L’amore bugiardo – Gone Girl (2014)

David Fincher è un regista americano famoso per i suoi film di stupefacente bellezza ed interessantissima innovazione.

Gone Girl (perché mi rifiuto di chiamarlo L’amore bugiardo) fa parte di questa ristretta cerchia di pellicole tanto sofisticate quanto accessibili da un grande pubblico; qui siamo di fronte ad un meccanismo perfetto che si apre di fronte agli occhi di un pubblico che ha avuto l’intelligenza di premiare un’opera di così alta caratura, un adattamento da libro che ha cercato di rispettare il più possibile la volontà dell’autore (ingaggiando la scrittrice stessa per scrivere la sceneggiatura), una favola nera dei nostri giorni con tutti i colpi di scena e gli sbalzi emotivi che solo una grande storia è capace di suscitare.

L'amore bugiardo - Gone Girl (2014)

Ora, siccome ci sono alcuni colpi di scena e chi non l’ha visto merita di godersi il film, cercherò di evitare a tutti i costi ogni possibile riferimento ad essi mentre spiego perché dovete subito correre a vedere questo film.

Gone Girl è un ottovolante emotivo ipnotizzante: due ore e mezza di mistero e risentimento che volano via in un batter d’occhio e ti ritrovi a pensare quanto la storia potesse finire da un momento all’altro e quanto non finire mai.
Non avendo letto il libro omonimo da cui è tratto, non posso giudicare quanto questo sia merito della storia originale e quanto del regista, ma una cosa la si percepisce subito: qui siamo su altissimi livelli; qui siamo di fronte ad uno dei thriller più belli mai girati, non per la sua particolare originalità (che non c’è poi tanto), quanto per la certosina capacità di David Fincher di saper mischiare molti elementi forse stridenti e tirarne comunque fuori un’opera coesa, strutturata eppure terribilmente destabilizzante.

Messo da parte quindi l’assunto che è un’opera straordinaria, passiamo alle ridicole polemiche intorno al maschilismo di Gone Girl: il film va preso per quello che è, e cioè una storia su una donna scomparsa e sul suo misterioso marito, punto. Chi vuole per forza vedere dei messaggi dietro le dinamiche dei due protagonisti, dovrebbe allora per correttezza prendere in esame altri 3 personaggi co-primari nella storia (2 femminili e uno maschile) che non rispecchiano assolutamente le stereotipate caratteristiche della duo di sposini infelici protagonisti di questa macabra favola post-moderna, ma anzi spesso ne ribaltano il giudizio che abbiamo su di loro portando alla luce nuovi elementi che noi e il pubblico fittizio nella storia avevamo dimenticato di considerare.

Le musiche di Trent Reznor (dei Nine inch nails) poi sono uno stranissimo ed efficacissimo connubio di musica d’ambiente rilassante e stridore cacofonico; una scelta stilistica volutamente richiesta dal regista proprio per comunicare quel senso di calma piatta sotto cui serpeggiano mostri sconosciuti verso cui siamo mortalmente attratti.
Un must.

Gli attori infine sono in prima linea nel veicolare una sceneggiatura sottile ma mai superficiale e Ben Affleck tira finalmente fuori il talento che ha dentro per dare vita ad un personaggio così avulso da noi (e dal suo stesso ambiente) eppure così stranamente familiare.

Fincher non crede nell’umanità, la considera sporca e perversa, un concetto ribadito spesso nelle sue pellicole; questo però non impedisce lui di bilanciare il giudizio negativo con una giusta dose di rispecchiabilità tra pubblico e personaggi, i quali non sono mai alieni da odiare od amare per la loro unicità, ma più strani spettri da desiderare vicino per poi zittirli violentemente ed impedire così loro di ribadire al mondo intero quanto siamo tutti uguali dietro il velo di perbenismo sotto cui ci piace dormire i nostri abominevoli sogni tranquilli.

