Nella comunità ultra cattolica irlandese di Boston ci sono Connor e Murphy MacManus, due fratelli volgari e maneschi che hanno preso il vizietto di fare i vigilanti per “ripulire” le strade cittadine dalla feccia malavitosa.
Ma la verità è ben altra: lungi dall’eliminare sé stessi e 3/4 della palazzina loro, Connor e Murphy esternalizzano il loro problema esistenziale di sottoproletariato indicando nel facile bersaglio del criminale l’agnello sacrificale per purificare una società che invece è quotidianamente lordata dalla presenza di liberali e capitalisti; ratti di fogna con il completo firmato che passano l’intera loro smegmatica esistenza sfruttando il prossimo succhiando preziosa linfa vitale dai possenti coglioni dei loro sottoposti.
Evviva il comunismo e la libertà.
Film stupido, noioso e scritto da un barista con l’intelligenza di un quattordicenne che però è diventato inaspettatamente un film culto (più che altro nell’ignorante patria).
Recitato continuamente sopra i toni e puntellato di “fuck” ogni due per tre (senza però quella sapiente verve che può avere Tarantino), i Santi del buco di culo ha solo un pregio, ovvero l’involontaria carica frocia che sprizza da tutti i pori. Personaggi maschili, grossi e cattivi, una trama che ruota attorno alla mancanza di una figura paterna e un William Defoe frocio travestito pazzo sono ingredienti che ad un occhio che non sia quello del barista-sceneggiatore-regista paiono letteralmente pescati fuori da un libro di analisi filmica anni ’90.
Un film brutto, indubbiamente, ma interessante se si sta facendo una ricerca universitaria sui film queer.
VOTO: 2 pori
Titolo italiano completo: The Boondock Saints – Giustizia finale Regia: Troy Duffy Durata: 1 ora e 48 minuti Compralo: https://amzn.to/45ssFD3
La storia la sappiamo tutti: tra il 1888 e il 1891 nel quartieraccio londinese di Whitechapel dove oggi una stanza te la mettono a 700 pound e devi pure ringraziare il signore gesucristo (in croce), è successo che 11 donne sono state uccise e in molti casi trucidate da uno o più misteriosi assassini in quello che è diventato il caso di “Jack lo squartatore”, nome preso direttamente dalla firma di una delle tante lettere anonime recapitate alla polizia durante quel periodo.
Era un pazzo solitario, un gruppo di massoni che volevano evocare il diavolo, un ebreo giuda nasadunco? Nessuno ne venne a capo ed ancora oggi quegli eventi evocano curiosità, morbosità e tanti film dal dubbio valore artistico.
Questo è uno di quelli.
Dallo stesso regista di quella cacata di A Christmas Story ed il capolavoro incompreso titolato The Karate Dog, ecco l’ennesimo film su Jack lo squartatore che in questa particolare incarnazione dovrà vedersela con nientepopodimenoché Sherlock Holmes e quel lurido lucida stivali senza spina dorsale del dottor Watson.
Molte cose vengono dette e molta rabbia provoca l’assoluta e lucida aderenza di questi liberali ottocenteschi al sistema piramidale costituito, in particolare risulta a tratti inconcepibile (se non nei più bagnati sogni renziani) lo zerbinaggio di Watson che ad esempio applaude ed incita forsennatamente il re di fronte alle sacrosante proteste del popolo.
Perché diciamocela tutta: Jack lo squartatore non è mai stato il vero problema, come anche un mongoloide potrebbe capire, ma è il sistema liberal-capitalista costruito attorno milioni di sudditi inglesi ad aver creato sia l’opportunità che le condizioni per cui tale fenomeno potesse esplodere.
Sia chiaro, lo stronzo o il folle c’è sempre e sempre ci sarà, ma differenti organizzazioni sociali possono evitare sia l’emergere del conflitto che rispondere in maniera più organica all’esprimersi di esso.
E ora andate affanculo.
VOTO: 2 persone affette dalla sindrome del mongoloide
Titolo originale: Murder by Decree Regia: Bob Clark Durata: 2 ore e 4 minuti Compralo: https://amzn.to/45s3lht
Chi non conosce la famosa saga con le automobili che sfrecciano sull’asfalto coi culi delle donne in primo piano e la musica tamarra in sottofondo?
