Due liceali giapponesi sono la croce senza delizia dei loro professori e compagni di scuola.
Truffatori, violenti e svogliati, Shinji e Masaru non intendono conformarsi alla rigida società nipponica per perseguire invece un inesistente sogno di libertà personale e gioia condivisa che neanche riescono bene a idealizzare.
Contornati da altrettanti ragazzi che tentano d’affacciarsi al cornicione della vita adulta senza mostrare il terrore puro nei loro giovani occhi, i nostri protagonisti decidono di realizzarsi in maniere alternative: il più taciturno Shinji si allenerà per diventare un pugile, mentre lo spaccone Masaru si unirà addirittura alla yakuza.
Film di passaggio per Kitano che, dopo l’incidente in moto che lo lasciò mezzo paralizzato, volle dimostrare di poter ancora lavorare attingendo ancor di più al suo personale passato; fondamentali in questo senso il cabaret che fece realmente in Asakusa e poi tutto il sottobosco mezzo criminale da lui segretamente ammirato.
Film dolce e triste che, seppur con alcuni piccoli inciampi, descrive con grande cura e minuscole pennellate i difficili rapporti umani del popolo giapponese costretto dentro un circolo vizioso senza apparente via di fuga.
Solo per un pubblico che ha pazienza di cogliere il non detto.
VOTO: 3 minuscoli pennelli e mezzo
Titolo originale: キッズ・リターン Kizzu Ritān Regia: Takeshi Kitano Durata: 1 ora e 47 minuti Compralo: https://amzn.to/3a4CjnS
3 falliti pensano bene di aprire un agriturismo trasformando un vecchio casale che si erge in terra di camorristi in un posto per fricchettoni che fanno yoga nel cortile mentre viene servito loro del vino di merda per intontirli e farli ridere della loro vita da stronzi.
Un piano perfetto, un piano giusto, un piano papagno; eppure i camorristi chiedono il pizzo balordo e tu non gli vuoi dare i soldi che hai rubato ai fricchettoni per farti le canne in bagno e le pippe in balcone. NO NO.
No, tu i soldi te li vuoi tenere… a costo di rinchiudere i camorristi nel seminterrato e seviziarli con la corrente elettrica sparata sui coglioni mentre si cacano sotto dalla paura e i cani urlano e sbavano a un centimetro da loro cazzo.
Sangue, lacrime, disperazione; sembra un film di Checco Zalone e invece è Noi e la Giulia, un film per famiglie.
Pellicola divertente e senza pretese che si pone su un livello leggermente superiore alla solita storiella sui drammi esistenziali dei 30enni italiani grazie ad una sua certa dose di candore idiota, probabilmente direttamente ereditato da chi lo ha realizzato.
Banalità a palate, recitazioni da sberle e un finale pensando d’essere Truffaut sono gli ingredienti giusti per passare una serata in pace con il tuo dio. Quello con le orecchie da porco.
VOTO: 3 orecchie
Titolo inglese: The Legendary Giulia and Other Miracles Regia: Edoardo Leo Durata: 1 ora e 55 minuti Compralo: https://amzn.to/3wvvkO4
Vi siete mai chiesti perché Monopoli è un gioco inizialmente abbastanza divertente che poi, mano a mano che i giocatori vengono eliminati, diventa un estenuante tirare a campare nell’attesa che qualcuno prevalga spazzando via la concorrenza a suon di acquisizioni e gabelle e affitti?
Il motivo è semplice quanto ampiamente ignorato, ovvero Monopoli vede i suoi oscuri natali nel 1903 per mano di Elizabeth Magie, la quale tentava di spiegare alle masse con un gioco da tavolo i pericoli di un sistema in cui dominano padroni, latifondisti e industriali e i benefici che la società ne guadagnerebbe se questi venissero tassati al punto da eliminare tutte la altre tassazioni minori che colpiscono specialmente le classi non privilegiate. Come dimostra il gioco difatti, quando si applicano le regole capitaliste, tanto care ai liberali, il gioco non solo tende all’eliminazione della pluralità favorendo l’accumulazione in poche mani di tutti i beni, ma diventa oltremodo stupido, ripetitivo e in definitiva insensato.
Ma che c’entra tutto questo con la serie in questione? Tutto e niente allo stesso tempo.
