottola spuntata, si recò a casa dell’ex moglie e la trucidò di coltellate, a lei e al suo “amico” dell’epoca.
Tanto profonde e tante di numero furono le coltellate che quasi le staccò la testa dal collo, segno inequivocabile che il delitto era passionale e non una semplice rapina andata male.

Braccato dalla polizia su e giù per l’autostrada comunale di Los Angeles dopo che erano state rinvenute tipo due dozzine di prove irrefutabili tali da schiaffarlo in prigione fino alla condanna a morte, il nostro Orenthal riuscì però a fottere tutti facendosi assolvere in maniera classista grazie ad un team di costosissimi avvocati che avranno voluto in cambio almeno un paio di gustosi coglioni sotto sale.

American Crime Story - Il caso O.J. Simpson (2016)

Prima stagione per quest’antologia di crimini famosi americani e ottimo inizio perché: ci siamo sulla storia che non viene mai girata in farsa o melodramma, ci siamo sulla regia che gira e vola per Los Angeles come volesse farci vivere un incubo ad occhi aperti, e ci siamo con le interpretazioni che, nonostante le necessarie forzature volte a rispecchiare i reali personaggi dell’epoca in maniera accurata, non diventano caricaturali nonostante tengano comunque alto il tono dell’attenzione.

Coinvolgente, partigiano e senza sbrodolate.
Che cazzo volete di più?

VOTO:
4 sbrodolate

American Crime Story - Il caso O.J. Simpson (2016) voto

Titolo originale: The People v. O. J. Simpson: American Crime Story
Durata: 10 episodi da 45 minuti
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Assassinio su commissione (1979)

La storia la sappiamo tutti: tra il 1888 e il 1891 nel quartieraccio londinese di Whitechapel dove oggi una stanza te la mettono a 700 pound e devi pure ringraziare il signore gesucristo (in croce), è successo che 11 donne sono state uccise e in molti casi trucidate da uno o più misteriosi assassini in quello che è diventato il caso di “Jack lo squartatore”, nome preso direttamente dalla firma di una delle tante lettere anonime recapitate alla polizia durante quel periodo.

Era un pazzo solitario, un gruppo di massoni che volevano evocare il diavolo, un ebreo giuda nasadunco?
Nessuno ne venne a capo ed ancora oggi quegli eventi evocano curiosità, morbosità e tanti film dal dubbio valore artistico.

Questo è uno di quelli.

Assassinio su commissione (1979)

Dallo stesso regista di quella cacata di A Christmas Story ed il capolavoro incompreso titolato The Karate Dog, ecco l’ennesimo film su Jack lo squartatore che in questa particolare incarnazione dovrà vedersela con nientepopodimenoché Sherlock Holmes e quel lurido lucida stivali senza spina dorsale del dottor Watson.

Molte cose vengono dette e molta rabbia provoca l’assoluta e lucida aderenza di questi liberali ottocenteschi al sistema piramidale costituito, in particolare risulta a tratti inconcepibile (se non nei più bagnati sogni renziani) lo zerbinaggio di Watson che ad esempio applaude ed incita forsennatamente il re di fronte alle sacrosante proteste del popolo.

Perché diciamocela tutta: Jack lo squartatore non è mai stato il vero problema, come anche un mongoloide potrebbe capire, ma è il sistema liberal-capitalista costruito attorno milioni di sudditi inglesi ad aver creato sia l’opportunità che le condizioni per cui tale fenomeno potesse esplodere.

Sia chiaro, lo stronzo o il folle c’è sempre e sempre ci sarà, ma differenti organizzazioni sociali possono evitare sia l’emergere del conflitto che rispondere in maniera più organica all’esprimersi di esso.

E ora andate affanculo.