Beh, probabilmente in molti visto che ho scoperto, sorbendomi TUTTI e 9 i film, che in realtà si abbandona ben presto il formato adolescenziale dei primi episodi per abbracciare quello tardo adolescenziale della guerra permanente americana che foraggia l’elite liberale con palate di milioni di dollari sottratti alla classe lavoratrice che, oltre al danno, riceve pure la beffa di vedersi investita col passeggino mentre questi 4 scalmanati giocano a fare gli stronzi per le strade di mezzo mondo.
Ecco a voi lo scempio, porca madonna:
Fast and Furious (2001)
Brian O’Conner tira forte la cocaina dal cofano delle macchine parcheggiate alla Conad perché a Brian O’Conner gli tira il cazzo. Ma Brian O’Conner è un piedipiatti, mortacci sua. Un piedipiatti che deve trovare chi cazzo è che sta rubando dei preziosissimi lettori DVD del 2000. Gli occhi sono puntati su Dominic Toretto, un uomo grande e grosso e glabro con la sorella fregna entro cui Brian O’Conner sta disperatamente tentando di entrare ungendosi il cazzo di olio di vasellina, ma incastrarlo è una bella gatta da pelare e Brian otterrà soltanto un bel bocchino nel reparto pane della Conad.
2 Fast 2 Furious (2003)
Brian O’Conner è diventato un maledetto pimp my ride e se la scoatta a Miami con altri sfigati come lui con la fissa per le macchine colorate come un gay pride e rumorose come gli zoccoli per le strade di paese mentre verremo a prenderli pei capelli per poi bastonarli forte sui denti con lacrime e sangue a fiotti dai loro occhi di merda. In sostituzione di Toretto, impegnato a districare il cazzo da un rovo di more, abbiamo un’altra minoranza dipinta come rissosa, arraffona ma col cuore al posto giusto come i vostri cani, un nero.
The Fast and the Furious: Tokyo Drift (2006)
Cambio totale di cast e location ed eccoci in Giappone con il giovane Sean Boswell, teppistello con genitori separati che sfoga la sua rabbia giovane con macchine veloci e tagli di capelli da sfigato. Nella terra del sol levante troverà pane per i suoi denti… e molta gente che parla inglese così da non avere sottotitoli per i pigri spettatori. La cosa importante da ricordare per questo film è che sono 1 ora e mezza di rumorosissime derapate che vi faranno scapocciare come il papa buono.
Fast & Furious – Solo parti originali (2009)
Tornano in scena i nostri Dominic e Brian, separati in casa per una storia di cioccolata e piedi sporchi, che dovranno vedersela con Arturo Braga (non imparentato con il più celebre Mario Brega) e un commercio internazionale di droga. Una piccola parte viene sorprendentemente affidata ad una giovane e sconosciuta Gal Gadot, prima di fare il botto con le colonie illegali israeliane in territorio palestinese e una pioggia di bombe vere durante il crimine di guerra chiamato “operazione piombo fuso”. W il popolo palestinese. A morte lo stato d’apartheid israeliano.
Fast & Furious 5 (2011)
A Rio de Janeiro ci sono le favelas porca madonna. Le favelas! Ma a noi liberali del cazzo ci frega sta minchia dei poveri; noi vogliamo glorificare i nostri privilegi sfrecciando con le macchine veloci per le strade, seminando il panico tra i proletari che si fanno il mazzo tanto per 40 anni costituendo la base della piramide sociale sopra cui sediamo noi. Soldi soldi e soldi. Polizia cattiva, ma in fondo meglio la pula che i criminali come Hernan Reyes che io quasi quasi ci faccio cumunella con i cani del potere che coi loro suv enormi scheggiano e rovinano le già malandate strade di Rio de Janeiro. Mamma come godo a veder soffrire il genere umano! Dwayne Johnson imprime la virata action verticista a quella che fino ad ora era una serie su macchine veloci e culi pubescenti mentre Vin Diesel pensa di parlare spagnolo quando dice “Salud me familia!”.
