Un ragazzo, un cane, due inseparabili amici (1975)

Nel 2024 gli Stati Uniti d’America sono una landa desolata sconvolta da una recente guerra nucleare e i sopravvissuti girollanz gironzano ginronzalon, vagano vagano vagano.

Roba già vista, stravecchia, che palle; tutto vero, anche se il film è abbastanza vecchio da precedere pure quel Mad Max che a molti sarà venuto in mente, e però una cosa diversa ci sta ed è quella che poi lo contraddistingue, tra le poche varie, per stranezza e cioè, il cane telepatico con cui il giovane protagonista conversa e trama crimini e sopravvivenza all’insegna del menefreghismo etico, tipico dei liberali.

Un ragazzo, un cane, due inseparabili amici (1975)

Pasticciaccio che, nonostante gli spunti interessanti, tra cui una stramba e stralunante amoralità pervasiva in tutti i personaggi che animano la vicenda, non riesce a stupire e ad imprimersi come opera bella.

Simpatico forse, curiosamente grottesco, ma non certo un capolavoro.
Titolo italiano da manicomio.

VOTO:
3 curiosi grotteschi

Un ragazzo, un cane, due inseparabili amici (1975) voto

Titolo originale: A Boy and His Dog
Regia: L. Q. Jones
Durata: 1 ora e 31 minuti
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Virtuality (1995)

Un poliziotto ha sfondato la bocca ad una giornalista che gli ha puntato la telecamera in faccia mentre fiottava di proiettili un pericolosissimo terrorista comunista che attentava all’ordine costituito secondo il quale ci sono i padroni che sfruttano i lavoratori e loro zitti e muti perché mannaggia cristo voglio i soldi per la bamba e le mignotte sennò faccio a botte.
E questo sfondare la bocca della giornalista lo ha fatto finire in prigione buuu mamma le docce me lo mettono nel culetto coltellini fatti coi cucchiai ciuf ciuf acciuffami il cuore e gettalo nel bitume del porchiddio la bamba.

La bamba.

Virtuality (1995)

Nessuno se lo ricorda, ma questo film era il preferito di Mikhail Gorbachev ed ha parzialmente contribuito alla decarbonizzazione del Congo belga.

A parte queste meritevoli quanto doverose precisazioni, Virtuosity è uno di quei grandi film a basso budget che andrebbero evitato come la peste se non si possiede un blog di recensioni filmiche nel quale riversare tutto il proprio livore o se non si possiede un cancro terminale all’ipotalamo.

A voi la scelta.

VOTO:
2 ipotalami

Virtuality (1995) voto

Titolo originale: Virtuosity
Regia: Brett Leonard
Durata: 106 minuti
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Predator 2 (1990)

E’ il futuristico 1997 e Los Angeles è un inferno di lamiere roventi e palle sudate che neanche te lo immagini.

Se credi che una folle guerra tra bande criminali, formate da minoranze etniche, e la polizia locale sia abbastanza propaganda fascio-liberale, ti spagli di grosso perché sta per scendere in campo il negro più fottuto di tutti, lo stereotipo più azzardato dell’uomo nero, il Predator delle foreste tropicali con i rasta e le unghie incarnite che ha un solo obiettivo in testa: uccidere te e fottere tua figlia, possibilmente in culo.

Predador 2 (1990)
la migliore scena del film

Questo film è un esperimento della CIA sulla sopportazione del dolore per i prigionieri di Guantanamo; non c’è altra spiegazione.

Sopra le righe come Gianni Agnelli sulla cocaina, razzista come Suor Germana e profetico quanto Luigi Di Maio, Predator 2 è indubbiamente uno dei peggiori miglior sequel mai fatti nella storia del cinema (testimoniato anche dal titolo brasiliano, vedi sotto) e se la batte lì lì con quell’altra ciofeca cult di Robocop 2 con cui condivide l’abbandono totale del sottotesto politico del primo capitolo per un abbraccio mortale col più becero populismo liberale.

