True Detective: S02E06 (2015)

Dopo la scoperta della cabina degli orrori alla fine del precedente episodio, i nostri 3 moschettieri del re decidono di allungare il passo ed entrare direttamente nella tana del lupo, ovvero infiltrarsi in una delle segretissime feste orgiastiche organizate da ricchi criminali per il piacere di magnati della finanza e politici corrotti al fine di stringere fruttifere alleanze alle spalle degli onesti cittadini contribuenti.

Per fare ciò, Donnuomo Ami si traveste da mignotta russa per mischiarsi al carro delle vacche da macello (altrimenti chiamate intrattenitrici sessuali) mentre Detective Colin e Paul CHiPs sgattaiolano nelle segrete stanze al fine di rubare documenti e contratti che possano incastrare questi bastardi capitalisti una volta per tutte.
Tra un vecchio che si incula due ventenni sul lavandino del corridoio e una puttana che lecca il culo di un “ospite” che si sta scopando una sua collega drogatissima, ce la faranno i 3 moschettieri a portare a compimento la missione e difendere il popolo dalla corruzione capitalista?

Puntata decisamente migliore delle precedenti 5 (ma ci voleva poco), qui si fanno più chiare le invisibili trame che reggono i fragili equilibri della cittadina di Vinci e più in generale le assurde logiche da medioevo che ancora guidano la politica di mezzo mondo: i criminali corrompono gli uomini di potere con la fica e con la droga (spesso in contemporanea).

Se fossi un idiota italiota, proporrei la castrazione chimica per questi porconi attempati, come quando (troppo spesso) si propone la castrazione (o peggio) per i criminali sessuali; ma ovviamente la soluzione è ben altra e cioè sta nel rimuovere il vero motivo per cui un uomo cede alle lusinghe di una prostituta russa: il patriarcato monogamo capitalista.

Tornando alla puntata, veniamo anche a conoscenza dello stupro subìto da Donnuomo Ami in giovine età, il che spiegherebbe (secondo la psicologia della domenica degli sceneggiatori hollywodiani) la sua avversione verso i maschi e al contempo la sua infaticabile passione per il sesso violento e fatto male.

Nonostante l’episodio sia di molto semplicione e non si aggiuga veramente nulla al moderno panorama cinematografico mondiale, perlomeno si regala un minimo di spessore alla vicenda e si tenta di ampliare il respiro di un’azione fino ad ora congestionata tra un frocio represso, una porcona triste e un alcolizzato senza amore.

VOTO:
3 froci repressi e mezzo

True Detective: S02E06 (2015) voto

Titolo originale: True Detective – Church in Ruins
Stagione: 2
Episodio: 6
Regia: Miguel Sapochnik
Anno: 2015
Durata: 55 minuti

True Detective: S02E05 (2015)

Dopo la sparatoria western alla fine dell’ultimo episodio, Detective Colin, Detective CHiPs e Donnuono Ami vengono sacrificati e messi fuori gioco da poteri forti all’interno e fuori della municipalità di Vinci mentre Gangster Frank prosegue la sua personale scoperta del mondo femminile con l’interessante introspezione nel suo infruttifero matrimonio con Miss Labbra rifatte male.

A richiamare in servizio i 3 moschettieri però arriva presto lo State Attorney in quota afro-americana che vuole scoperchiare la pentola di melma e merda che sta appestando l’intera contea, una melma di soldi sporchi, mignotte rifatte e torture pornos fatti in casa.
Tutta robetta buona per spezzare le reni di parecchi pezzi grossi dell’establishment… ma mancano le prove, in particolare l’hard drive di Ben Casper, fatto opportunamente sparire, che conterrebbe sesso droga e rock and roll, come non ci fosse domani.

La storia di questa seconda stagione di True Detective procede a stento verso un telefonato finale fatto di perversioni e vecchi laidi, tutte cose che non stupiscono più.

Quello che stupisce invece è che nel 2015 i ruoli femminili a Hollywood siano ancora scritti in questa maniera becera, svilente e maschilista: a che serve una donna che dice che le piacciono i cazzi grossi? Anzi, più specificatamente che le piaccioni i cazzi larghi?

Dimmi sceneggiatore hipster finto provatore, cosa volevi comunicare con questa scena?
Era un modo per mettere in imbarazzo i maschi che non sono abituati alle donne che esprimono la loro sessualità in maniera esplicita?
Oppure era uno sbilenco ed inutile tentativo di inspessire un personaggio femminile tormentato e costretto a vivere in un violento mondo dominato dal sesso maschile?
O invece è semplicemente che sei uno stupido pipparolo che maschera la sua pazza voglia di vedere le labbra di Rachel McAdams pronunciare la parola “cazzo” con una finta linea politico-sociale d’avanguardia?