Fast & Furious 6 (2013)
Dominic e i suoi compari hanno fatto i soldi veri, tipo 100 milioni di dollari ognuno che quasi quasi ci compri un attico a Milano. Ma Dwayne The Rock Johnson sorprende Dominic Pelato Toretto mentre sta pisciando per dirgli che la sua vecchia fiamma Letty è ancora viva e sta lavorando per Owen Shaw, un criminale cattivo cattivo. E allora: perché non ci mettiamo assieme a dare la caccia a questa lestofante che io poi ti faccio riunire con la tua amata te lo giuro porca madonna te lo giuro potessi famme incula’ dal primo che bussa a quella porta?
Fast & Furious 7 (2015)
Il fratello del cattivo del precedente episodio vuole vendicarsi riempiendo di mazzate il signor Toretto e compagnia cantante, ma non ha fatto i conti con la perseveranza dell’alopecia e la magia della coca colombiana. Nel frammentre Letty riacquista la memoria del suo terribile matrimonio con Dominic in canottiera e cavezza d’oro e tenta il suicidio assistito in Svizzera. L’episodio è felicemente famoso perché l’attore Paul Walker carbonizzò dentro la macchina di ritorno da una pesca di beneficenza con le suore di Nevers e si tentò l’impossibile per farlo apparire durante tutto il film spiaccicando la sua faccia computerizzata sul corpo del fratello minore. Una cosa da denuncia.
Fast & Furious 8 (2017)
Dominic e Letty portano scompiglio nella tranquilla repubblica socialista cubana distruggendo proprietà pubblica e impaurendo i ridenti cittadini cubani perpetuando così lo stereotipo dell’americano poliziotto de stocazzo che dovrebbe essere bruciato in pubblica piazza facendo poi pisciare i bambini sul cadavere carbonizzato di Paul Walker. Non domo, questo gruppo paramilitare capitanato da Mastro Lindo riesce pure ad assassinare barbaramente dei giovani soldati russi che proteggevano un arsenale atomico facendo rapidamente precipitare l’allarme di una catastrofe nucleare a Defcon 5. Da notare che Toretto scopre di avere un figlio con una bianca e per tutto il film deve cercare di ammosciare l’inevitabile erezione che ne consegue.
Fast & Furious 9 – The Fast Saga (2021)
Dominic ha un fratello di un’altra razza, ma nessuno ci fa caso. Quando però il padre salta con la sua macchina da corsa sulla recinzione della pista da corsa per brillar di luce fascista grazie alle fiamme purificatrici dentro le quali dovremmo gettare la carta straccia tipo Giorgetti, allora sorge il problema dello schiaffo dello soldato. Ovvero: hanno ammazzata papà Toretto, chi sia stato non si sa, forse quelli della mala oppure la pubblicità. In questo episodio si raggiunge letteralmente l’apice sparando una macchina direttamente nello spazio.
E’ il futuristico 1997 e Los Angeles è un inferno di lamiere roventi e palle sudate che neanche te lo immagini.
Se credi che una folle guerra tra bande criminali, formate da minoranze etniche, e la polizia locale sia abbastanza propaganda fascio-liberale, ti spagli di grosso perché sta per scendere in campo il negro più fottuto di tutti, lo stereotipo più azzardato dell’uomo nero, il Predator delle foreste tropicali con i rasta e le unghie incarnite che ha un solo obiettivo in testa: uccidere te e fottere tua figlia, possibilmente in culo.
la migliore scena del film
Questo film è un esperimento della CIA sulla sopportazione del dolore per i prigionieri di Guantanamo; non c’è altra spiegazione.
Sopra le righe come Gianni Agnelli sulla cocaina, razzista come Suor Germana e profetico quanto Luigi Di Maio, Predator 2 è indubbiamente uno dei peggiori miglior sequel mai fatti nella storia del cinema (testimoniato anche dal titolo brasiliano, vedi sotto) e se la batte lì lì con quell’altra ciofeca cult di Robocop 2 con cui condivide l’abbandono totale del sottotesto politico del primo capitolo per un abbraccio mortale col più becero populismo liberale.
Di sicuro chi non è rimasto deluso dal film è Dannis Glover che se n’è uscito con la seguente folle dichiarazione:
Ero sui 42, 43 anni… nella migliore forma fisica della mia vita. Correvo sulla spiaggia, mi allenavo, tiravo su più pesi di adesso. Me la sentivo veramente calda in quel film.