VOTO:
5 Oscar Wilde

L'amore bugiardo - Gone Girl (2014) voto

Titolo originale: Gone Girl
Regia: David FIncher
Anno: 2014
Durata: 149 minuti

Midnight in Paris (2011)

Gil Pender è uno sceneggiatore hollywoodiano di successo che sogna di fare lo scrittore nella Parigi degli anni ’20 del secolo scorso.

Trovatosi nella capitale francese assieme alla sua ricca e superficiale fidanzata, scopre che ogni sera, ad una certa ora e in un certo luogo, può viaggiare indietro nel tempo e passeggiare per le strade parigine dell’epoca d’oro.
Durante queste incredibili poetiche notti incontrerà importanti artisti del passato come Picasso, Hemingway e Dalí e scoprirà quanto sia impossibile fuggire dai propri sogni… perché i sogni non son desideri, ma presenti rinnegati.

Midnight in Paris (2011)

Al suo 41esimo film, Woody Allen fa il botto: da parecchio tempo il regista newyorkese non sfornava un capolavoro come questo Midnight in Paris, e non ci sono parole a sufficienza per descrivere la quasi perfetta combinazione di fattori che ha portato a questo piccolo miracolo.
La fotografia è calda e avvolgente (prima volta di Allen alle prese col Digital Intermediate, praticamente la color correction col computer); la storia è sì semplice, ma assolutamente coinvolgente; e le prove attoriali sono di grandissimo spessore.
Soprattutto l’interpretazione dello scrittore represso dentro un guscio borghese da parte di Owen Wilson è senza dubbio perfetta; meraviglia che quest’attore molto sottovalutato non abbia incassato neanche un premio.

Fosse stato girato da chiunque altro, questo film sarebbe un capolavoro da oscar; invece il pubblico e la critica danno troppo spesso per scontato il genio di Allen e si scordano di dargli il giusto merito.
Unica nota negativa è l’interpretazione miserevole di Carla Bruni, la famosa modella troietta invecchiata, ora appaiata a quel nano fascista di Sarkozy, ex presidente della repubblica francese.
Cagna maledetta senza gloria, ringrazia iddio per ogni passo che conduci in questa valle di lacrime.

VOTO:
4 giraffe in fiamme e mezza

Midnight in Paris (2011) voto

Titolo originale: Midnight in Paris
Regia: Woody Allen
Anno: 2011
Durata: 94 minuti

Delicatessen (1991)

In una Francia post-apocalittica senza sole e cibo a sufficienza, le vecchie leggi morali hanno perso valore e il cannibalismo è molto diffuso.
In una palazzina dominata dal possente macellaio del piano terra, gli inquilini hanno escogitato un metodo sicuro e veloce per racimolare la carne buona a sfamarli: mettere annunci di lavoro sul giornale così da attirare giovani dalle belle speranze da scotennare poi come sudici maiali.
L’ultimo arrivato però, un ex circense dal grande cuore e caratterizzato da una simpatica goffagine, farà innamorare la figlia del macellaio e questo innescherà una reazione a catena che farà crollare la pace romana della palazzina.

Delicatessen è un felice omaggio alla grottesca cinematografia di Terry Gilliam, con tutta la sua carica di irriverenza sporca e creativa; frutto della collaborazione di due registi, Marc Caro e Jean-Pierre Jeunet, che andranno poi a dirigere quattro anni dopo La città dei bambini perduti, questo film è una stramba messa in scena dell’oltraggiosa vitalità umana, dura a morire e sinuosa come un verme.

Mentre la prima parte è un orologio narrativo perfetto, con l’introduzione degli strambi personaggi che popolano la palazzina e i loro rapporti interpersonali, la seconda soffre molto del suo barocco tutto sommato fine a sé stesso.
Sembra come se tutto il costrutto sbilenco, rappresentato ottimamente dalla palazzina stessa, non riesca poi veramente a prendere il volo, ma si affossi invece sulle sue stesse fondamenta di burro.

Un peccato perché gli attori sono bravi caratteristi, la storia è molto simpatica e la fotografia, coi suoi colori caldi e uno stile anni’40, è splendida.
D’altronde uno dei due registi, Jeunet, andrà poi a dirigere il maledettissimo Favoloso mondo di Amélie, una vera pietra miliare del barocchetto scemotto che soddisfa cani e porci col suo approccio bambinesco.
Per la cronaca: il direttore della fotografia girerà poi Se7en di Davin Fincher, mica cazzi.