Mini serie accattivante e popolata da un’infiorata di personaggi tra l’assurdo e il patetico che tiene incollati alla poltrona, al divano o a quello che tieni sotto al culo mentre guardi la TV, per tutti e sei gli episodi.
Questo perché l’investigazione federale anni 2000 che nel totale mio personale disinteresse ed ignoranza ha portato a galla una rete criminale vasta e insospettabile è quanto di più lontano dal raccomandabile uno possa trovarsi tra le mani, eppure ve lo raccomando.
VOTO: 4 mani
Titolo alternativo: McMillion$ Regia: James Lee Hernandez, Brian Lazarte Durata: 6 episodi da 1 ora
La coca e i tubetti pe’ tira’ su, le donne che ciancicano le gomme, gente che deve stare sotto la cappella di altra gente, prostituzione, spaccio anche nelle scuole, estorsione, usura, rapine.
Io stanotte vojo passa’ ‘na serata unica; ho già chiamato 4 mignotte.
L’assurdo commissario Schiavoni che parla come se avesse un calabrese imprigionato nella faringe, er palletta, 40 rumene-ucraine massimo 24 anni.
To ricordi Mario? Er sola, er buciardo, er toscano cor pizzetto ciccione? Sì sì, qua carogna. Eh, bravo!
Il film reca in coda questa poetica (e criptica) scritta: “I personaggi e i fatti sono tutti inventati. Pura casualità nel così riferimento accaduto”.
Questo film è un ottimo esempio di ultra-neo-realismo, cioè quando il neorealismo diventa talmente assurdo da sembrare prima fittizio, ma subito dopo più vero di qualsiasi stronzata mainstream tu abbia mai visto, tipo Romanzo criminale o Dogman.
Ho sentito cocaina e fregna e non c’ho capito più ‘n cazzo.
Perché il sottobosco romano, i criminali, i coatti stronzi non hanno niente di magico, non hanno quell’aurea romantica che i film tentano di appiccicare loro addosso; sono invece dei poveracci costretti a recitare la parte dei duri per sopravvivere in una società piramidale e violenta dove vengono pagati 4 euro l’ora per servire ai tavoli di un bar di merda, magari gestito da un ladro che non paga le tasse e poi si lamenta del governo ladro.
C’è di mezzo pure tu’ nipote. Ma chi? Zaira!?!
La realtà è là fuori e tu te ne sbatti al cazzo. La criminalità sei tu, siete voi cittadini comuni che fate schifo mentre vi postate una frase di merda su facebook sull’importanza degli amici veri, siete voi che riempite l’etere con le vostre merdose foto instagram regalate ai colossi tecnologici con sedi nei paradisi fiscali. Il mostro è la società contemporanea e tutte le società passate. Tutte tutte.
Che cazzo piagni!?! Scusa. Scusa ‘n cazzo!
Sarà pure girato male, sarà pure fuori fuoco il 50% delle inquadrature, sarà recitato da dilettanti allo sbaraglio addobbati come manichini dei magazzini MAS, sarà pieno di uomini pompatissimi con tendenze omosessuali, petti rasati e sopracciglia rifatte…. ma ‘sto firm c’ha er cazzo che è ‘n abbacchio.
Io sto agganciata coi colombiani. E me ce trovo morto bene.
La realtà dei fatti è che tutti dovrebbero vedere questo film. Tutti. E poi dovrebbero spiegarmi che cazzo succede… perché io a ‘na certa giuro che non c’ho capito più ‘n cazzo.
Mo to dico ‘n greco: panta rei. Che cazzo vor di’? Significa che tutto scorre nel miglior dei modi.
VOTO: 2 sotto la cappella
Titolo che suggerisco: Pit bulli criminali Regia: Claudio Di Napoli Anno: 2017 Durata: 90 minuti
Frank Sheeran non era un parente di She-Ra, la sorella gemella di He-Man, ma fu un bonario figlio di puttana a sangue freddo che fece da tramite tra la mafia americana e il famoso sindacato degli autotrasportatori presieduto dal potente Jimmy Hoffa durante i favolosi anni ’60 e ’70.
Dopo aver combattuto per gli Stati Uniti nell’invasione d’Italia durante la seconda guerra mondiale ed essersi quindi fatto le ossa in quanto ad ultraviolenza, Frank dedicò una vita intera al crimine “dipingendo case” (questo l’eufemismo usato per gli omicidi)… ma questa sua dedizione al lavoro non gli valse né una vita e né una vecchiaia felice tanto che la povera lucertola morì solo come un cane in una casa di riposo circondato dal vuoto pneumatico, nonostante avesse messo al mondo 4 figlie e tanti si fossero dichiarati suoi amici.
dai, vuoi essere mio amico?!