Di sicuro chi non è rimasto deluso dal film è Dannis Glover che se n’è uscito con la seguente folle dichiarazione:

Ero sui 42, 43 anni… nella migliore forma fisica della mia vita. Correvo sulla spiaggia, mi allenavo, tiravo su più pesi di adesso. Me la sentivo veramente calda in quel film.

VOTO:
2 spiagge e mezzo

Predador 2 (1990) voto

Titolo brasiliano: O Predador 2: A Caçada Continua
Regia: Stephen Hopkins
Durata: 1 ora e 48 minuti
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Spiderhead (2022)

Nella prigione di minima sicurezza fisica e massima sicurezza mentale chiamata Spiderhead, l’oligarca americano Steve Abnesti conduce esperimenti farmaceutici su cavie volontarie(?) prese dalle normali carceri statunitensi.

In cambio di padelle in rame, videogiochi e una certa libertà di movimento, insomma in cambio del normale modello carcerario norvegese, questi prigionieri sono sottoposti ad iniezioni di sostanze sperimentali che ne alterano il comportamento togliendo loro personalità e libero arbitrio.

Dopo aver visto sesso, merda e sangue, elementi apparentemente imprenscindibili in una produzione senza dignità, i personaggi sveleranno misteri che non cambiano una virgola morale ed indirizzo narrativo.

Spiderhead (2022)

Filmetto fantascientifico che ha speso la metà del budget per gli attori e l’altra metà per il cabinato di Joust e che è quindi rimasto a secco di spiccioli per pagare uno sceneggiatore che desse una direzione emotiva ad una storia che in realtà poteva anche sparare qualche colpetto e che invece si affloscia su sé stessa senza giungere né ad una disamina sociale e né ad una conclusione catartica per un pubblico oltre i 15 anni.

Un peccato, perché nonostante sia volgarmente scopiazzato da roba molto meglio come Ex Machina e Black Mirror, poteva dare un qualcosina di più sul piano dei dilemmi morali, dell’inutilità sistema carcerario e sullo strapotere degli oligarchi occidentali sulla popolazione inerme.
E invece nisba.

VOTO:
2 oligarchi e mezzo

Spiderhead (2022) voto

Titolo argentino: La cabeza de la araña
Regia: Joseph Kosinski
Durata: 1 ora e 46 minuti

Demolition Man (1993)

John Spartan è un poliziotto americano che non bada a spese quando si tratta di demolire palazzi interi nell’intento di catturare pericolosissimi criminali neri come la notte della ragione che lui non riconoscerà mai di contribuire a creare.

Ma a un certo punto, punto certo, avendo provocato la morte di 30 ostaggi mentre acchiappava per le palle il pazzo carnefice Simon Phoenix, viene condannato assieme a quest’ultimo al congelamento correttivo in una prigione criogenica per una sonora quarantina d’anni.

Balzo in avanti e siamo nel 2032, la società si è trasformata in una distopia liberale del politicamente corretto dove vieni punito attraverso un sistema a crediti per ogni parolaccia o per ogni comportamento scorretto, tipo mangiare cibi ricchi di colesterolo.

Ed è in questo paradiso per gente tipo Lilli Gruber che John e Simon si ritrovano a darsene di santa ragione, mentre un ricco fascista liberale con un gusto estetico da parrucchiera di Viterbo complotta per terrorizzare la popolazione e spingerla a dargli pieni poteri, come Mario Draghi.

Demolition Man (1993)

Famosissimo film sconosciuto che nonostante abbia molti fan e si fregi di grande classico di serie B, rimane inspiegabilmente estraneo ad ogni discussione sul trash anni ’90.

Scritto male e con una vivace quanto tenue satira politica, recitato da cani simpaticissimi e con una produzione di un certo livello che ha permesso loro di ricreare un futuro neanche troppo lontano da quello che effettivamente si è venuto a creare, Demolition Man è il miglior film da raccomandare ad un caro amico che odiamo tanto.

VOTO:
3 trash e mezzo

Demolition Man (1993) voto

Titolo peruviano: El demoledor
Regia: Marco Brambilla
Durata: 1 ora e 55 minuti
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Downsizing – Vivere alla grande (2017)

Il mondo va a bottane e uno dei motivi principali è la crescita esponenziale della popolazione mondiale che sembra non avere né fine né senso.