VOTO:
3 maiale

Delicatessen (1991) voto

Titolo originale: Delicatessen
Regia: Marc Caro, Jean-Pierre Jeunet
Anno: 1991
Durata: 99 minuti

La Cosa (1982)

Cosa c’è di più pauroso a questo mondo?
Semplice, quello che non si conosce.

E come ci si disfa di questa paura?
Semplicissimo: la si esorcizza, cioè la si richiama appositamente per farla scatenare.

La cosa di John Carpenter è esattamente questo: una storia di catarsi travestita da film dell’orrore, con ettolitri di sangue da regalare al suo pubblico.

La Cosa (1982)

Film stupefacente dell’82 (stesso anno di E.T.) bocciato clamorosamente da critica e pubblico alla sua uscita che rappresenta uno dei tipici spartiacque buoni a discernere tra chi ci capisce di cinema e chi non ci capisce un cazzo.

Apprezzate The Thing?
Bene.
Vi fa schifo tutto quel casino e non capite che senso abbia la storia?
Molto male, andate all’angolo col cappello da somaro.

Tratto dal racconto del 1938 Who goes there? di John W. Campbell, questo film è in realtà un densissimo thriller inondato da effetti speciali truculenti volti a stupire un pubblico idiota che mal regge la tensione un po’ fine a sé stessa, un pubblico idiota che infatti lo stesso anno premiò la semplice bontà di Spielberg e decretò la sconfitta di una pellicola coraggiosa nella sua eccessività e perfetta nella sua esecuzione.

Rob Bottin, giovanissimo allievo di Rick Baker, curò gli straordinari e rivoltanti effetti speciali (un misto di modelli in vetroresina, lattice, animatronics e stop motion) i quali contribuirono non poco alla singolarità di The Thing nel panorama fantascientifico dell’epoca.
Una singolarità talmente forte che tuttora rimane l’eccezione che conferma la regola del genere: quante volte avete visto in un film di fantascienza una cassa toracica aprirsi in due a mo’ di fica dentata?
Ecco, appunto.

La colonna sonora fu curata da Ennio Morricone il quale si trovò in leggero conflitto con Carpenter: il primo si sa che ama sbrodolarsi sui violini e sull’emotività anche un po’ semplice; il secondo è molto più introverso, asciutto e poco empatico.
Carpenter scelse Morricone perché lo amava come artista, furono sue le musiche a fare da colonna sonora al matrimonio del regista americano, ma forse avrebbe fatto meglio a comporre la colonna sonora da solo, come al suo solito, invece di investire una fracca di soldi su uno che alla fine gli ha consegnato dei motivi fondamentalmente carpenteriani.

Ad ogni modo, The Thing rimane il più bel film di Carpenter per quel perfetto mix di tensione, mistero, orrore e nichilismo che lo contraddistingue; anche il regista lo reputa il suo fiore all’occhiello e tutt’oggi non riesce a perdonarsi il fallimento al botteghino della sua opera più cara.
Se La cosa alla sua uscita avesse fatto il botto come si meritava, forse Carpenter avrebbe avuto una carriera ben differente; d’altronde questo avrebbe significato che medie produzioni come Big trouble in little China e They Live non avrebbero forse visto la luce del sole.

PS: forse non tutti sanno che l’intero mistero è svelato nei primi minuti dal fuciliere norvegese, ma ovviamente la lingua impedisce la comprensione a chiunque non venga dalla Norvegia.