VOTO:
2 persone affette dalla sindrome del mongoloide

Assassinio su commissione (1979) voto

Titolo originale: Murder by Decree
Regia: Bob Clark
Durata: 2 ore e 4 minuti
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Chiara (2022)

Chiara d’Assisi fu una religiosa, e per molti versi rivoluzionaria, donna vissuta in pieno medioevo; famosa per essere stata collaboratrice e consorella di Francesco d’Assisi e per aver dato origine, senza volerlo, all’ordine delle Clarisse.

Entrambi provenienti da famiglie borghesi, Francesco da mercanti e Chiara addirittura dal conte Favarone di Offreduccio degli Scifi che, giudicando dalla lunghezza del cognome, doveva avere talmente tanti agganci da permetterle una vita lunga e d’agio, prospettiva totalmente svanita quando lei, appena diciottenne, fuggi di casa per votarsi al francescanesimo, alla povertà e al servizio di Cristo per i bisognosi.

Ovvi contrasti con le strutture ecclesiastiche, maschiliste, conservatrici e capitaliste, e persino con i francescani omini, portarono Chiara e le sue sorelle prima all’emarginazione e poi alla sottomissione al volere papale, senza mai ottenere pieno riconoscimento dei loro principi di uguaglianza e modestia di costumi.

Chiara (2022)

Vita, senza morte e miracoli, di Chiara, qui volutamente NON santa, e della sua ribellione, indubbiamente borghese, ma non per questo futile, contro la piramide sociale dell’epoca.

Questo film, dalla stessa regista di Cosmonauta, delizioso film che vidi tantissimi anni fa e poi nulla più, affascina sia per il rispetto linguistico (tutti recitano in volgare umbro medievale) che quello storiografico, nonostante i comprensibili scivoloni nel miracolistico volti probabilmente a giustificare la produzione Rai e la maggioranza silenziosa di teste a cucuzza che andrebbero preso e sbattute contro i muri come non ci fosse un domani.

Sì perché, come dimostra la parabola incendiaria dei pompieri Francesco e Chiara, non è mai possibile cambiare le cose dall’interno e si finisce per fare da “greenwashing” alle stesse gerarchie che si voleva smontare.

Come dice il vecchio adagio, non esistono poteri buoni.

VOTO:
4 vecchi

Chiara (2022) voto

Titolo russo: Кьяра
Regia: Susanna Nicchiarelli
Durata: 106 minuti

The Fall (2006)

Nel 1915 la California era uno stato americano pieno zeppo di gente che voleva fare il cinema e gente che attorno al cinema ci faceva una marea di soldi sfruttando i lavoratori che producevano tutta la ricchezza che poi veniva capitalizzata e monopolizzata da pochi oligarchi con un mento decadente quanto la Roma tardo repubblicana.

In questa putrida vallata sterile come il grembo di tua madre, il cascatore cinematografico Roy Walker vive il suo piccolo dramma di giovane uomo mollato dalla sciampista di turno per il belloccio valentiniano alto un cazzo e un barattolo tanto ricco da poterla rifornire di anfetamine e coca come non ci fosse un domani e, ricoverato in ospedale per una caduta rovinosa durante una ripresa, medita e rimuggina sull’insensatezza della vita e come porvi velocemente fine.

A tirarlo fuori, forse, ci sarà una giovane bambina rumena che si è fratturata un braccio cadendo dalla scala sulla quale era salita per cogliere le famose arance californiane, stracolme di vitamina C e disuguaglianza sociale.

The Fall (2006)

Remake, come dicono i miei amici anglofoni, di Yo ho ho, un film bulgaro del 1981 che mi riprometto di vedere e linkarne QUI la recensione, e grande sfoggio di cinematografia semi-pura.

Questo perché non siamo ai livelli della trilogia Koyaanisqatsi per ricerca dell’assoluto visivo a discapito della storia e anzi, di un’anima narrativa, seppur scarna, troviamo numerose tracce: il lavoro minorile, la solitudine degli ultimi, il dolore dell’uomo nel capitalismo, la moltitudine cultural-razziale del mondo nuovo.
Di materiale ce n’è e le interpretazioni, ironicamente naturalistiche per un film così artificioso, fanno il resto.