Per tentare il colpaccio che tragga tutti dall’impiccio, uno scienziato norvegese studia e scopre il modo di miniaturizzare gli organismi viventi così da ridurre sostanzialmente l’impatto del genere umano sul pianeta Terra e comprensibilmente la tecnologia va mainstream in poco tempo, aprendo nuove frontiere al capitalismo (un nuovo mercato micro-immobiliare) e alla repressione politica (miniaturizzazione di persone sgradite).

In questo piccolo turbinio s’inserisce Paul Safranek che, impressionato come un ragazzino dalla scoperta scientifica, comincia a sognare una via di fuga dalla sua triste realtà di mediocre consumatore dal buon cuore e, passato qualche anno e qualche delusione economica, si decide a discutere il grande (si fa per dire) passo assieme a sua moglie Audrey.

Tutto sembra promettere bene: i loro miseri averi, convertiti nell’economica del micro-mondo equivarrebbero a più di 12 milioni di dollari, abbastanza per smettere di lavorare e vivere bene il resto dei loro giorni…
ma siccome la vita è puttana e Paul non ha soldi per pagarla o un coltello per sventrarla, ecco che la moglie cambia idea all’ultimo minuto e lui si ritrova miniaturizzato e divorziato, perdendo anche gran parte del denaro necessario a permettergli la bella vita, e quindi gira che ti rigira Paul finisce a lavorare al call center di Leisureland.

Coddio e sviluppi inaspettati a seguire.

Downsizing - Vivere alla grande (2017)

Piccola commedia dal grande budget (non ce la faccio a smettere con i doppi sensi da due soldi) e trionfante flop al botteghino per un autore che io ebbi l’audacia di conoscere sul grande schermo con Sideways; un’esperienza che mi lasciò con l’amarissimo in bocca per il qualunquismo dozzinale che sciorinava ogni 15 minuti, ma mi prometto di rivederlo e recensirlo che magari nel frattempo ho cambiato idea.

Qui invece, a mio modesto parere, riesce meglio il pericoloso mix tra leggerezza di modi e profondità d’argomenti e, nonostante alcuni frangenti un po’ stanchi, certi personaggi un po’ sopra fuori le righe e un cerchio narrativo non proprio completo, devo ammettere che di pane per bocche asciutte di contenuti ce n’è.

L’inutilità della fuga dalla propria realtà e la necessità dello sguardo introspettivo per ritrovare la capacità di soffermarsi sulle piccole meravigliose cose che ci circondano per poi vivere una vita che abbia non solo un senso, ma che sia anche utile ai nostri fratelli e sorelle che ci circondano, sono quelle cose anche banali in un certo senso, ma inevitabilmente vere come le pietre che ci portiamo nel cuore.

Consigliato, nonostante le imperfezioni.

VOTO:
3 pietre e mezzo

Downsizing - Vivere alla grande (2017) voto

Titolo: Downsizing
Regia: Alexander Payne
Durata: 2 ore e 15 minuti
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Maze Runner: finding Minho (2014-2018)

Thomas si risveglia gonfio pisto e smemorato come se avesse fatto notte brava a sfondarsi di coca e troie a Pattaya Beach, ma il suo buco del culo dice altrimenti.

Nonostante il silenzio mafioso dei ragazzi che lo circondano gli faccia temere il peggio ovvero essere costretto a votare Carlo Calenda, Thomas scopre presto d’essere finito dentro un gioco più grande di lui, di Calenda e del buco di culo di tu’ ma’.

Da qui si srotola una storia lunga come una fettuccia di cazzo di watusso e insulsa come un voto per Calenda, ma se avrete una pazienza di 386 minuti potrete fregiarvi del prezioso titolo di “bevitore di piscio cinematografico”.

Maze Runner: finding Minho (2014-2018)

Inspiegabile successo commerciale per l’adattamento di una serie di libretti per ragazzi dal dubbio gusto, ma dall’indiscussa diffusione, tipo l’AIDS a Pattaya Beach.