Queste 3 ore e mezza di film non mi verranno più date indietro e, quando sarò un vecchio decrepito come il nostro Frank Sheeran, piangerò lacrime amare sognando di poterle rivivere per andare a farmi una passeggiata, dipingere un mazzo di fiori o farmi una bella limonata con una donna.
Ma io dico: ma l’anima de li mortacci tua Scorsese, ti stai rincoglionendo anche tu? No perché tutto bello, tutto giusto, bella la fotografia, bei costumi, grandi attori nella canna del fucile… ma io quel fucile vorrei ficcartelo in bocca e premere il grilletto per punirti dell’insulto alla tua carriera, oltre che al genere gangster, che questa roba rappresenta.
A parte che il film è di una noia mortale, specialmente per chi non è americano sopra i 60 anni e quindi se ne strafrega il cazzo di Jimmy Hoffa (e su questo difatti centri appieno il problema con la scena dell’infermiera che non lo riconosce in fotografia… ma allora se volevi fare un film per te e i tuoi amici del circolo di bocce di Los Angeles te lo giravi col cellulare e te lo proiettavi nel cinema di casa), ma poi mannaggia i pappagalli del Perù: ma come cazzo ti viene in testa di prendere un vecchio e ringiovanirlo col computer sperando che possa interpretare la parte di un giovane uomo?
Ma l’hai visto come cammina Robert De Niro che sembra si sia cacato sotto e stia correndo dalla mamma per farsi cambiare il pannolino? Ma quella scena col pestaggio fuori dall’alimentari con Bob fucking De Niro che n’artro po’ cascava mentre tentava goffamente di schiacciare la mano al droghiere non ti è saltata all’occhio come un tantino fatta male?
Dio cristo come sono incazzato.
L’unica cosa interessante in tutto questo pandemonio furente d’emozioni negative è l’aver scoperto che Robert De Niro ha un debole per le nere essendosi sposato per ben due volte con afro-americane… e ora capisco meglio il film da lui diretto A Bronx Tale.
VOTO: 2 pannolini
Titolo quell’altro più bello: I Heard You Paint Houses Regia: Martin Scorsese Anno: 2019 Durata: 209 FOTTUTI minuti
Dave Lizewski è un normalissimo teenager americano con l’inspiegabile e piuttosto sospetta fissa per le tette.
Per arrivare a macinarne un paio, Dave si travestirà da supereroe mascherato andando a manganellare i delinquenti nottambuli e prendendo parecchie crocche sul muso, ma riuscendo nella magica impresa d’impressionare la ragazza dei suoi sogni e poter così toccarle le piccole e delicate tette pubescenziali.
Purtroppo con la conoscenza carnale verrà, come da tradizione cristiana, la punizione divina ed il giovane Lizewski dovrà fare i conti con un mafioso locale intenzionato a farlo fuori assieme ai più temibili supereroi Big Daddy e Hit Girl i quali, lungi dall’essere una coppia DDlg, sono un padre e una figlia assetati di vendetta nei confronti del mafioso locale intenzionato a farli fuori assieme al giovane Lizewski.
Bel film comico coi supereroi che, a differenza dei film seri coi supereroi, si dimostra crudo e violento nella rappresentazione dell’insana cultura dei vigilantes che si sostituiscono allo Stato e così facendo aggiunge quello strato di realismo utile a rendere la vena satirica ancora più efficace.
Nicolas Cage (sempre più matto) spara, zompa e urla frasi sconnesse mentre brucia come un maiale sardo rendendo la sua interpretazione indimenticabile mentre il resto del cast porta un buon risultato a casa nonostante l’impossibilità di compararsi al mito di Long Beach.
Se siete alla ricerca di qualcosa che dia la carica e non volete spendere una fortuna in cocaina, questo è il film per voi.
VOTO: 4 Long Beach e mezzo
Titolo rumeno: Rupe-tot Regia: Matthew Vaughn Anno: 2010 Durata: 117 minuti
La seconda stagione del telefilm fantascientifico per eccellenza vira la barra verso il pop semplicione senza però abbandonare realmente quel velo di sobrietà e serietà proprie delle società pre-sessantottine che si credevano capaci d’interpretare un futuro molto poco prossimo mettendo in scena un futuro molto pieno di stivaletti in pelle e tutine di flanella.