Consigliato.

VOTO:
3 bulgari

The Fall (2006) voto

Titolo portoghese: Um Sonho Encantado
Regia: Tarsem Singh
Durata: 1 ora e 57 minuti
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Cabinet of Curiosities (2022)

Poveri razzisti messi in croce per il loro essere esclusi dal discorso politico, ratti ladruncoli figli di una zoccola di dimensioni meloniane, alieni senza sensi che s’impossessano dei corpi altrui come fossero partecipanti ad un convegno di Confindustria, sgorbio di donna che dà ragione a chi non si fida delle racchie, demoni muse di artisti falliti, fratelli che hanno un’attrazione malsana per le sorelle e le seguirebbero in capo al mondo se solo gliela dessero, strafattoni si riuniscono per un sabba interstellare finendo molto ma molto male ed infine un pover’uomo che è tormentato dal fantasma della moglie viva ma che da quando è morta la figlia si è tramutata nel fantasma di sé stessa.

Cabinet of Curiosities (2022)

Un’antologia dell’orrore confezionata per Netflix da Guillermo Del Toro che non convince proprio; in parte per la predominanza di episodi concepiti male e sviluppati peggio (Lot 39, Pickman’s Model e Dreams in the Witch House su tutti) e in parte perché manca proprio l’elemento di curiosità da risvegliare nello spettatore che di questi tempi, a meno che non sia un cerebroleso, ha bisogno di ben altro per venir destato dal torpore immaginifico nel quale si ritrova sommerso fino alla bocca di ciavatta che si ritrova.

Eccezione alla mia veemente critica la fanno gli ultimi due episodi; veri e propri gioielli da che da soli valgono il prezzo del biglietto:

The Viewing è un concentrato di stile (un po’ forzato, ma indubbiamente azzeccato) ed ironia che non vedevo da tempo; non si prende sul serio ma non per questo rinuncia a volerti mettere paura e, anche se non è originalissimo, né per trama e né per splatterate, mena il can per l’aia che è una bellezza.

The Murmuring è un gran classico, quasi seicentesco col fantasma che non trova pace, eppure risulta fresco come un paio di calzini di minorenne appena usciti di lavatrice. La semplice ricerca di un’uscita dal limbo emotivo nel quale è caduta la donna protagonista non è nient’altro che l’immagine simmetrica della ricerca di pace dei fantasmi che la perseguitano, con il marito ad essere il vero ed unico veramente in balia di fenomeni oltre l’umana rassegnazione.

Quindi:
Saltate tutta la serie e concentratevi su questi due.

VOTO:
2 paia di calzini

Cabinet of Curiosities (2022) voto

Titolo esteso: Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities
Regia: Guillermo Navarro, Vincenzo Natali, David Prior, Ana Lily Amirpour, Keith Thomas, Catherine Hardwicke, Panos Cosmatos, Jennifer Kent
Durata: 8 episodi da 1 ora

In compagnia dei lupi (1984)

Una ragazza pubescente si rigira tutta sudata nel letto, angosciata com’è da una serie di sogni morbosi al cui centro gira ovviamente la paura del cazzo.

Nonne che raccontano storie, pentoloni in cui gettare teste mozzate, donne bel culo, nobiluomini col monociglio, ragazzi sdentati ma con la lingua facile, genitori che scopano davanti ai figli… e poi lupi, tanti ma tanti lupi.

Questo ed altro racchiude uno dei film che da piccolo mi piaceva molto vedere, non capendo tutta la carica di sesso e morte che si portava appresso.

In compagnia dei lupi (1984)

Costruito come storia nella storia di una storia che non c’è, In compagnia dei lupi è un’opera di difficile categorizzazione perché non è propriamente un film dell’orrore, ma non è neanche un classico dramma.