VOTO:
2 pipparoli e mezzo

True Detective: S02E05 (2015) voto

Titolo originale: True Detective – Other Lives
Stagione: 2
Episodio: 5
Regia: John Crowley
Anno: 2015
Durata: 55 minuti

True Detective: S02E03 (2015)

Lo contea di Ventura cerca di usare l’erotomane Ami contro il detective Colin Farrell per arrivare a rompere i coglioni al sindaco della città di Vinci e il sindaco di Vinci a sua volta fa pressione sulla polizia cittadina per stroncare l’erotomane Ami che ha osato entrargli in casa per indagare sul misterioso omicidio del manager cittadino Ben Casper a cui piaceva tanto la perdizione sessuale fatta di giovani prostitute, gigolò ragazzi e oggetti sadomaso.

In tutto ciò, Paul CHiPs non fa nulla.

Continuano le peripezie di tre personaggi in cerca d’autore alle prese con i misteri noir della California inizio millennio.
Grazieaddio per quest’episodio il regista è cambiato e le cose cominciano tiepidamente a migliorare: con un’apertura fantastica e molto Lynchana tra Colin e il padre ex detective (interpretato dal mitico e invecchiatissimo Fred Ward, indimenticabile grugnone bifolco in Tremors) e caratterizzazioni leggermente meno stereotipate, il terzo episodio della nuova stagione di True Detective cerca pietosamente di scalare la montagna di merda ai piedi della quale si era felicemente gettato.

VOTO:
2 montagne di merda e mezza

True Detective: S02E03 (2015) voto

Titolo originale: True Detective – Maybe Tomorrow
Stagione: 2
Episodio: 3
Regia: Janus Metz
Anno: 2015
Durata: 55 minuti

Hot Fuzz (2007)

Il poliziotto Nicholas Angel della polizia di Londra è un vero portento, un primo della classe ligio al dovere sempre pronto a sacrificare il proprio tempo e le proprie forze per servire la Legge.
Nicholas è talmente bravo e talmente ambizioso che i suoi superiori lo fanno trasferire a Sandford nel Gloucestershire, un paesino di merda in una provincia di merda inglese, perché i suoi eccellenti risultati stanno facendo apparire tutti i colleghi come dei nullafacenti.
Arrivato alla cittadina tutta rose fiori stradine cigni berbenismo e stupidità, Nik si troverà ben presto invischiato in un torbido giro di orribili omicidi interconnessi ed una cospirazione fuori dalla comprensione umana.

Hot Fuzz (2007)
omoerotismo a gogò

Secondo capitolo della trilogia del cornetto dopo il fantastico esordio con Shaun of the Dead che parodiava il genere zombie, questo Hot Fuzz è invece un concentrato di rimandi e ammiccamenti ai vari polizieschi e ai film d’azione che tanto hanno popolato i piccoli e grandi schermi di mezzo mondo, dal primo The Great Train Robbery fino alle stronzate tipo Bad Boys.

Con una sceneggiatura perfettamente congegnata e scritta in 18 mesi (mica cazzi), un mistero appassionante e un messaggio pungente (a tratti consapevolmente e autoironicamente fascista) contro il finto berbenismo tipico britannico, Hot Fuzz le azzecca praticamente tutte portando a casa un risultato incredibile: far appassionare allo stesso modo sia un pubblico popolare becero e sia uno più ricercato e colto.

Alla faccia delle diarree nazional-popolari italiche tipo Tale of Tales che invece fanno fischiare i culi di tutti quanti.

VOTO:
4 culi fischianti e mezzo

Hot Fuzz (2007) voto

Titolo originale: Hot Fuzz
Regia: Edgar Wright
Anno: 2007
Durata: 121 minuti

Un lupo mannaro americano a Londra (1981)

David Kessler e Jack Goodman sono due giovani ragazzi americani che decidono di fare un viaggio, zaino in spalla, per la vecchia Europa; prima la grigia e piovosa Inghilterra e poi la soleggiata e sbarazzina Italia.
Persi per le campagne nebbiose dello Yorkshire, i due cercano rifugio e ristoro presso una locanda che sembra essere uscita dritta dritta dalle storie gotiche dell’ottocento, un pub popolato da una piccola e agguerrita schiera di villici omertosi i quali non vedono di buon occhio la venuta dei due forestieri.
Respinti in malo modo e rimessisi in cammino, i due amici vengono quindi aggrediti da una bestia enorme e feroce che sbrana Jack e lascia gravemente ferito David.