Noiosa, mal scritta, contraddittoria e interpretata da cani, questa trilogia potrebbe essere classificata come “crimine contro l’umanità”, ma non dilunghiamoci troppo visto che s’è fatta ‘na certa e io devo ancora preparare la valigia per il mio turgido travello-trip in Thailandia.

VOTO:
1 watusso

Maze Runner: finding Minho (2014-2018) voto

Titoli inglesi: The Maze Runner / The Scorch Trials / The Death Cure
Titoli italiani: Maze Runner Il labirinto / La fuga / La rivelazione
Regia: Wes Ball
Durata totale: 386 minuti della vostra vita
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Star Wars IV-VI (1977-1983) Despecialized Edition

La famosissima trilogia spaziale con protagonista un imberbe minorenne che non vuole fare il contadino perché lavorare la terra è per i perdenti mentre lui è un vincente e i vincenti dimostrano al mondo la loro superiorità sparando come forsennati ad altri imberbi come loro facendoli saltare in aria e disperdendo le loro cellule nel cosmo profondo.

Vaffanculo la campagna, vaffanculo la vanga, vaffanculo l’impianto d’irrigazione e la merda della vacca, vaffanculo zio Ben grasso laido che caca in mezzo al campo, vaffanculo le cime di rapa.
Viva la guerra, viva la morte, viva il sangue dei militari, viva la libertà di disintegrare le cervella degli altri, viva la candela corta e viva viva la fica larga, viva l’eiaculazione precoce, viva il moschetto, viva il duce e viva il re.

Star Wars IV-VI (1977-1983)

Sinceramente la trilogia originale è carina, ma niente di più.

Se tralasciamo le giustissime lodi al comparto tecnico che, tra navi spaziali e creature mostruose, ha creato un mondo realmente fantastico, sul versante storia invece siamo un pochino scarsi: vita morte e miracoli di un ragazzo che crescendo si trova ad affrontare il bivio tra virtù e corruzione al quale il padre aveva imboccato la via della perdizione anni prima non è poi così coinvolgente e la sensazione forte che si percepisce è una continua rincorsa alla prossima scena per costruire con l’accumulazione quello che la selezione non è stata in grado di fare.

MA in realtà il motivo per cui recensisco ‘sti 3 film è per segnalare l’ottima opera del ceco Petr Harmáček che solo soletto si è messo a fare quello che la Lucasfilm non ha mai voluto, ovvero donare al pubblico la versione originale della trilogia, cancellando per sempre dalla memoria le orribili Special Edition che il pingue Lucas ha rilasciato come noccioline lungo la strada dell’inferno.

Lavorando con alcune vecchie versioni in DVD, quella in Laserdisc, una pellicola spagnola in 35mm e alcune immagini degli sfondi originali, Harmy ha ricostruito fotogramma per fotogramma quello che gli spettatori videro al cinema tanti anni fa.
Ed è uno spettacolo.

Se proprio volete rivedere Star Wars, o siete tra i pochi che ancora non l’ha visto, vi consiglio caldamente Harmy’s Despecialized Edition.

VOTO:
3 armi

Star Wars IV-VI (1977-1983) voto

Titoli originali: Star Wars, The Empire Strikes Back, The Return of the Jedi
Regie: George Lucas, Ivin Keshner, s
Anni: 1977, 1980, 1983
Durate: 121 minuti, 124 minuti, 132 minuti
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Dune (2021)

In un non meglio precisato futuro spaziale, la razza umana si è espansa a macchia d’olio per la galassia grazie ad una spezia chiamata melange che si trova solo sul pianeta Arrakis, altrimenti conosciuto come Dune.

A governare questo cencioso globo desertico, l’imperatore galattico ha piazzato da parecchi anni l’orribile casata degli Harkonnen che, con pugno di ferro e panza da lottatore di sumo, opprimono la popolazione locale dei Fremen, beduini drogati persi della super-spezia che ha donato loro lunga vita, occhi chiari e altri non meglio precisati poteri speciali.