Considerando che questa seconda stagione conta ben 26 episodi, di decrescente bellezza, è stato alquanto difficile giungere ad un trittico che potesse rappresentare degnamente la squadra, ma stringendomi forte i testicoli tra 2 mattoni ho potuto esprimere al meglio il dono della sintesi.
Episodio 1 – “Amok Time”
Mr Spock viene improvvisamente colto dalla fregola della schiacciata, della fregata, della smorzata, della ficcata, del bunga bunga, del fiki fiki, del mondo di mezzo le cosce… sì insomma non riesce a tenere il pitone nei pantaloni tanta è la voglia di farsi una scopata.
In suo soccorso arrivano il capitano Kirk e il dottor McCoy i quali accompagneranno Spock sul pianeta Vulcano per farlo partecipare alla cerimonia Kunat-Kafili alla fine della quale potrà reclamare la giovane Depring, manco fosse al mercato del pesce, la quale però ha in serbo una clamorosa sorpresa che metterà seriamente a repentaglio le copiose erezioni di Kirk.
La frase:
T’Pau: Live long and prosper, Spock. Spock: I shall do neither: I’ve killed my captain and my friend.
Episodio 4 – “Mirror, Mirror”
Mentre il capitano Kirk, il dottor McCoy, il tenete Uhura e l’ingegnere tenente Scotty stanno trattando l’acquisizione di dilithium crystals dagli Halkaniani, una civiltà profondamente pacifica e per nulla convinta degli usi non-bellici dei loro potenti cristalli da parte della Federazione, una strana tempesta magnetica manda in tilt il sistema di teletrasporto dell’Enterprise dirottando i nostri quattro sventurati verso un malefico universo parallelo nel quale la Federazione è un Impero sanguinario e tutto sembra girare attorno la regola del “cane mangia cane”.
Alle prese con un crudele e barbuto Mr Spock e un equipaggio votato a fottere il prossimo, i nostri poveri amici tenteranno di far ritorno al loro “pacifico” universo senza causare l’estinzione dell’intera razza Halkan.
La frase:
Kirk: In every revolution there’s one man with a vision. Mirror Spock: Captain Kirk, I shall consider it.
Episodio 6 – “The Doomsday Machine”
L’Enterprise incontra uno spaziale sigaro meccanico lungo qualche chilometro il cui unico scopo è distruggere tutto quello che gli capita a tiro per poi ingerirne i resti e rimpinguare così la sua riserva energetica; tipo Giuliano Ferrara… ma meno spaziale.
Il capitano Kirk lo ribattezza subito “ordigno fine di mondo” mentre il commodoro Matt Decker, unico sopravvissuto della nave Constellation che aveva provato senza successo a fermare questo sigaro infernale, si fa prendere dalle paranoie suicide e tenta in tutti i modi di ficcarsi con tutta l’Enterprise dentro quest’enorme distruttore cosmico nella convinzione di poter fermare un simbolo fallico con una penetrazione, invertendo chiaramente gli addendi.
Mr Spock, dal canto suo, passa l’intero episodio a trattenere con olimpica calma una pericolosissima scarica di peti dovuta alla magnifica fagiolata della sera prima.
La frase:
Matt Decker: You’re bluffing. Spock: Vulcans never bluff.
Special Mention: Episodio 15 – “The Trouble with Tribbles”
L’Enterprise viene chiamata di gran corsa a sorvegliare un carico di grano transgenico, temporaneamente stoccato nella stazione spaziale K7, che sarà a breve trasportato sul pianeta Sherman nell’ambito di accordi interplanetari volti all’espansione della Federazione.
Ma a noi che ce ne frega? Qua la cosa interessante è l’avanzata dei Tribbles, una specie aliena batuffolosa completamente innocua ma altamente prolifica che sta rapidamente invadendo ogni pertugio, sia della stazione spaziale che della nave Enterprise.
Uno degli episodi più amati in assoluto dai fan della serie e sicuramente uno dei più comici: vedere il capitano Kirk che cerca di mantenere il suo solito piglio serio e fascinoso mentre da fuori inquadratura gli vengono tirate in testa queste palline di pelo è impagabile.