Indovinate un po’ che bestia era?

Un lupo mannaro americano a Londra (1981)

Straordinario film ibrido per John Landis (successivo al clamoroso successo dei Blues Brothers) questo An American Werewolf in London impressiona, stupisce, diverte ed emoziona come solo un vero melodramma potrebbe fare.

Con una sceneggiatura scritta parecchio tempo prima durante un viaggio in Yugoslavia tra gypsies superstiziosi e sempre respinta dagli studios hollywoodiani perché avente un registro né veramente comico e né veramente horror, questo capolavoro della cinematografia anni ’80 è riuscito a vedere la luce solamente dopo l’affermazione di Landis come gallina dalle uova d’oro, una gallina con una padronanza filmica da vero professionista.

Giocato molto sul sottile humour inglese (basti pensare all’esilarante scena con i morti viventi al cinema porno i quali elencano tutti i modi con cui David potrebbe togliersi la vita), la pellicola deve molto del suo successo agli straordinari effetti speciali di Rick Baker, effetti che gli valsero l’Oscar come miglior make-up (la prima volta che veniva consegnato).
Nonostante le apparizioni del mostro siano molto sporadiche e brevi, la famosa trasformazione di David è presentata in piena luce e con una grande attenzione financo il più piccolo dettaglio: dalla modificazione della struttura facciale al pelo corporeo, dall’allungamento degli arti e delle falangi all’inarcamento della colonna vertebrale, qui niente viene lasciato al dubbio e lo spettatore più debole di cuore potrebbe rimanere parecchio impressionato.
Oltretutto fu anche la prima volta che al cinema una trasformazione veniva rappresentata con dolore: fino ad allora infatti le mutazioni mostruose erano sempre state veloci e senza spasmi (eccezion fatta per il Dottor Jekyll), qua invece David passa attraverso le pene dell’inferno perché secondo Landis un licantropo non può non provare enormi patimenti fisici durante il mutamento.

Ed essendo un film sulla mutazione e sul diverso e siccome Landis era (ed è) una persona con sani principi d’uguaglianza, questo Lupo mannaro americano a Londra è cosparso di personaggi di tutte le razze e colori: David è un americano ebreo in viaggio per la vecchia Europa, ci sono poliziotti neri, inservienti e pazienti indiani, e la metro è stracolma di punk inglesi.

E’ una cosa bella vedere che un film riconosce la multiculturalità in cui viviamo, e oltretutto questo approccio progressista fa passare il piccolo ma importante messaggio che David il licantropo è solo uno dei tanti esseri unici e perciò speciali che passeggiano per le strade cittadine.

VOTO:
4 esseri unici e speciali e mezzo

Un lupo mannaro americano a Londra (1981) voto

Titolo originale: An American Werewolf in London
Regia: John Landis
Anno: 1981
Durata: 97 minuti

True Detective: S02E01 (2015)

Non ci siamo proprio.
Questa nuova stagione di True Detective si apre nel segno della noia, dello stereotipo, del macchiettistico e dell’assurdo; e la storia sembra complicata solo perché è montata a cazzo di cane quando invece è in realtà parecchio semplice (oltre che stravista in precedenza).

SPOILERS

Allora: ci troviamo in California nella contea di Ventura (sulla costa poco più a nord di Los Angeles) e come, da copione, tutto sembra andare in malora: la violenza e la perversione regnano sovrane e la città sta per svelare un imponente progetto urbanistico/viario che promette di portare parecchi dindini nelle tasche di mafiosi e politici corrotti.
Questa bolla però sembra stia per scoppiare perché un giornalista hipster che vive in una casina di legno di periferia e che guida una macchinina blu cielo ha fatto appena uscire la prima di una serie di 5 reportage sulle macchinazioni criminali che governano le istituzioni cittadine.

A fermare questo giornalista alla Milena Gabbanelli viene mandato il corrotto detective Ray Velcoro (chiamato da me Colin Farrell perché non riesco a vedere proprio altro nella sua performance) che, per fermare l’uscita degli altri reportage, riempie di botte Mr Hipster e gli ruba il laptop…

…come se nel 2015 non ci fosse il cloud storage e la redazione del giornale presso cui l’hipster lavora non avesse già accesso da rempoto a tutto il malloppo di informazioni.
Ma vabbé, questa minchiata di telefilm vuole imitare i polizieschi anni ’90 come L.A. Confidential che voleva imitare Chinatown che voleva imitare i polizieschi anni ’40 e ’50 quando certo non esistevano i computer e il cloud e le email e bastava spaccare una bottiglia in testa al giornalista e rubargli la macchina da scrivere con tutti i fogli per stoppare le inchieste.
Tutto questo, tra l’altro, passando attraverso la lente deformante di una commedia noir come Chi ha incastrato Roger Rabbit, prodotto infinitamente migliore di questa scatarrata in pieno petto.