Siccome però la casata degli Atreides, altra famiglia di vassalli spaziali, sta crescendo d’importanza e l’imperatore comincia a temerli, questi elabora un piano talmente convoluto e idiota che ci si chiede se l’imperatore non sia un cerebroleso.

Eccolo:
1- togliere il ricchissimo controllo di Arrakis agli Harkonnen.
2- darlo agli Atreides.
3- far partire la reggenza Atreides con particolare svantaggio fornendo loro mezzi pesanti antiquati e scassati.
4- farli quindi capitolare.
5- invaderli con la guardia imperiale.

Insomma, in altre parole: invece di schiacciare gli Atreides sul loro pianeta originale, l’imperatore li promuove e li fa spostare su un altro pianeta (col rischio di un successo) per poi schiacciarli comunque.

Io dico boh.

Dune (2021)

Seconda trasposizione cinematografica, dopo il grande flop di Lynch, e migliore adattamento dell’omonimo e famoso libro degli anni ’60 di Frank Herbert.

Sul versante prettamente cinematografico c’è poco da lamentarsi: gli enormi paesaggi si schiaffano con leggerezza inaudita in faccia allo spettatore seduto come uno scolaretto al cinema; le interpretazioni, anche se non eccezionali visto che sono anche giocate tutte sulla sottrazione, fanno il loro dovere; e .

Di contro abbiamo Oscar Isaac che alita come un deficiente sperando invano che il reparto effetti speciali faccia il suo magico lavoro di copertura e un generale senso di spaesamento narrativo, non tanto per la storia in sé che non è poi così complicata, quanto per uno scollamento tra la mia attenzione e il resto del mondo mentre mi sono trovato a vagare con la mente in pericolosissime quanto eccitanti visioni di furore e morte generalizzata a scapito dei più inermi e teneri esseri del mondo, i repubblicani.

Da vedere, probabilmente, così dicono.

VOTO:
3 scolaretti e mezzo

Dune (2021) voto

Titolo giapponese: デューン 砂の惑星
Regia: Denis Villeneuve
Anno: 2021
Durata: 155 minuti
Compralo: https://amzn.to/3iiMma9

La guerra di domani (2021)

Un padre assassino, cioè un militare, si ritrova insegnante di liceo (roba da matti) quando ecco che si materializzano dei tizi con in braccio dei fucili e lui viene nei pantaloni perché gli ricordano i bei tempi quando si divertiva a deturpare i cazzi degli iracheni nelle prigioni bunker da dove si udivano i lamenti dei prigionieri misti ai latrati delle loro madri cagne.

La vita è uno sballo quando hai un fucile davanti ai coglioni, pensa il berretto verde Dan Forester, e si offre quindi volontario per far parte dei gruppi d’assalto da mandare nel futuro per fare il culo a dei mostri mangiacazzi che ti dico levate.

La figlia di berretto Dan vuole sborrare pure lei e, in mancanza del cazzo del padre che tante notti ha preso in bocca, imbraccia libro e moschetto diventando una perfetta scienziata militare fascista.

La guerra di domani (2021)

Film demmerda che scopiazza senza vergogna un po’ tutto, in particolare Alien e Edge of Tomorrow, non riuscendo però a mantenere l’attenzione dello spettatore per più di 15 secondi, che io poi mi chiedo come si facciano ad avallare produzioni tanto costose con sceneggiature tanto misere.

E dire che sarebbe bastato metterci uno buono stupro di minorenne o un accoltellamento di senzatetto con la rincorsa… per dio, almeno un paio di tette arrossate dagli schiaffi!

E invece siamo costretti a goderci, si fa per dire, il cazzo venoso di Chris Pratt mentre viene succhiato avidamente dal cadavere di Virna Lisi.