VOTO: 2 spiagge e mezzo
Titolo brasiliano: O Predador 2: A Caçada Continua Regia: Stephen Hopkins Durata: 1 ora e 48 minuti Compralo: https://amzn.to/3RPz8SF
Bruce Wayne è un emo del cazzo col capello tinto nero slinguazzato da un bovino. E soffre tanto. Ma tanto. Così tanto da passare le nottate vestito come un pirata travestito da budello di tua madre a prendere a calci e pugni delinquenti comuni che non minano assolutamente le fondamenta dell’ingiusta e piramidale società su cui Gotham City si regge.
Nel frattempo c’è invece chi si dà da fare via internet per farla pagare ai potenti burattinai del potere e restituire un po’ del loro terrore in dosi massicce di giustizia popolare. Ma questo non va bene al potere, non va bene che il questore fascistone venga fatto saltare in aria, non va bene che un mafioso corruttore dei pubblici uffici sia impallinato in diretta tv, non va bene che l’ennesimo candidato token-black-donna-sassy-super-liberal-ammazza-rivendicazioni-sociali sia perforata con quella fredda foga tipica delle docce carcerarie.
No, il vigilante fascio-liberal non può permettere che la società cambi per davvero; dare due pugni in bocca a uno che scrive una tag di merda su un muro è di vitale importanza, ma prendere a randellate in culo un liberale?
Ma siamo matti!
Film post-fascio-liberal che ammette quanto la società liberale sia una melma di merda senza possibilità di redenzione e che anzi acuisce le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, ma che scoraggia ad ogni costo l’iniziativa popolare per un rovesciamento delle sorti.
Tipo quelli che fino a ieri negavano che ci fosse un cambiamento climatico e che ora, vista l’evidenza dei fatti, sono passati a “ok va bene c’è un cambiamento, ma non è indotto dall’uomo”. Prossima tappa: ok è indotto dall’uomo, ma non è così drammatico. Ultimo miglio: ok è drammatico, ma tanto ormai è troppo tardi e io nel frattempo me la sono goduta girando il mondo col mio jet privato.
Ciao povery!
Una pellicola che non raccomando insomma e che tra l’altro è pure lunga e a tratti noiosa.
VOTO: 2 tag di merda
Titolo lettone: Betmens Regia: Matt Reeves Durata: 2 ore e 56 minuti Compralo: https://amzn.to/3c3JMEY
Ricardo Leyva Muñoz Ramirez è stato un americano figlio d’immigrati messicani che si è distinto per la brutalità dei suoi crimini e la totale mancanza d’empatia verso le sue vittime.
Una dozzina d’omicidi, altrettanti tentati e un’abbondante spolverata di violenze sessuali contro donne, vecchie e bambine sono la lista della spesa per questo personaggio che nei favolosi anni ’80 californiani venne soprannominato “The Night Stalker”, il molestatore notturno, dagli avidi e spietati mezzi di comunicazione che, assetati di fluidi corporei come liceali del Mamiani di Roma, crearono l’ennesimo mostro da sbattere in prima vagina pagina.
Serie televisiva banalotta e senza verve che tenta di spaventarti con gli efferati crimini di un poveraccio brutalizzato dalla vita al punto tale di sviluppare una personalità schizoide e allucinata.
Più volte associato al satanismo e stronzate simili per la sua bambinesca voglia di stupire con pentagrammi dipinti sulle mani, Richard Ramirez è stato piuttosto l’esempio perfetto di cosa costruisce una società ingiusta e violenta come quella americana: padre immigrato e alcolizzato, violenze domestiche, difficoltà economiche e cugino berretto verde dell’esercito americano che perpetrò impunemente crimini di guerra contro i poveri vietnamiti che al confronto i cosiddetti “crimini di Bucha” in Ucraina fanno ridere i polli.
Patetici i poliziotti incompetenti che non sono riusciti a fare un cazzo per 13 mesi fino a quando sono stati i cittadini di un quartiere povero di Los Angeles a prendere l’assassino. Perché il popolo mai sarà sconfitto.