Dicevamo: Colin è stato mandato da Frank Semyon, un pezzo grosso della mala locale, un incredibile bamboccione stempiato interpretato da un Vince Vaughn in cerca di riscatto personale dopo le numerose commedie da ergastolo che lo hanno visto protagonista negli ultimi anni (spesso insieme al suicida fallito Owen Wilson).
Colin lavora per Frank perché anni prima Frank aveva fatto fuori (senza un reale motivo) lo stupratore della moglie di Colin, la quale aveva poi spurgato un bambino bastardo (nel senso di illegittimo) pel di carota che non potrebbe essere figlio di Colin neanche se la madre fosse vichinga.
A complicare le cose però arriva la scomparsa di Benjamin Casper, il direttore amministrativo della città (il vice del sindaco per intenderci), che ha lasciato in fieri il mega affarone mafioso ancora da annunciare agli investitori e un villone di sua proprietà pieno zeppo di cazzi di gomma, dipinti di donne senza testa e scheletri vestiti come Madonne da incubo.

True Detective: S02E01 (2015)

Qui è chiaro che Nic Pizzolatto, il creatore e scrittore della serie, vuole stupire a tutti i costi un pubblico sempre molto avvezzo a farsi prendere per il naso con trucchetti semplicini semplicioni sempliciotti come questi.

Cazzi di gomma? Spavento froci perversione. Qui c’è sotto qualcosa di diabolico!
Scheletri ingioiellati? Paura, le tombe l’Egitto, i film vecchi che piacevano a nonna!

A me semplicemente mi è venuta in mente un’altra scena di un altro film sempre con Colin Farrell.
In Minority Report, Colin fa l’investigatore alla ricerca di Tom Cruise assassino e ad un certo arrivano alla scena del crimine dove Tom avrebbe ucciso il pedofilo che aveva rapito suo figlio anni prima: sul letto e per tutta la stanza ci sono foto di bambini, segno inequivocabile dell’attività criminale del morto. Colin non ci casca e dice qualcosa di molto sensato: “Questa scena del crimine è un’orgia di prove… e sai quante orge di prove ho incontrato nella mia carriera? Nessuna”.
Perché per l’appunto nella realtà dei fatti (seguendo i quali True Detective dovrebbe essere stato scritto) i matti e i cattivi sono tutto sommato persone normali: hanno lavori comuni e a volte gratificanti (tipo vice sindaco) e non passano certo il tempo a ficcarsi cazzi di gomma in culo mentre si masturbano sotto uno scheletro vestito da principessa.

Qui il problema è che gli sceneggiatori di Hollywood confondono la realtà con la loro immaginazione, e io non sto qui a giudicare Nic perché sogna di mettersi i cazzi di gomma in culo mentre si masturba sotto uno scheletro vestito da principessa.
No, io contesto che ci facciano una serie televisiva sopra e alla quale milioni di boccaloni ignoranti abboccano pensando che sia una cosa bella e alternativa.

A conclusione abbiamo poi gli altri due personaggi primari: due poliziotti della stessa contea, entrambi con problemi seri di autostima e comprendonio.
Uno è un veterano dell’esercito, ora poliziotto in motocicletta stile CHiPs, che prende il viagra di nascosto dalla sua ragazza fotomodella con la quale non vuole condividere un amore perché si vuole autopunire guidando a fari spenti nella notte manco fosse in una canzone di Niccolò Fabi, e l’altra è una donna che fa sesso strano con colleghi sprovveduti i quali caccia di casa subito dopo il coito manco fossero mignotte e che ha un padre capo sprituale fricchettone ridicolo al massimo che due ceffoni se li meriterebbe subito subito e una sorella ex tossica che ha perso la retta via e ora si masturba in webcam previo lauto pagamento con carta di credito (chiamala scema).

Insomma, come al solito ci troviamo di fronte una zuppa di stereotipi fatta di maschi tenebrosi e alcolisti che dentro dentro vorrebbero solo amare e donne stronze e acide e dure e con le spine che in realtà hanno solo bisogno di un uomo che le addolcisca con un bacino sul mento.
In genere questi due stereotipi si incontrano e, dopo una serie di incomprensioni che sembrano portarli alla rottura, trovano un fine comune dietro il quale marciare uniti e grazie al quale impareranno che la felicità è dietro l’angolo.
Basta volerla.