VOTO:
5 teste ragno

The thing (1982) voto

Titolo originale: The Thing
Regia: John Carpenter
Anno: 1982
Durata: 109 minuti

Babadook (2014)

Amelia è un’infermiera australiana rimasta vedova dopo un incidente stradale in cui il marito ha perso letteralmente la testa; i due stavano andando all’ospedale per il parto di lei e questa triste coincidenza provoca una lacerazione permanente tra madre e nascituro.
Amelia sviluppa quindi un odio/amore verso il figlio Samuel, ritenuto in qualche modo causa della scomparsa del suo amore, un sentimento che la tiene sempre lontana da lui e le rende impossibile andare avanti con la sua vita.
Questo conflitto emotivo poi è alla base dei problemi tra Samuel e gli altri bambini e, come se non bastasse, il giovine comincia anche ad avere strane visioni, visioni di un mostro che vive nell’oscurità e che vuole fare del male a lui e alla madre.

Babadook (2014)

The Babadook è un film australiano interessantissimo che vale assolutamente la pena di vedere; probabilmente una delle migliori pellicole del 2014, Babadook è da molti inteso come un classico film horror, quando invece non lo è.
Si tratta infatti di un film che si inserisce nel solco del cinema d’autore travestito da genere: qui siamo di fronte ad una storia d’amore reciso, un dramma familiare nel quale i personaggi sviluppano tratti caratteriali che li porteranno alle inevitabili drammatiche conseguenze.
Non è un film col mostro quindi, ma un film sui mostri che albergano in tutti noi: in me, in te e in tua madre.

VOTO:
4 tue madri e mezza

Babadook (2014) Voto

Titolo originale: The Babadook
Regia: Jennifer Kent
Anno: 2014
Durata: 93 minuti

Storia di fantasmi cinesi (1987)

Ning Tsai-Shen è un giovane esattore delle tasse che gira per i villaggi cinesi a riscuotere i dindini dovuti allo stato.
Arrivato in una piccola città, trova rifugio in un tempio abbandonato; quello che Ning non sa è che il luogo è frequentato da spiriti maligni in cerca di facili prede da donare poi al Demone Albero che succhia loro la linfa vitale.
Per attirare queste prede, viene usato lo spirito di una giovane ragazza, Nieh Hsiao-Tsing, che deve sposare a breve il Demone dell’albero (di cui sopra) sotto cui è stata sepolta.

Ovviamente, essendo un film d’amore travestito da cappa e spada, l’umano e il fantasma si innamoreranno e Ning cercherà in tutti i modi di salvare Nieh dall’eterno castigo a cui sembra condannata.

Storia di fantasmi cinesi (1987)
l’eterno castigo qui assume la forma di un cazzo-spada

I film di cappa e spada sono un genere classico cinematografico che ha trovato le sue incarnazioni in diverse nazioni; in Cina è chiamato Wuxia e noi lo abbiamo conosciuto in realtà molto recentemente, con La tigre e il dragone.
Ecco, questo è un wuxia film molto divertente e ricco di spunti folli che attingono dalla tradizione culturale cinese, anche se è prodotto in Hong Kong.
L’esordiente regista, Siu-Tung Ching, è un maestro di arti marziali che si era già fatto un nome come coreografo di scene d’azione e che continuerà poi a collaborare come esperto d’arti marziali in molti altri film, tra cui i giganteschi Hero e La foresta dei pugnali volanti.

Ma al di là delle piacevoli chiacchere sul film in questione, qui la cosa più interessante è che ho finalmente scoperto che cazzo significa Mogwai, il nome degli esserini protagonisti del film Gremlins.
Allora:
“Fantasma” in cinese si dice “Guǐ” e da questo carattere/simbolo si formano vari derivati.
“Muguǐ” è uno di questi e significa “demone”.
Mogwai è una delle possibili grafie del bi-fonema Muguǐ.
Quindi Gizmo in Gremlins è un demone.

Grazie internet, anche oggi hai salvato il mondo.

Titolo originale: Sien nui yau wan
Regia: Siu-Tung Ching
Anno: 1987
Durata: 98 minuti

Escape from Tomorrow (2013)

Walt Disney fu un grande figlio di mignotta: famoso per i suoi film d’animazione, il caro vecchio Walt era anche e soprattutto un capitalista alcolizzato che una volta si schiantò con il suo trenino giocattolo contro un muro della sua villa californiana in preda ai fumi dell’alcool.