La frase:
Chekhov: Scotch? Scott: Aye. Chekhov: It was invented by a little old lady from Leningrad.
Titolo retronimo: Star Trek: The Original Series Creatore: Gene Roddenberry Stagione: seconda Anno: 1966 Durata: 26 episodi da 50 minuti circa
L’attempato e depresso killer Madhur ha un momento di pentimento quando vede Tinu, un ragazzino senza tetto che gli vende il the quando torna “da lavoro”, percorrere la sua stessa strada criminale e quindi tenta in extremis un capovolgimento totale pensando di andare ad aprire un ristorante in un’altra città portandosi appresso il giovine da redimere così che possa frequentare la scuola.
Gli andrà male.
Cortometraggio di un ex studente della stessa scuola indiana dove ho studiato cinema che batte le solite strade tanto care ai ggiooovani indiani: gangsters, pistolettate, luci colorate, forte contrasto, slow motions inutili e molti (troppi) maschi sullo schermo che ti fanno sempre sperare che almeno comincino di punto in bianco a slinguazzarsi così da esternare questa palese quanto latente omosessualità che si portano sulle spalle.
Titolo tradotto: Il vuoto Regia: Chintan Sarda Anno: 2017 Durata: 23 minuti
Nell’Illinois del 1936, se sei un vecchio nero o un giovane bianco spiantato, non hai molte strade per uscire dal vortice della Grande Depressione se non quelle illegali della truffa e del furto con destrezza.
Ed è proprio quello che fanno il vecchio nero Luther Coleman e il giovane bianco Johnny Hooker raggirando questo o quell’altro stolto da spennare che capita loro sottomano; sfortuna vuole però che il loro ultimo raggiro avvenga ai danni di un corriere della mafia locale che si fa sfilare 11 mila dollaroni dal pantalone facendo chiaramente andare su tutte le furie il boss Doyle Lonnegan, il quale fa precipitare il nero Luther giù dalla finestra di casa prima di mettersi sulle tracce del bianco Johnny il quale, non volendo finire come Giuseppe Pinelli che fu buttato dal quarto piano della questura della polizia di Milano gridando “E’ la fine dell’anarchia!”, muove il culo a Chicago per: 1 – imparare dal veterano della truffa Henry Gondorff 2 – mettere su un piano ai danni del mafioso Lonnegan e 3 – vendicare così l’amico Luther.
Vincitore di 6 premi oscar e campione d’incassi stratosferico al botteghino, questo famosissimo film mi era passato sotto il naso per decenni; ora, avendolo visto e apprezzato, devo ammettere che mi compiaccio di aver rimediato alla lacuna.
Zeppo di loschi figuri intrallazzoni e però giocato tutto in punta di commedia, la pellicola riesce con questo giusto mix a rompere il velo che divide “pubblico maschio single” e “pubblico famiglia” presentandoci una storia non eccezionalmente complicata nei suoi twist narrativi, forse un po’ telefonati per un pubblico moderno, ma che lasciano comunque quel gusto dolce in bocca che ti spinge a volerne ancora.
Puntellato di scene divertenti ed altre persino artistiche, come la bellissima cavalcata delle mignotte sul carosello, si procede verso un finale telefonato ma comunque godibile e l’atmosfera di grande fratellanza che regna tra questi simpatici farabutti che sembrano non badare al colore della pelle, in anni in cui i neri venivano ancora impiccati agli alberi della provincia americana, rende il film persino attuale.
VOTO: 4 neri impiccati e mezzo
Titolo originale: The Sting Regia: George Roy Hill Anno: 1973 Durata: 129 minuti
Jean-Claude Van Damme torna nella sua città natale, Brussels, e si ritrova invischiato in una stroppia rapina ad un ufficio postale compiuta da 3 menteccati, uno più assurdo dell’altro.
Tra toccanti confessioni e una dura serie d’insulti sulla sua carriera d’attore da quattro soldi per film da quattro soldi, JCVD cercherà d’uscire dall’impasse senza che nessuno ci rimetta le penne.
Sorprendente film a bassissimo costo che punta tutte le fiche (inteso come gettoni di plastica e non come passatempo preferito di Berlusconi) sul fattore spiazzamento nel vedere una grande star dei film d’azione mettersi a nudo emotivamente di fronte ad una lunga esemplificazione delle critiche ricevute nei tanti anni di carriera artistica… uscendone (chiaramente) a testa alta.