True Detective?
Ma vaffanculo.

VOTO:
2 donne stronze acide dure e con le spine che in realtà hanno solo bisogno di un uomo che le addolcisca con un bacino sul mento

True Detective: S02E01 (2015) voto

Titolo originale: True Detective – The Western Book of Dead
Stagione: 2
Episodio: 1
Regia: Justin Lin
Anno: 2015
Durata: 55 minuti

Jurassic Park (1993)

La storia la sanno pure i sassi ormai (almeno spero), quindi non entro nei dettagli.

Un impresario miliardario vuole costruire un parco dei divertimenti con i dinosauri a fare da attrazione; prima dell’apertura, chiama un paleontologo, un matematico, una paleobotanica, un avvocato e i suoi due nipoti per fare un giro di prova…e le cose vanno a scatafascio.

Correva l’anno 1993, io mi apprestavo ad andare in prima media, e Steven Spielberg mi omaggiava facendo uscire il film più fico che un bambino potesse mai desiderare.

guarda mamma! un dinosauro!
guarda mamma! un dinosauro!

Tratto dal romanzo omonimo di Michael Crichton (cristo, non sapevo fosse morto!), il film si concentra sulle implicazioni della manipolazione genetica ed il classico mito di Prometeo: quando gli umani giocano a fare gli dei, brutte cose accadono.
Come ciliegina sulla torta, c’è la moraletta che la vita trova sempre il modo di emergere, indipendentemente dalle costrizioni a cui l’uomo la sottopone.
Spielberg, si sa, è un reazionario con poca fiducia nella scienza, basti pensare a Minority Report, ET e Incontri ravvicinati del terzo tipo, tutti film la cui morale è più o meno “gli scienziati sono insensibili e un po’ ottusi mentre l’amore vince su tutto”.
A differenza di Berlusconi però, Steven sa fare una cosa bene nella vita, cioè girare i film, e con Jurassic Park ce lo ha dimostrato ampiamente (come se ce ne fosse bisogno); qui tutto funziona alla perfezione: dal sapiente e sporadico uso della computer grafica (vera pietra miliare nel campo), alla caratterizzazione dei personaggi (meravigliosa Laura Dern, vera eroina donna che per farcela nella vita non usa la sensualità ma bensì il cervello, alla faccia dei beceri maschilisti ignoranti dei nostri tempi che non sanno scrivere un personaggio femminile senza metterci dentro una battuta sessista).

In questi giorni esce Jurassic World e, al di là del giudizio generale, una cosa si può facilmente evincere: il pubblico odierno non riesce più a digerire un film se non è pompato alla massima potenza nel comparto tecnico.
Ed ecco un esempio per capire meglio:

trova le differenze
trova le differenze

Sopra Jurassic Park, sotto Jurassic World: il secondo ha chiaramente subìto un lavoro di saturazione dei colori per impressionare meglio un pubblico incapace ormai di sorprendersi con la semplice caratterizzazione dei personaggi.
Questa è la generazione Instagram, l’applicazione di merda che altera le foto facendole quadrate e rovinandone colori, bilanciamenti e consistenza cromatica .
Una volta questi erano considerati errori, ora sono la regola.

Per fortuna esiste la storia, cioè la trascrizione fisica delle esperienze del passato, che ci permette ancora oggi di assaporare Jurassic Park, un film di fantascienza come cristo comanda.

VOTO:
4 Velociraptor e mezzo

Jurassic Park (1993) voto

Titolo originale: Jurassic Park
Regia: Steven Spielberg
Anno: 1993
Durata: 127 minuti

Enemy (2013)

Sono venuto a conoscenza di José Saramago, lo scomparso scrittore premio nobel portoghese, con un suo bel libro di racconti chiamato Oggetto quasi.

Il primo di questi si intitolava La sedia ed era la disamina della caduta di un uomo dalla sedia (giustappunto) vista al rallentatore.
L’uomo era l’odiato dittatore fascista portoghese Salazar, morto in seguito ad una caduta da una sedia (arigiustappunto), e il racconto era solo uno degli esempi della vera e propria fissazione di Saramago per la critica ai totalitarismi.

Ecco, se vedi il film Enemy (tratto dal suo libro L’uomo duplicato) ci noti i riferimenti alla dittatura (dai graffiti sui muri con l’omino fascista alle lezioni di storia impartite dal protagonista) e allora ti chiedi se c’entri qualcosa tutto ciò, ti chiedi se nella storia kafkiana di un uomo qualunque che scopre il suo gemello, premessa che innesca una serie di eventi che portano il fragile equilibrio della realtà a declinare verso l’oscuro, non ci sia anche un qualche rimando all’oscurità portata in punta di fioretto da un regime totalitario che regala ai suoi sudditi panem et circenses nel tentativo riuscito di distrarli da quello che accade loro intorno.