Sviluppato come viaggio onirico di una ragazza che scopre la sua sessualità e come fare a gomitate in un mondo dominato dai maschi, The Company of the Wolves è anche un grido di libertà dalle flaccide catene perbeniste della società liberal-borghese, esemplare in questo la risoluzione dell’ultima storia che fa eco ai viaggi ribelli della figlia di Carlo Calenda.

Girato come fosse una piece teatrale senza pubblico, questa pellicola è infine una moneta a due facce: interessantissima e molto noiosa.
E quindi va vista col giusto animo.

VOTO:
3 monete

In compagnia dei lupi (1984) voto

Titolo originale: The Company of the wolves
Regia: Neil Jordan
Durata: 1 ora e 35 minuti
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TOP 3 – Poirot: 2° stagione (1990)

Seconda stagione per l’investigatore belga e 5 centimetri in più di girovita sul trippone di Poirot. Che Francia Spagna, purché se magna.
Srotoliamo la top 3!

Episodio 4 – The Cornish Mystery

TOP 3 – Poirot: 2° stagione (1990) 1

Una signora di provincia viene a Londra per chiedere aiuto al dottor professor grantesticazz Hercule Poirot.
Il sospetto è che il marito la stia avvelenando con l’erbicida nella zuppa e lei, incapace di rifiutare un pasto caldo quando le viene presentato sotto il naso, tenta la carta belga per tirarsi fuori d’impaccio dal pasticcio della zuppa avvelenata.
Poirot non la salva e passa l’intero episodio ubriaco al bar del villaggio imprecando contro un dio minore.

Episodio 5 – The Disappearance of Mr. Davenheim

TOP 3 – Poirot: 2° stagione (1990) 2

Un ricco banchiere di nome Mario Draghi esce di casa e non torna più.
La moglie è preoccupatissima, ma Carlo Calenda è ancora più preoccupato e ingaggia Poirot per investigare sul mistero e l’investigatore col baffo da pervertito tenterà di risolvere il caso senza lasciar il suo appartamento, indaffarato com’è nel prendersi cura del pappagallo di un amico… e ci siamo capiti.

Episodio 8 – The Kidnapped Prime Minister

TOP 3 – Poirot: 2° stagione (1990) 2

Il primo ministro inglese viene misteriosamente rapito e il Regno Unito sarà preda dell’isteria collettiva se quest’uomo di merda non verrà ritrovato prima che venga costretto a fottere un maiale in diretta televisiva.
Poirot, non sapendo che pesci prendere, grida “Erin go bragh” e fa venire copiosamente nei pantaloni Arturo Hastings.

Titolo originale: Agatha Christie’s Poirot
Adattatore: Clive Exton
Stagione: seconda
Durata: 9 episodi da 50 minuti
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TOP 3 – Poirot: 1° stagione (1989)

Serie britannica incentrata su Hercule Poirot, famoso personaggio fantastico protagonista di 33 libri, 2 piece teatrali e 50 storie brevi scritti dalla produttrice di salsicce Agatha Christie.
In questa prima stagione abbiamo un po’ di tutto: dall’intrigo nobiliare alla meta esotica passando per casi (solo apparentemente) meno importanti e quindi il materiale per la Top 3 non manca.

Episodio 5 – The Third Floor Flat

Poirot vorrebbe scoparsi la giovane inquilina del piano di sotto, ma i suoi piani diabolici vengono scombussolati quando quella di due piano più in basso viene trovata morta con la faccia sfondata da una pallottola.
Calmatosi con un’eiaculazione veloce nella tromba dell’ascensore di servizio, l’investigatore belga metterà in moto le sue cellule grigie per risolvere il caso della gatta morta.