Non è un capolavoro, ma è probabilmente il miglior film con Jean-Claude Van Damme.
VOTO: 3 cyborg
Titolo originale: JCVD Regia: Mabrouk El Mechri Anno: 2008 Durata: 97 minuti
BombaKabum, ascesa, bombaKabum e caduta di Sam “Asso” Rothstein; uno scommettitore della mafia di Chicago il quale, dopo anni di onorato servizio malavitoso, si ritrovò a gestire il Tangiers casino di Las Vegas per conto delle famiglie criminali nel fruttuoso periodo temporale prima che le multinazionali prendessero il controllo della città del peccato più banale del cosmo che, ancora non ho ben capito perché, attira milioni di teste di cazzo i quali, con le loro monetine che dovrei ficcargli nel culo una alla volta, finanziano i peggiori crimini dell’umanità in cambio di un brividino mentre tirano giù la leva della slot machine senza accorgersi che così facendo stanno solo esprimendo la loro latente omosessualità.
Nel film compaiono in ordine sparso: parrucche, gettoni, lampadine, presse, mafiosi, prostitute, mazze da baseball, nanerottoli e James Woods.
Il caleidoscopico imbuto musicale composto da 63 canzoni suonate una appresso all’altra nel quale lo spettatore scivola senza soluzione di continuità, dalle prime splendide immagini dei titoli di testa (realizzati dal leggendario Saul Bass) alle ultime arrancanti note di una composizione costruita su fondamenta mobili, è sicuramente uno dei punti di forza di una pellicola che altrimenti mostrerebbe ben presto la corda a causa di un affastellamento narrativo, sicuramente giustificato sia dal percorso stilistico del regista e sia dall’ambientazione assurda di una città costruita nel deserto del Nevada dove luci e suoni non s’interrompono mai, ma che tutto sommato lascia rintronati senza un vero giustificato perché.
Probabilmente la maggior differenza col capolavoro precedente Goodfellas, del quale questo appare un ideale seguito non autorizzato e per certi versi meno riuscito, risiede nel protagonista. Mentre lì si pativa assieme a lui lungo il solco della storpia vita di un manovale della criminalità, qui si fatica un po’ a stare al passo con uno che riesce difficile da definire con una definizione altra se non quella di malavitoso col disordine ossessivo compulsivo.
Rimane un buon film, ma è meno bello di quello che potrebbe sembrare a primo acchitto. Come Las Vegas.
VOTO: 4 ex manovali
Titolo originale: Casino Regia: Martin Scorsese Anno: 1995 Durata: 178 minuti
Vera storia del mafioso italo-irlandese Henry Hill che dagli anni ’50 al 1980 ha “lavorato” per il boss locale Paulie commettendo ogni possibile reato fino a quando non è finito a fare l’informatore per l’FBI pur di salvare la pellaccia da una carcerazione pluridecennale o, peggio ancora, un colpo in testa senza preavviso dai suoi amici mafiosi timorosi che Henry potesse cantare mandandoli bevuti, come poi effettivamente ha fatto.
Chiaramente macchiettistico e sopra le righe come esige un film che narra le vicende di un pericoloso gruppo di clown dell’esistenza e considerato da molti come uno dei migliori film della storia del cinema, Goodfellas può essere tranquillamente considerato uno dei miglior film sulla mafia italo-americana perché riesce a rappresentarla per quello che era realmente, ovvero la coalizione più o meno spontanea di una sezione demografica statunitense tagliata fuori dall’american dream che ha quindi deciso di appropriarsene con i violenti mezzi a disposizione ed una buona dose d’ignoranza.
Dimenticati quindi gli orpelli lirici ed involontariamente celebrativi di film come The Godfather, la pellicola segue da vicino le vicende di un gruppo di manovalanza criminale che alterna senza soluzione di continuità assassinii, grigliate di salsicce, droga, pasta al sugo e mignotte in un caleidoscopico susseguirsi di musiche e colori nauseanti come i vestiti di questi orribili mafiosi e il pesante trucco delle loro mogli cornute.
VOTO: 5 spicchi d’aglio tagliati finissimi per farli sciogliere nel sugo
Titolo originale: Goodfellas Regia: Martin Scorsese Anno: 1990 Durata: 146 minuti