Enemy (2013)
solo l’uomo penitente e fascista potrà passare

Non mi capita spesso di rimanere parecchio scombussolato durante e soprattutto dopo la visione di un film; avendone viste di cotte e di crude, ho ormai sviluppato un certo numero di anticorpi filmici i quali mi permettono di superare indenne i malanni di sceneggiature pretenziose e falsamente criptiche tipo Inception il quale non è se non un vano tentativo di metaforizzare lo spaesamento di un uomo che non riesce a darsi pace dopo la morte della moglie, facendo uso di una teatralità più che esplicita nella messa in scena e nella caratterizzazione dei personaggi, ognuno dei quali riveste chiaramente un ruolo nella commedia che vanno vivendo (lo sceneggiatore, l’architetto, il produttore, l’attore e via dicendo).

Enemy ha certo al suo fondo (fondamenta) la semplicità di una storia di redenzione mancata; tutto il carosello narrativo gira infatti intorno ad un marito fedifrago che vede le donne come mostri predatori il cui unico scopo è tenere i maschi intrappolati nelle loro ragnatele.
Ma Enemy è molto di più e forse per questo parecchi spettatori rimangono con un certo livore inespresso dopo averlo visto; spezzando una lancia in loro favore, c’è da dire che i continui intrecci caratteriali dei due personaggi, i loro reciproci rimandi in quello che sembra un loop temporale destinato a ripetersi all’infinito (esattamente come le tragedie e le farse di Karl Marx citate non a caso dal protagonista stesso durante una lezione sulla ciclicità dei totalitarismi) sono volutamente di difficile comprensione e mettono a dura prova anche il più attento degli spettatori.

Viene in mente anche tutta una serie di film sull’invasione aliena silenziosa, sulla disgregazione invisibile dei valori societari tranquillizzanti di una società perbenista e solo apparentemente immutabile come quella americana.
They Live con i suoi alieni capitalisti camuffati da umani e L’Invasione degli Ultracorpi con i baccelloni da guerra fredda che prendono il posto degli abitanti di una simpatica cittadina anni ’50 sono sicuramente pane per i denti dello sceneggiatore di Enemy il quale ha inserito a ragione la presenza totalmente spiazzante dei ragni giganti all’interno della storia di Saramago.

Jake Gyllenhaal dà una delle sue migliori interpretazioni e si conferma un attore versatile e a tratti inquietante, mentre il resto del film vive di una tecnicità perfetta che trae linfa vitale da un uso azzeccatissimo del generalmente abusato filtro verde-neon alla Matrix (per una volta in accordo con il significato narrativo), dai movimenti di macchina dolci e allo stesso tempo viscidi (propri di un aracnide che si avvicina alla sua preda) e da un accompagnamento musicale come non se ne sentiva da tempi, roba da comprarsi la partitura originale.

Ci sarebbe molto da dire sulle emozioni suscitate da Enemy, sulla repulsione verso il gentil sesso che questo film sembra voler suggerire a più battute, sulla costruzione narrativa allo stesso tempo ipotattica e paratattica, e sulla moltiplicazione dei significanti i quali puntano inesorabilmente tutti verso un unico significato segreto.

C’è molto e molto lascio stare; perché Enemy va visto, senza troppe informazioni, a mente vuota… proprio come si vive sotto un regime totalitario.

VOTO:
5 Mussolini

Enemy (2013) Voto

Titolo originale: Enemy
Regia: Denise Villeneuve
Anno: 2013
Durata: 90 minuti
Compralo: https://amzn.to/3ojVu0d

Insidious (2010)

La famiglia Lambert è spaventata dagli spiriti che infestano la loro casa e decidono quindi di trasferirsi; quello che non sanno è che non è la casa ad essere posseduta, ma il figlio.

Per la precisione, il pargolo ha la capacità di viaggiare verso i piani astrali che sono sfere concentriche tra la Terra e il Paradiso nelle quali esistono esseri sovrannaturali come angeli e spiriti; in questo caso però l’Oltre è sinonimo di Oltretomba e il piccolo Dalton si ritrova intrappolato tra demoni e anime dannate nell’impossibilità di tornare nel suo corpo fisico, un guscio ora vuoto verso il quale si stanno concentrando gli interessi di parecchi spiriti vagabondi assetati di vita.

Insidious (2010)

Dallo stesso regista e stesso sceneggiatore della merdosa serie orrorifica di Saw, ecco un film dal buon potenziale lasciato completamente alle ortiche.