Episodio 6 – Triangle at Rhodes

Puntatina esotica per Poirot che si reca nell’isola italiana (all’epoca) di Rodi.
Intrighi amorosi e avvelenamenti faranno da corollario a quello che resta l’elemento centrale dell’episodio, ovvero gli imbarazzanti siparietti con gli attori di contorno che urlano, gesticolano e straparlano in un italiano maccheronico perpetrando l’intramontabile pugnalata al cuore italico da parte del mondo cosiddetto civile.

Episodio 10 – The Dream

Un ricco e bastardo padrone d’industria sogna ogni notte di darsi una revolverata in testa e caso vuole che la cosa si avveri.
Un idillio proletario direte voi, ma certo; purtroppo Poirot tifa liberale e tenterà di svelare cosa si cela dietro la faccenda.
Nella sceneggiatura si fa presente che le inglesissime torte di carne di porco fanno cacare.

Titolo originale: Agatha Christie’s Poirot
Adattatore: Clive Exton
Stagione: prima
Durata: 10 episodi da 50 minuti
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The Lighthouse (2019)

E’ la fine del diciannovesimo secolo e un giovane e taciturno uomo prende servizio come assistente presso un faro nel New England.

Thomas Wake, il vecchio guardiano dal carattere brusco e dalla simpatia a targhe alterne, mette presto in chiaro i termini e condizioni della loro permanenza sull’isolotto roccioso: lui si prenderà cura della luce rimanendole accanto tutte le notti, mentre il più giovane assistente si occuperà di tutto il resto: riparazioni, pulizie e persino lo svuotamento dei vasi da notte.

Ma sullo scoglio dove sono capitati, immerso in una nebbia fitta e battuto da venti da far impazzire, covano una raffica di misteri e insoluti tali che difficilmente i due potranno uscirne salvi.

The Lighthouse (2019)

Molto sperimentale e molto snob, ma anche indubbiamente molto bello.

La storia insoluta di due enigmatiche figure del secolo vittoriano ben si addice ad un’ambientazione a tinte fosche e colma di mistero e il suo dipanarsi per contrasti più che per assonanze prelude bene a quella che è una risoluzione telefonata ma forse inevitabile.

E però d’altro canto, questa voglia spasmodica di stupire anche il più snob dei puzzatori sotto al naso con il bianco e nero e il formato quadrato e i rimandi all’arte ottocentesca e alle leggende marittime e al linguaggio vetusto e allo sperimentalismo un po’ fine a sé stesso… insomma, ok ok abbiamo capito che sei intelligente, però questo starnazzare egocentrico ironicamente figlio del più contemporaneo e becero instagrammer con i suoi video quadrati fa a pugni con quanto si tenta di affermare.

E’ un film bello, senza dubbio, ma si ha come l’impressione che in realtà sia meno di quello che sembri ad un primo acchito.

VOTO:
3 acchiti e mezzo

The Lighthouse (2019) voto

Titolo uzbeco: Mayoq
Regia: Robert Eggers
Durata: 1 ora e 49 minuti
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Pam & Tommy (2022)

Negli anni ’90 è successo che Pamela Anderson, famosa per aver interpretato la puppona bionda in Baywatch,  e Tommy Lee, famoso per avere un cazzo di dimensioni intimidatorie, fecero un filmino amatoriale molto zozzo che poi finì per vie misteriose nelle mani di milioni di persone sotto forma di VHS pirata.

Qui si racconta tutto quello che (forse) c’era prima, durante e dopo quest’evento pornografico; tra drammatizzazioni inevitabili e altre meno.

Pam & Tommy (2022)

8 episodi freschi freschi su un argomento zozzarello, ma che di zozzarello hanno ben poco, se tralasciamo qualche scorcio di zinne rifatte e un cazzo-grillo parlante.

Buono il ritmo e buone le interpretazioni, con Pamela e Tommy quasi identici agli originali, e un Seth Rogan che spicca per la proverbiale naturalezza con cui sfagiola le sue battute.