Durante gli anni del Maccartismo, fu tra i più grandi informatori di Hoover e girò personalmente parecchi nomi all’FBI, nella stupida folle voglia di “depurare” Hollywood dalle spie russe.
Come se non bastasse, Mickey Mouse, il nostro Topolino, fu creato dal suo assistente Ub Iwerks e il nome Mickey fu suggerito dalla moglie; Disney voleva chiamarlo Mortimer Mouse… Mortimer.

Walt però, da bravo capitalista, era molto bravo in una cosa, a fare i soldi; fu così bravo infatti che oggi la “Walt Disney Corporation” è una delle più grandi e potenti industrie dell’intrattenimento, probabilmente la più grande.

Escape from tomorow (2013)
prendete questo, comunisti!

Poco prima di morire, alla continua ricerca di una conferma terrena alla sua aurea divina, Walt volle creare un secondo meraviglioso parco giochi dopo Disneyland California; comprando molti piccoli lotti di terreno paludoso da poveri proprietari terrieri tramite società fittizie usate solo per ottenere prezzi stracciati, nel 1965 Disney prese possesso di un largo territorio vicino Orlando, in Florida.
Lì cominciò a costruire Disney World, il più importante parco dei divertimenti al mondo, il più tecnologico, il più futuristico.
Nel piano originale Walt voleva incorporare anche EPCOT, Experimental Prototype Community of Tomorrow, una piccola città futuristica dove poter sperimentare nuovi stili di vita e nuove tecnologie. Secondo i suoi piani, quella doveva diventare il prototipo dell’America del futuro.
Fortunatamente per il genere umano, Disney morì prima di impazzire definitivamente e scatenare una guerra atomica nel tentativo di purificare il mondo intero; Disney World però fu completato e “Spaceship Earth”, la grande palla da golf simbolo di EPCOT è ancora lì, un modernariato simpatico ma inquietante.

Ora, tutto questo cappello introduttivo serve a mettere in luce le intenzioni del regista di questo piccolo film indipendente girato in gran segreto proprio a Disney World: gli attori e la crew infatti non hanno detto nulla ai dirigenti del parco e si sono limitati a comprare biglietti d’ingresso stagionali per poter girare “a gratise” con semplici telecamere amatoriali dentro il parco, tutto ciò per parecchi giorni di fila.

E questa è la cosa più interessante di Escape from Tomorrow, la straordinaria tecnica segreta messa in atto dal team per poter girare un film in uno dei posti più sorvegliati al mondo.
La storia di un uomo sposato con moglie e due figli che scende pian piano nella follia non è purtroppo infatti all’altezza del caso e soffre in più punti di una leggera confusione; semplicemente si sgretola sotto la pesante aspettativa di un pubblico affamato di controversia.

E però l’idea di metterglielo in culo a Walt Disney, uno dei più paranoici americani mai esistiti, resta un capolavoro.

VOTO:
3 culi

Escape from Tomorrow (2013) Voto

Titolo originale: Escape from Tomorrow
Regia: Randy Moore
Anno: 2013
Durata: 90 minuti

Tremors (1990)

Sì, insomma questo film è molto fico.

Uno degli ultimi esempi di blockbuster ad alto tasso artistico; una storia coi mostri vermoni sotterranei che ti sentono con le vibrazioni e allora vai sui tetti e speri che non ti prendano, ma siccome sei un poveraccio americano che vive nel deserto del Nevada nelle roulotte, allora i mostri ti portano giù con tutta la casa.

Sì, potrei stare qui a parlare di questo Tremors… e invece no.

Tremors (1990) - 1
qui siamo interessati a Kevin Bacon

Kevin Norwood Bacon è un attore americano leggendario, protagonista di famosissime pellicole come Footloose, Apollo 13 ed Echi mortali (che abbiamo visto solo io e Kevin Bacon).

La cosa che contraddistingue Kevin dal resto degli attori hollywoodiani è la famosa teoria che Bacon sia il centro dell’universo conosciuto.
Quest’audace congettura fu introdotta da Kevin stesso in un’intervista al magazine Premiere nel gennaio 1994 a proposito del suo film, The River Wild: in quell’occasione, con enorme calma e profonda fermezza, Kevin disse che aveva lavorato con chiunque ad Hollywood… chiunque.