Sì, perchè la storia della famiglia alle prese con spiriti sovrannaturali è un grande classico che difficilmente sbaglia, ma allo stesso tempo più si va avanti con la visione più sembra che elementi di molto avulsi al tema vengano buttati a calci in culo dentro il calderone tanto per fare brodo, il che è male.
Si respira un po’ di Divina Commedia, un po’ di Orfeo e Euridice, un po’ di Poltergeist e un po’ di cazzata fresca, e in mezzo a tutto questo mare di “rubamatic” lo spettatore medio si trova forse un po’ confuso verso quali lidi approdare con il suo prezioso carico di sentimenti contrastanti.

La cosa che si può apprezzare di più è la totale assenza di sangue e, considerando le tendenze odierne in fatto di horror, la si può considerare una piccola vittoria: il saper spaventare un pubblico variegato con vecchi classici come buio, violini, trucco e parrucco è merce rara e indubbiamente qui si va sulla strada giusta con più di una scena genuinamente spaventevole.
Il problema risiede però nell’incoerenza tra la parte di set up e il pay-off finale: tutta questa tensione costruita in bilico tra i due mondi, quello reale e quello trascendentale, viene presto distrutta da un raffazzonato salvataggio da parte del padre (a sua volta portatore sano di poteri astrali) e una risoluzione per nulla catartica nella sua frettolosità.
Sembra quasi che gli autori non sapessero bene come gestire la loro stessa idea e ne abbiano quindi tratto una fine tirata a calci giù per la via della banalità.

VOTO:
3 Dante e Virgilio a riveder le stelle

Insidious (2010) Voto

Titolo originale: Insidious
Regia: James Wan
Anno: 2010
Durata: 103 minuti

Cremaster 4 (1995)

Due coglioni (nel senso di testicoli simbolici) gareggiano per le strade dell’Isola di Man mentre il regista, travestito da fauno irlandese, fa il tip tap in un casotto su un pontile.
Poi lui cade in mare, continua a ballare il tip tap, si ritrova in un condotto spermatico nel quale sguscia e striscia ricoperto di vasellina e alla fine esce a riveder le stelle.Ah!
Vince il testicolo blu.

Cremaster 4 (1995)
uno dei due coglioni è sempre più basso dell’altro

Primo capitolo (si comincia col 4, come in Star Wars) del ciclo Cremaster interamente dedicato al muscolo cremastere e cioè quel muscolo che fa andare su e giù i coglioni a seconda della temperatura o di un pericolo imminente, questa masturbazione cinematografica ricolma di simbolismi semplicioni e provocazioni da museo di periferia è stato trampolino di lancio per il regista Matthew Barney tanto da consegnarlo, alla fine di questa pentalogia, nell’Olimpo degli artisti contemporanei.

Da molti chiamato genio e innovatore, da altri (Me) truffatore da secolo decimo nono, Matthew è riuscito nella titanica impresa di prendere per il culo i più grandi musei e critici mondiali con queste sue operette tristemente mediocri tecnicamente, spudoratamente basso-provocatorie e falsamente profonde.

Cremaster 4 in realtà è profondo quanto i miei coglioni in posizione da riposo; non molto.

VOTO:
1 Philippe Daverio

Cremaster 4 (1995) Voto

Titolo originale: Cremaster 4
Regia: Matthew Barney
Anno: 1995
Durata: 42 minuti

Alien (1979)

Questo film è talmente famoso che la storia la conoscono un po’ tutti, quindi vado per le spicciole.
L’astronave da trasporto Nostromo sta tornando sulla Terra con i suoi 7 membri dell’equipaggio in condizione di stasi quando questi vengono svegliati dal computer di bordo Mother (madre) perché un segnale d’aiuto è arrivato da un pianeta lì vicino.
Scesi sul corpo celeste, scoprono un’enorme nave stellare caduta centinaia di anni prima dentro la quale ci sono decine di mostruose uova aliene che aspettano di schiudersi in faccia al primo stronzo che passa; ed infatti una di queste si apre ed il mostro al suo interno attacca uno degli astronauti appiccicandosi alla sua faccia e mandandolo in coma.

Quello che gli altri 6 poveretti non sanno è che questa è solo la seconda fase di un ciclo di vita alieno perfettamente rodato; questo mostro infatti impianterà poi un ovulo nello stomaco della vittima, l’ovulo si tramuterà in embrione il quale uscirà spaccando la cassa toracica del genitore putativo e nel giro di poche ore crescerà fino a diventare un coso fallico nero alto 2 metri il cui unico scopo è fare fuori chiunque gli si pari davanti.
Il resto del film lo potete dedurre da soli.