VOTO:
2 Virna Lisi

La guerra di domani (2021) voto

Titolo originale: The Tomorrow War
Regia: Chris McKay
Anno: 2021
Durata: 138 minuti

Ritorno al futuro – Parte II (1989)

Marty è appena tornato dal 1955, la famiglia è diventata ricca, gli hanno comprato la jeep 4×4 per andare a scopare in camporella e tutto sembra volgere al meglio… quando d’improvviso sbuca nel vialetto di casa Doc Brown alla guida della DeLorean, gli fracassa il secchio dell’immondizia e comincia a farneticare del futuro, dei suoi figli e dio solo sa cosa diavolo s’è pippato.

Questo strambo incipit è l’inizio di un’avventura che trasporterà Marty, Jennifer, Doc Emmett ed il fortunato spettatore che avrà la sagacia di sintonizzare le antenna verso questo piccolo capolavoro anni ’80 che avrò visto un milione di volte e che non mi stancherò mai di apprezzare, prima nel “futuristico” 2015 e poi nel nostalgico 1955 mettendo in scena quasi un unicum nel panorama cinematografico mondiale, ovvero rivisitare un precedente film secondo un’altra prospettiva, quella di un personaggio estraneo che osserva e interagisce (con estrema cautela) con quelle vicende e quei personaggi che abbiamo visto e rivisto, donando loro nuova vita.

Ritorno al futuro - Parte II (1989)
il mangia-polvere!

In quest’epoca zeppa di cazzi e cazzotti non si vedono più film così ed è un peccato, perché Back to the Future Parte II, con questa sua verve ironica e mai stupida, è il perfetto veicolo cinematografico per far sognare un mucchio di adolescenti senza friggere loro il cervello.

Per chi ha già visto questo secondo capitolo di quella che è la migliore trilogia sui viaggi temporali mai girata, c’è poco da aggiungere; per chi invece si appresta a vederlo per la prima volta, per via della propria giovinezza, per semplice noncuranza o perché si è risvegliato ora da un coma, mi sento in dovere di non spoilerare nulla di quello che è un bellissimo intreccio narrativo, molto carico di humour e di frenesia.

PS: chiaramente va visto solo ed esclusivamente dopo il primo capitolo.

VOTO:
5 mangiapolvere

Ritorno al futuro - Parte II (1989) voto

Titolo originale: Back to the Future Part II
Regia: Robert Zemeckis
Anno: 1989
Durata: 108 minuti

Star Trek: 1° stagione (1966)

Riassumere in due parole il contenuto di una serie televisiva non è sempre una cosa scontata e a volte mi trovo col difficile compito di dover bilanciare l’elencazione degli elementi narrativi con la mania (tutta moderna) di non dover spoilerare delle trame che definire buffe sarebbe un complimento; fortunatamente questa volta viene in soccorso la serie stessa con il famosissimo incipit che accompagnava ogni singolo cristo d’episodio:

Spazio, ultima frontiera.
Eccovi i viaggi dell’astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all’esplorazione di nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà… fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima.

A questo breve ma pregno riassunto si può aggiungere la variegata composizione dell’affiatato equipaggio della nave stellare USS Enterprise: il capitano James Tiberius Kirk, un uomo dal parrucchino prominente che non vede l’ora di tirare fuori la sua ferrea morale e il suo fascino sessuale (non necessariamente in quest’ordine); il comandante Spock, un alieno del pianeta Vulcano privo dell’emotività umana che agisce solo ed unicamente seguendo la logica (e la paga mensile dell’esercito); il dottor Leonard “Bones” McCoy, un medico incapace di usare un defibrillatore ma sempre pronto a spalmare di silicone un’ameba aliena ferita; l’ingegnere Montgomery “Scotty” Scott, l’integerrimo ripara motori che parla come se avesse sempre 400 lire in bocca che non vuole farsi scappare; il luogotenente Sulu, il gayo asiatico alla cloche direzionale dell’Enterprise; l’ufficiale alle comunicazioni Uhura, probabilmente la prima nera ad entrare in un telefilm con un ruolo che non fosse la serva che ramazza la stanza e sicuramente la prima a mostrare in prima serata le chiappe che spuntano dalla mini gonna; e poi un numero imprecisato di gente vestita di sfavillanti colori che ad ogni puntata vengono giù come mosche senza che a nessuno freghi una beneamata minchia.