VOTO: 2 liceali del Mamiani assetati di fluidi corporei
Titolo originale: Night Stalker: The Hunt For a Serial Killer Regia: Tiller Russell e James Carroll Durata: 4 episodi da 45 minuti
John Spartan è un poliziotto americano che non bada a spese quando si tratta di demolire palazzi interi nell’intento di catturare pericolosissimi criminali neri come la notte della ragione che lui non riconoscerà mai di contribuire a creare.
Ma a un certo punto, punto certo, avendo provocato la morte di 30 ostaggi mentre acchiappava per le palle il pazzo carnefice Simon Phoenix, viene condannato assieme a quest’ultimo al congelamento correttivo in una prigione criogenica per una sonora quarantina d’anni.
Balzo in avanti e siamo nel 2032, la società si è trasformata in una distopia liberale del politicamente corretto dove vieni punito attraverso un sistema a crediti per ogni parolaccia o per ogni comportamento scorretto, tipo mangiare cibi ricchi di colesterolo.
Ed è in questo paradiso per gente tipo Lilli Gruber che John e Simon si ritrovano a darsene di santa ragione, mentre un ricco fascista liberale con un gusto estetico da parrucchiera di Viterbo complotta per terrorizzare la popolazione e spingerla a dargli pieni poteri, come Mario Draghi.
Famosissimo film sconosciuto che nonostante abbia molti fan e si fregi di grande classico di serie B, rimane inspiegabilmente estraneo ad ogni discussione sul trash anni ’90.
Scritto male e con una vivace quanto tenue satira politica, recitato da cani simpaticissimi e con una produzione di un certo livello che ha permesso loro di ricreare un futuro neanche troppo lontano da quello che effettivamente si è venuto a creare, Demolition Man è il miglior film da raccomandare ad un caro amico che odiamo tanto.
VOTO: 3 trash e mezzo
Titolo peruviano: El demoledor Regia: Marco Brambilla Durata: 1 ora e 55 minuti Compralo: https://amzn.to/3P3UYQP
Il 23 agosto del 2005 un uragano di categoria 5, quella più grande e devastante, si formò nel mar delle Antille mettendosi in rotta di collisione con isole, isolotti e terraferma e portando tutta la sua potenza in aree densamente popolate, con le conseguenze che è facile immaginare.
Il 28 agosto raggiunse New Orleans, una città per la stragrande maggioranza sotto il livello del mare e quindi a rischio inondazioni ma, e qui viene il “bello”, senza un’adeguata protezione come esiste in paesi civili, vedi Olanda, che non spendono il 10% del budget annuale in armamenti ma in dighe e politiche di stampo socialista.
Anche se la città della Louisiana che ha ospitato per anni il genio incompreso chiamato Tommy Wiseau era stata in parte abbandonata dai cittadini, come le amministrazioni liberiste avevano e hanno sempre abbandonato il popolo che le foraggia, molti erano però rimasti indietro; chi perché scettico del pericolo, chi perché anziano o infermo o incapace di deambulare e chi, ancora più tristemente, perché così povero ed escluso dalla vita civile da non avere i mezzi economici per affrontare un esodo.
Un numero incalcolabile di danneggiamenti hanno fatto sprofondare ancora di più nella merda una delle città più disagiate degli Stati Uniti e e circa 700 persone sono morte; questo documentario è dedicato alla loro memoria.
Lungo e dettagliata opera di Spike Lee che analizza punto per punto, e a volte forse si accusa questo didascalismo, il letterale disastro dell’amministrazione fascio-liberista di Bush figlio che è sempre stata pronta a fare la guerra ad un popolo di beduini all’altro capo del mondo mentre si è trovata incapace o peggio ancora disinteressata ad intervenire per salvare cittadini americani che annegavano a poche centinaia di chilometri dalla capitale.
Tantissime interviste che disegnano una costellazione di volti multi razziali, multi culturali e multi classe si affastellano senza un minuto di pausa per ben 4 ore lasciando lo spettatore senza fiato come lo è chi fugge da un uragano; una soluzione probabilmente solo accidentale, ma che alla fine, nonostante uno avrebbe qualcosa da ridire sullo stile da horror vacui caciarone caciottaro di Spike Lee, non lascia indifferenti.