Alien (1979)

Alla sua uscita Alien fu ricevuto con pareri contrastanti e nonostante incassò parecchi soldi, probabilmente sulla scia della rinascita della fantascienza a opera di Star Wars, non si può non sottolineare come parte del pubblico e della critica si allontanarono da un prodotto così violento e disturbante come questo.
Quello che molti all’inizio non avevano capito però è che questa sorta di repulsione/attrazione non era altro che la logica conseguenza dell’evidente sottotesto sessual-perverso che sottende tutta la pellicola e che sicuramente deve aver turbato i soffici sonni di più di un puritano.
Dal mostro con la testa a cazzo (opera del matto artista svizzero H. R. Giger) agli ovuli fregna con annessa croce cristiana, dall’equipaggio embrione nel ventre di Madre che respinge l’invasione del cazzo espellendolo nel freddo spazio profondo di una camera da letto di periferia alla protagonista androgina interpretata da Sigourney Weaver, dal tentativo di omicidio di Ripley tramite rivista porno arrotolata in bocca agli ambienti sempre bui ed umidi nei quali i piccoli personaggi si trovano a dover fronteggiare le loro più profonde paure… Alien è talmente carico di messaggi subliminali che ci vorrebbe un prete cieco e bugiardo per negarli.

La scelta stilistica di non rivelare il mostro e celarlo invece tra gli ingranaggi e gli oscuri cunicoli della nave ha giocato senza dubbio in favore di un’opera che, a distanza di più di 30 anni, resta ancora perfetta sotto molti punti di vista.
Talmente perfetta che ha generato 3 sequels, un prequel e una miriade di cloni e sottoprodotti in varie branche artistiche, tipo il videogioco Metroid per il Nintendo.
In un prossimo futuro dovrebbe uscire il nuovo capitolo diretto da Neill Blomkamp, quello di District 9 e Chappie.

VOTO:
5 teste a cazzo

Alien (1979) voto

Titolo originale: Alien
Regia: Ridley Scott
Anno: 1979
Durata: 117 minuti

I guerrieri della palude silenziosa (1981)

Dallo stesso regista di The Warriors, ecco un’altra storia ispirata alla celebre opera Anabasi di Senofonte, un librone in cui lo storico e mercenario greco racconta la propria esperienza di generale tra i 10mila soldati assoldati da Ciro il giovane per conquistare la Persia e il difficilissimo ritorno a casa per terre sconosciute e popolazioni ostili.
E sia The Warriors sia Southern Comfort parlano proprio di questo: un piccolo gruppo di guerrieri in terra nemica cerca con tutte le forze rimaste un improbabile ritorno a casa; i primi erano inseguiti per le buie e malfamate strade di New York, i secondi sono braccati come conigli nelle paludi francofone della Louisiana.

Questo bel film a cavallo tra i politici anni ’70 e i capitalisti anni ’80 è forse un po’ uno spartiacque, e del regista Walter Hill e del cinema americano in generale: fino a lì molti autori si erano infatti distinti per la forte carica politica nelle loro opere filmiche, anche un cieco può vedere in questa pellicola il chiaro rimando alla guerra in Vietnam da una parte e la critica al basso razzismo ignorante dei bogotti degli stati del sud dall’altra; ma con l’avvento dei rampanti anni ’80 Reaganiani tutto è andato a rotoli e il cosiddetto Riflusso s’è inghiottito le rivoluzioni culturali con tutti i suoi ideatori.

Girato interamente in loco tra acquitrini zanzare e freddo, il film andrebbe premiato anche solo per lo sforzo produttivo; se a questo aggiungiamo un’ottima storia e un bel cast in cui spuntano Fred Ward, del mai dimenticato Tremors, e Peter Coyote, famoso sinistronzo americano che si cambiò il cognome dopo un trip allucinogeno da Peyote, beh allora si capisce che siamo a cavallo.
Walter girerà successivamente 48 ore con un Eddie Murphy poliziotto che a sua volta darà lo spunto a Beverly Hills Cop, e questa cosa fa un po’ tristezza; se si pensa che forse fu il flop clamoroso al botteghino di Southern Comfort a far cambiare rotta ad Hill, ci si domanda allora quanto potere abbia il mercato nell’indirizzo dell’arte e delle sue correnti.
Ma questa è un’altra storia.

VOTO:
4 ignoranti bigotti del sud

I guerrieri della palude silenziosa (1981) Voto

Titolo originale: Southern Comfort
Regia: Walter Hill
Anno: 1981
Durata: 106 minuti