Star Trek: 1° stagione (1966)

Recensire la serie TV culto per eccellenza non è cosa facile; primo perché a difenderla a spada tratta ci sono i più ostinati bambinadulti che la Terra abbia mai visto e secondo perché il tutto va chiaramente contestualizzato nella sua epoca… che non è tra 200 anni, ma nei puritani e ignoranti fine anni ’60 pre rivoluzione cultural-giovanile.

Anni durante i quali destava un certo sconcerto vedere uomini e donne di tutte le razze convivere e lavorare pacificamente senza un esplicito ordine gerarchico dettato dal colore della pelle o dal tipo di genitali tra le gambe.
Chiaramente qualche battuta verso il gentil sesso e i suoi stereotipi scappava ancora e le gonne erano più corte della distanza tra il cuore e il buco del culo dei nani, ma guardando la serie si può respirare una stranissima aria di parità che cozzava tremendamente con la segregazione razziale che regnava ancora in certi stati americani e la concezione che la donna fosse buona solo per 3 cose: lavare, stirare e chiavare (non necessariamente in quest’ordine).

Ogni episodio è a sé stante e autoconclusivo, nonostante la serie segua un generale senso unico volto all’esplorazione delle parti sconosciute della nostra galassia, e la trama tende ad essere più o meno sempre la stessa, una volta che la si stringe all’osso: l’Enterprise giunge in un luogo nuovo dove è avvenuto o sta per avvenire un fatto misterioso che può mettere a repentaglio la vita dell’equipaggio, di un pianeta o addirittura dell’intero universo (non necessariamente in quest’ordine) e sarà compito di uno o più membri della ciurma risolvere brillantemente l’intreccio interferendo il meno possibile col naturale corso degli eventi, una direttiva imperativa per la Federazione dei pianeti uniti.

Certo, va anche detto che lungo i 30 episodi della prima stagione Kirk e i suoi uomini vengono a contatto con più roba strana che se fossero in un bordello di Amburgo: rigurgiti cerebrali, papponi stellari, androidi, semidei pacifisti, antimateria, bambini centenari, penitenziari col lavaggio del cervello, alter ego diabolici, rettiliani, viaggi del tempo, computer che governano interi pianeti, superuomini e una serie più e meno infelice di costumi alieni che lasciano col sorriso beffardo in bocca.

Ma la cosa più triste che tocca segnalare è però la parabola fracassata di Jeffrey Hunter, l’attore che interpretò il capitano Christopher Pike nell’episodio pilota “The Cage” prima che il capitano Kirk entrasse in scena.

Subito dopo aver rifiutato di continuare a lavorare in Star Trek per darsi completamente al cinema e finito in relativa miseria con la definitiva chiusura dello studio system hollywoodiano, Jeffrey si prestò alle produzioni cinematografiche a basso costo oltre oceano trovando l’incipit della sua dipartita terrena durante le riprese in terra iberica di ¡Viva América! quando un finestrino di un automobile gli scoppiò in faccia procurandogli una commozione cerebrale e un disallineamento di una vertebra, mai realmente guariti.
Il 26 maggio 1969, cinque mesi dopo l’incidente, mentre si trovava in cima alle scale della sua casa californiana, il povero Jeffrey soffrì poi un’emorragia cerebrale che lo fece piombare giù per gli scalini, sbattendo prima su una fioriera e poi violentemente contro la ringhiera, fratturandosi irrimediabilmente il cranio.

Il capitano Christopher Pike uscì quindi di scena la mattina seguente all’età di 42 anni, proprio quando la serie originale di Star Trek giungeva alla conclusione della sua terza e ultima stagione lasciando i fan di tutto il mondo col fiato sospeso, le mani nei capelli e le mutande calate (non necessariamente in quest’ordine).

VOTO:
3 cloche e mezza

Star Trek: 1° stagione (1966) voto

Titolo retronimo: Star Trek: The Original Series
Creatore: Gene Roddenberry
Stagione: prima
Anno: 1966
Durata: 30 episodi da 50 minuti circa