Tremors (1990) - 2
anche con Fred Ward che chi cazzo lo conosce

Nello stesso periodo tre studenti universitari americani guardavano in TV il sopraccitato Footlooseseguito a ruota dal famigerato Che aria tira lassù? (entrambi con Kevin protagonista); dopo cotanta abbondanza di Bacon, i giovani si chiesero in quanti film Kevin avesse recitato e inventarono un nuovo gioco: trovare la connessione tra un qualunque attore americano e Kevin Bacon.

Il gioco ebbe talmente tanto successo che divenne conosciuto in breve tempo a livello nazionale e fu presto chiamato Six degrees of Kevin Bacon; un gioco/teoria secondo cui Kevin Bacon è connesso a tutti gli altri attori di Hollywood con 6 passaggi o meno, il numero di passaggi viene chiamato “Bacon number”.
Ad esempio Robert De Niro ha un “bacon number” pari a 1 perché hanno recitato insieme in Sleepers nel 1996; Giancarlo Giannini ha un 2 perché ha recitato con Julianne Moore in Hannibal e lei a sua volta ha recitato con Kevin in Crazy, Stupid, Love.
Se siete curiosi di verificare con mano quest’affascinante teoria, esiste un sito che fa questo lavoro per voi:

The Oracle of Bacon

Tornando a noi, nonostante Tremors si sia rivelato un successo clamoroso (specialmente in homevideo), Kevin all’inizio lo considerava un gradino basso della sua carriera; ci credeva così poco che una volta si mise in ginocchio su un marciapiede a piangere e ad urlare alla moglie incinta “Non posso credere che sto recitando in un film con dei vermi sotterranei!”.

Tremors (1990) - 3
grazie di esistere Kevin

Titolo originale: Tremors
Regia: Ron Underwood
Anno: 1990
Durata: 96 minuti

Occhi senza volto (1960)

Christiane Génessier è una ragazza francese rimasta sfigurata dopo un incidente stradale; il padre invece è un affermato chirurgo con un rimorso grande come una casa: era lui alla guida dell’auto su cui viaggiava la figlia.
Per riparare il danno provocato, il dottore si mette in testa di rapire giovani ragazze bionde con gli occhi azzurri, rimuovere loro la pelle del volto e applicarla poi sulla faccia sfigurata della figlia.

Siccome sono gli anni ’60 e a quanto pare non si conosceva ancora il principio di rigetto del tessuto estraneo da parte delle difese immunitarie, ogni tentativo fallisce miseramente nell’arco di poche settimane.
Christiane quindi diventa sempre più depressa e vorrebbe suicidarsi mentre il padre si ostina con le sue ricerche sui trapianti, allenandosi su cani e studentesse cagne.

Come andrà a finire?

Occhi senza volto (1960)

Les yeux sans visage è un film francese dell’era pre-rivolte studentesche e pre-rivoluzioni sociali, ne consegue quindi che la censura ha giocato un ruolo preponderante nella scelta dello stile e delle inquadrature, e in un certo senso questo è stato un bene: relegare l’orrore a pochi momenti asettici (la scena del trasferimento facciale pare abbia fatto svenire molte persone in sala) e far vestire la giovane con una bianca maschera inespressiva per gran parte del film ha paradossalmente amplificato la carica emotiva presente.
Oltretutto, molti registi che sono venuti dopo si sono ispirati ad Occhi senza volto, basti pensare a personaggi cinematografici come Michael Myers in Halloween e Cesar in Abres los ojos.

Tolte però queste felici parentesi stilistiche e una generale buona vena poetica in grande contrasto con il classico stile horror di quei tempi, questa pellicola non è poi un granché… checché ne dica gran parte della critica contemporanea, abbindolata dallo specchio lucido di superficiale esteriorità nel quale ama riflettersi mentre si massaggia le sue esili esterne gonadi in segno di fottuta auto reverenza intellettuale.