Più potente nella prima parte, fino al racconto del disastro con i patetici argini di lamiera che hanno prevedibilmente ceduto, e meno coinvolgente nella seconda dove si parla del come tante persone siano morte non tanto per l’uragano in sé ma per la mancanza di cibo, acqua e cure mentre l’esercito più grande e più ricco del mondo sedeva nelle sue basi sparse in tutto il globo.
Da vedere se interessati all’argomento o molto politicizzati contro i fascio-liberali perché non è bellissimo e non trascende i confini del documentario per diventare film…
…e però anche dopo 20 anni resta toccante e indimenticabile il racconto dell’afroamericano che ha visto morire davanti ai suoi occhi l’anziana madre in carrozzina, piegata su sé stessa sotto un sole cocente, mentre aspettavano invano gli autobus governativi di trasferimento.
VOTO: 3 caciotte
Titolo esteso: When the Levees Broke A Requiem in Four Acts Regia: Spike Lee Durata: 4 atti da 1 ora Compralo: https://amzn.to/3hiF4Cy
Vicende giudiziarie di Pino Maniaci, il personaggio siciliano finito al centro dell’attenzione mediatica per le sue personali ed agguerrite battaglie anti-mafia e anti-corruzione trasmesse attraverso la sua piccola stazione televisiva Telejato, e Silvana Saguto, potente giudice anti-mafia di Palermo finita sotto accusa prima di Pino e poi del sistema giudiziario per presunte irregolarità dei beni confiscati alla mafia, ovviamente per tornaconto personale.
Molti cani presenti, non necessariamente vivi.
Simpatica piccola serie televisiva che fa il suo piccolo sporco dovere ma che non entusiasma tantissimo e che certamente non esce al di fuori di un cerchiobottismo utile allo spettegolezzo popolare sulle scappatelle di Pino (che finge sì di criticare, ma che poi invece abbraccia prepotentemente) e al mantenimento di uno status quo buono a far vendere il prodotto Netflix sul mercato.
Se ve lo perdete non fate un soldo di danno; se ve lo guardate scoprirete che puoi combattere il malaffare e farti piacere la fregna allo stesso tempo, checché ne dica Travaglio.
VOTO: 3 Travaglio
Titolo inglese: Vendetta: Truth, Lies and the Mafia Regia: Paul Berczeller, Ruggero Di Maggio, Davide Gambino Anno: 2021 Durata: 6 episodi da 50 minuti
Un pezzo grosso della polizia italiana, il cui nome non viene mai rivelato per elevarlo a simbolico rappresentante di un’idea politica inespugnabile e non una persona la cui eliminazione potrebbe significare un cambiamento, vive una scabrosa e morbosa relazione con una ricca borghese ebrea che, per l’enorme senso di vuoto datole dalla sua condizione di parassita della società, si diverte a provocarlo nel mettere in scena su di lei e su altri l’impunità istituzionale che lo contraddistingue.
Passare con il rosso, tormentare il di lei marito omosessuale, sottoporla a tecniche interrogatorie volte a distruggere l’accusato per fargli confessare reati che mai ha commesso sono alcuni esempi di un crescendo di richieste che il protagonista fatica a declinare, preso com’è dal senso d’orgoglio per il suo sporco lavoro quotidiano di cane del potere e dall’inadeguatezza a contrastare caratterialmente una donna indipendente e vorace come quella capitatogli tra capo e collo.
L’apice di questo scontro tra la figura matrigna di lei e quella bambinesca crudele di lui giunge con l’assassinio della prima ad opera del secondo e la successiva scivolata narrativa, che poi compone l’intera ossatura del film, si giocherà tutta sull’incapacità del poliziotto nel farsi condannare da un sistema, da lui sempre servito e riverito come un totem divino, il cui scopo reale non è difendere il cittadino, ma preservare lo status quo, costi quel che costi.
Immenso film di denuncia uscito nei ruggenti anni di piombo, quando era ancora possibile fare un film contro la polizia senza essere attaccati dalla sinistra, e magnifica disamina dell’orrore celato dietro la cravatta dei potenti a cui tanti chinano il capo perché tengono famiglia… e chi se ne frega se nel tritacarne ci finiscono froci, sottoposti, proletari e più in generale chiunque non rivesta un ruolo di comando all’interno di un palazzo.