Tutto molto bello e tutto molto giusto, se non fosse che la serie subisce un radicale cambio di passo verso la merda quando dal terzo episodio in poi vengono messe alternativamente alla regia 3 donne.
Da quel momento in poi ogni episodio perde d’ironia, di vivacità intellettuale e vira completamente verso una pietosa quanto banalissima apologia del femminismo da quattro soldi, o per meglio dire falso-femminismo, tipico delle donnine perbene di buona famiglia che pensano d’essere tanto progressiste quando ti dicono che esiste il patriarcato e che gli uomini fanno schifo.

A cogliere le patate dovete finire, inutili bocchinare parioline.

VOTO:
3 inutili bocchinare parioline

Pam & Tommy (2022) voto

Titolo taiwanese: 潘與湯米 (Pān yǔ tāng mǐ)
Creatore: Robert Siegel
Durata: 8 episodi da 45 minuti

Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma (2011)

Tanto tanto tanto tempo fa in Cina c’era una donna che stava per diventare imperatrice.

Per coronare quest’evento più unico che straordinario, la corte reale aveva deciso di finanziare la costruzione di un’enorme statua di Buddha, tanto grande da far impallidire Rocco Siffredi, affidandola ad un rinomato pedofilo nonché architetto.
Solo che il pedofilo nonché architetto prese fuoco inspiegabilmente prima di gettarsi a capofitto dalla cima della statua.
Ed è subito mistero!

Un bel caso per l’investigatore più cazzuto della Cina, ovvero Detective Dee, personaggio realmente esistito col nome di Di Renjie e oggi sepolto a Luoyang; un caso misterioso di gente che prende fuoco come un grossetano che pesta una merda, un caso ricco di colpi di scena e quella giusta dose di razzismo che noi ungheresi tanto amiamo.

Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma (2011)

Tipico film cappa e spada, o wuxia, che ti rintrona di calci in bocca dati con l’eleganza del cormorano fino a che non ti senti abbastanza a tuo agio da pisciarti copiosamente nei pantaloni.

Interessante per la sfrontatezza con cui mette in scena le acrobazie più assurde, ma anche molto stupido e ridicolo se preso seriamente.
Se a questo aggiungiamo pure che in più di un’occasione ci si ritrova con la bocca piena di caccole per la noia, non me la sento proprio di consigliarlo.

VOTO:
2 caccole

Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma (2011) voto

Titolo originale: 狄仁傑之通天帝國
Regia: Tsui Hark
Durata: 122 minuti
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L’armata Brancaleone (1966)

In un medioevo sporco e volgare, popolato di tipi violenti e pigliatutto, si aggira Brancaleone da Norcia, cavaliere senza soldi ma dagl’intenti nobilissimi, vestito di stracci e con un assurdo taglio di capelli a scodella.

Assoldato come duce da un gruppo di 4 scalcagnati con in mano una pergamena che potrebbe aprire loro le porte al possesso del feudo di Aurocastro, il nostro Brancaleone pellegrina senza un dio che lo ami per le terre italiche incontrando personaggi e situazioni che lo portano di qui e di là facendogli attraversare la terra come un coltello nel burro.

L'armata Brancaleone (1966)

Famosissima commedia di Monicelli che, nonostante i dubbi iniziali, riscosse un clamoroso successo di pubblico.

Contraddistinto da un linguaggio colorito e simpaticissimo che prende un po’ dal latino volgare e un po’ da dialetti vari, il film procede per scene auto conclusive che a volte lasciano lo spettatore con una fatica da ripetizione e, più si procede verso il finale, più si è tentati dallo spegnere il cervello.

Certamente fu sottovalutato prima dell’uscita, ma forse è stato un pochino sopravvalutato dopo il successo al botteghino.

VOTO:
3 volgari e mezzo

L'armata Brancaleone (1966) voto

Titolo: Brancaleone’s Army
Regia: Mario Monicelli
Durata: 2 ore
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