Siete voi i veri mostri.

Titolo originale: Les yeux sans visage
Regia: Georges Franju
Anno: 1960
Durata: 88 minuti

True Detective: prima stagione (2014)

Rustin Spencer Cohle è un investigatore texano con parecchi problemi esistenziali: da quando gli hanno investito la figlia piccola, la sua vita è andata a rotoli e il suo pessimismo cosmico l’ha reso sempre più inviso a colleghi e amici.
Passa le giornate ad odiare gli stupidi, a leggere libri su libri e a dispensare giudizi affrettati su chiunque gli sbarri la strada.
Martin Eric Hart invece è un investigatore della Louisiana, uno stato americano famoso per l’atteggiamento rilassato (probabilmente dovuto all’influenza coloniale francese dei secoli passati), è un padre di famiglia a cui piace bere e guardare le partite in tv, non ha una grande intelligenza e si radica in un finto berbenismo e un tradizionalismo confortanti per i semplicioni come lui.

I due vengono appaiati dalla polizia statale e messi presto a lavorare su un caso sconcertante: una ragazza drogata a forza, stuprata, torturata, e uccisa secondo uno strambo rituale pagano.

Rust e Marty, compensando le reciproche lacune caratteriali come una brava coppia del 19° secolo, spaccheranno talmente tanto il culo al sistema che risolveranno il caso e al contempo riveleranno una macchinazione talmente grande da mettere a repentaglio le loro stesse vite.

True Detective: prima stagione (2014) - 1
a sinistra Tree of Life, all’EUR di Roma; a destra una delle tanto decantate inquadrature di True Detective

Questa prima stagione di True Detective è stata un clamoroso successo di pubblico ed un ottimo ritorno economico per il canale produttore, quella HBO che ci sta regalando i migliori anni della nostra vita televisiva.
Basato sul genere “true crime”, molto in voga negli anni ’50, e con uno stile sicuramente influenzato dal capostipite del genere “investigazioni folli”, Twin Peaks, questa serie televisiva americana trova libero sfogo nel compiacimento tecnico visivo, sicuramente di grande impatto e con bellissimi momenti fotografici, ma che bene o male piglia a destra e manca da grandi registi del passato e non.

La cosa più divertente invece è il nichilismo pessimista di Rust: un misto di intelligenza, misantropia, e decadentismo politico lo rende un personaggio interessante e sicuramente diverso dalla marea di poliziotti che hanno fatto capolino sull’etere negli ultimi 60 anni.
D’altra parte però, questo continuo rendere antipatico un personaggio che in realtà ha solo perso la voglia di vivere dopo la tragica morte della figlia, depotenzia troppo spesso il messaggio anti clericale di cui tutta la serie è pervasa.
Soltanto uno sciocco (senza sale, in zucca) potrebbe infatti ignorare tutta la linea anti religiosa che continuamente rispunta ad ogni puntata; una linea politica talmente forte che, senza rovinare la serie a chi non l’ha vista, sarà infine parte fondamentale del mistero attorno al caso.

True Detective: prima stagione (2014) - 2
i culi invece non hanno alcuna ragione narrativa

Non convince appieno neanche l’altro protagonista (e co-produttore dello show), Marty, interpretato da un imbolsito Woody Harrelson, che cerca malamente di comprendere la filosofia di vita di Rust mentre si scopa le ragazzine alle spalle della moglie.
Nonostante in qualche punto si faccia un esile collegamento tra i suoi peccati, le sue tendenze violente e il generale clima di terrore soffocato che pervade le paludi della Louisiana tra le quali orribili omicidi vengono perpetrati ogni giorno, questo legame narrativo è troppo flebile per essere compreso dal pubblico generale e quindi il messagio viene in gran parte vanificato.
Non molti avranno infatti collegato il tema pedofilia e violenza sulle donne con l’atteggiamento finto berbenista e maschilista di Marty il quale giunge a riempire di cazzotti una coppia di ventenni, rei di aver amoreggiato consensualmente con la sua figlia adolescente.
La cosa che lascia più perplessi infatti è il velo di giustificazione verso una giustizia sommaria e privata che ricopre troppo spesso le azioni dei due “eroi”; non si traccia realmente un parallelismo tra i demoni che affliggono Rust e Marty e quelli reali che torturano e uccidono giovani americani per raggiungere un più alto piacere personale, in nome di un contrappasso dantesco che viene appena accennato, una volta rivelata l’identità dell’assassino.