<<Poliziotto che intercetti le mie conversazioni>> dice l’anarchico Antonio Pace al telefono <<ribellati al padrone… o per lo meno fatti dare un aumento!>>; la semplice soluzione al dilemma dentro cui ci ritroviamo sta tutta qui in fin dei conti. Non devi necessariamente mettere una bomba alla questura, che se però lo vuoi fare hai tutta la mia stima; basta che ti ribelli a quello stronzo del tuo capo che non riesce a concepire quanto la tua manodopera sia essenziale alla riuscita dell’impresa tanto se non più della sua.
Interpretazione stellare di Gian Maria Volonté, che si rivolterebbe nella tomba se sapesse che a Roma alcuni ex della galassia comunista, poi confluiti nel PD e compagnia cantante per farsi raccomandare il posto fisso, hanno aperto una scuola di cinema col suo nome sperando di lavarsi la coscienza mentre c’hanno piazzato dentro una cooperativa popolata di ex compagni con la speranza di farli entrare poi in pianta stabile nella pubblica amministrazione con la prossima infornata di assunzioni politiche.
Fate schifo al cazzo e ve la faremo pagare cara per l’ignavia dimostrata.
VOTO: 5 Smeriglio
Titolo inglese: Investigation of a Citizen Above Suspicion Regia: Elio Petri Anno: 1970 Durata: 1 ora e 55 minuti Compralo: https://amzn.to/3o6sMQD
In giro c’è un fottuto ammazza-piedipiatti e io non potrei essere più felice.
Purtroppo il corpo di polizia non concorda e tenta invano di acchiappare questo buon samaritano che sta ripulendo la città da questi cani della borghesia e i cani bastardi non ci mettono molto a capire che hanno a che fare con un imitatore di John Kramer, il serial killer Jigsaw protagonista di 8 film.
Tra uno stereotipo e l’altro e una fotografia così contrastata che stava per prendere fuoco, Spiral scende veloce nello scarico dello sciacquone dal quale era risalito come Mr Hankey.
Imbarazzante è dir poco.
La sceneggiatura credo sia stata scritta a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso per poi essere dimenticata in un cassetto di qualche produttore, tra droga dello stupro e un paio di calze di quella mignotta lì che ho fatto fuori l’estate scorsa. Maledetta troia che serata. Poi a un certo punto uno deve aver pensato che si poteva fare un episodio della saga di Saw senza ci fosse alcun legame con la saga di Saw e questo vecchio copione è ricicciato fuori come un tumore quasi sconfitto.
E invece no, il tumore è tornato e ti mangerà il cervello fino a farti scordare come si piscia e ti piscerai in bocca perché sei un cane della borghesia e un giorno farai la fine del porco bastardo che sei.
VOTO: 2 mr Hankey
Titolo esteso: Spiral – L’eredità di Saw Regia: Darren Lynn Bousman Anno: 2021 Durata: 1 ora e 33 minuti Compralo: https://amzn.to/3w9PGKI
A distanza di 10 anni dalla morte di John Kramer, cominciano a comparire cadaveri trucidati alla maniera del trapassato enigmista e tutti gli indizi, comprese tracce del suo sangue, puntano sull’assassino originale della fortunata serie.
Com’è possibile?
Semplice: perché non sapevano che cazzo inventarsi e alla fine sono ricorsi al più classico dei trucchi, ovvero riportare in pista per l’ennesima volta il personaggio più amato della serie nonostante abbiano fatto il madornale errore di stecchirlo al terzo capitolo.
Deludente nuovo capitolo che, uscendo a distanza di parecchi anni dall’ultima tremenda pellicola, aveva dalla sua il vantaggio del tempo e della riflessione.
Purtroppo a nulla sono serviti 7 anni e molto silenzio per i fratelli Spierig i quali, nel sogno bagnato di avvicinarsi al loro quasi omonimo Steven, hanno invece fatto parecchi passi verso il mercato dei video matrimoniali.
Finale col twist tirato per il collo e balzo temporale telefonato fin dal primo quarto d’ora. Devo aggiungere altro?
VOTO: 2 Steven
Titolo originale: Jigsaw Regia: Michael e Peter Spierig Anno: 2017 Durata: 1 ora Compralo: https://amzn.to/3nFZ6JQ