True Detective: prima stagione (2014) - 3
penso che dopo questo girerò Interstellar

La cosa più bella ed invece meno sfruttata di tutte è la sinestesia di Rust, cioè quella condizione per cui due o più sensi si confondono; un certo gusto quindi può dare la visione di un certo colore o il sentire un particolare odore.
La percezione del mondo attraverso i sensi è una cosa naturale ed utile agli esseri viventi, ed una leggera sinestesia è comune e ben accetta: basti pensare alla vista del cibo che può stimolare il senso del gusto, proprio come lo si stesse effettivamente assaporando.
Nella sua forma più pura però, la sinestesia è unidirezionale (cioè va solo da un senso all’altro), incontrollabile e può a volte inficiare la vita della persona affetta.

Rust, con il suo passato di drogato, ha ancora dei fenomeni di allucinazione visiva e olfattiva (lui li definisce flashback acidi) di quando si faceva pesantemente di LSD; in una puntata però, si fa riferimento alla cosiddetta Teoria M, una teoria fisica molto recente e ancora in discussione che, detto in parole poverissime, vorrebbe unificare tutta la fenomenologia fisica sotto un unico ombrello semplificativo.
Una sfera spazio-tempo quindi potrebbe essere ridotta a un cerchio, una figura bidimensionale, nella quale tutte le posizioni di una particella nel tempo sono presenti nello stesso spazio, e dalla cui visione quindi si può concludere che un evento non è mai isolato, ma tutto è ciclico, tutta la storia è circolare e ricorsiva.

Rust si domanda cosa cambi salvare una bambina dalle mani di un assassino quando quella bambina tornerà inevitabilmente in quel posto, ancora, e ancora, e ancora, per tutta l’eternità di questo universo.
Purtroppo però tutta questa linea più alta e filosofica è stata gettata nel cesso dopo circa 10 minuti, in favore di tette pubescenziali e spauracchi fatti coi legnetti.

Grazie, pubblico generalista.

Titolo originale: True Detective
Stagione: 1
Regia: Cary Joji Fukunaga
Anno: 2014
Durata: 8 episodi da 55 minuti circa

Wolfen, la belva immortale (1981)

Il capitano di polizia Dewey Wilson deve trovare chi ha ucciso orribilmente gli straricchi palazzinari Van der Veer nel Battery Park di Manhattan.
All’inizio si punta sulla pista terrorista per l’ovvia valenza simbolica di un assassinio di così alto profilo, ma ben presto entra in campo la magia ed il mai risolto conflitto coi nativi americani.

Wolfen è un dimenticato film primi anni ’80 che si inserì nel prolifico filone dei licantropi, anche se a vederla bene non c’entra un cazzo con questi ultimi.
La regia è buona e la storia non male, un quasi classico senza troppe pretese; lo stile a volte è troppo raffinato per il pubblico di riferimento e forse anche per questo è oggi dimenticato.
E’ uno dei primi film a fare uso della steadycam e soprattutto lo fa per una ragione narrativa, da apprezzare quindi.
Gli inserti visivi in stile Mtv invece sono sorpassatissimi, anche se in altri film, tipo Predator, funzionano ancora alla grande.
Di rilevanza storica infine sono le immagini girate nel Bronx, quando la zona era in completo disfacimento ed offriva rifugio ai tanti derelitti della società americana: drogati, poveri, neri e spiriti divini.

Annotazione buffa: il regista Wadleigh ha due lauree, in fisica e medicina, ed insegna ad Harvard.

Titolo originale: Wolfen
Regia: Michael Wadleigh
Anno: 1981
Durata: 115 minuti