Dopo la sparatoria western alla fine dell’ultimo episodio, Detective Colin, Detective CHiPs e Donnuono Ami vengono sacrificati e messi fuori gioco da poteri forti all’interno e fuori della municipalità di Vinci mentre Gangster Frank prosegue la sua personale scoperta del mondo femminile con l’interessante introspezione nel suo infruttifero matrimonio con Miss Labbra rifatte male.
A richiamare in servizio i 3 moschettieri però arriva presto lo State Attorney in quota afro-americana che vuole scoperchiare la pentola di melma e merda che sta appestando l’intera contea, una melma di soldi sporchi, mignotte rifatte e torture pornos fatti in casa. Tutta robetta buona per spezzare le reni di parecchi pezzi grossi dell’establishment… ma mancano le prove, in particolare l’hard drive di Ben Casper, fatto opportunamente sparire, che conterrebbe sesso droga e rock and roll, come non ci fosse domani.
La storia di questa seconda stagione di True Detective procede a stento verso un telefonato finale fatto di perversioni e vecchi laidi, tutte cose che non stupiscono più.
Quello che stupisce invece è che nel 2015 i ruoli femminili a Hollywood siano ancora scritti in questa maniera becera, svilente e maschilista: a che serve una donna che dice che le piacciono i cazzi grossi? Anzi, più specificatamente che le piaccioni i cazzi larghi?
Dimmi sceneggiatore hipster finto provatore, cosa volevi comunicare con questa scena? Era un modo per mettere in imbarazzo i maschi che non sono abituati alle donne che esprimono la loro sessualità in maniera esplicita? Oppure era uno sbilenco ed inutile tentativo di inspessire un personaggio femminile tormentato e costretto a vivere in un violento mondo dominato dal sesso maschile? O invece è semplicemente che sei uno stupido pipparolo che maschera la sua pazza voglia di vedere le labbra di Rachel McAdams pronunciare la parola “cazzo” con una finta linea politico-sociale d’avanguardia?
VOTO: 2 pipparoli e mezzo
Titolo originale: True Detective – Other Lives Stagione: 2 Episodio: 5 Regia: John Crowley Anno: 2015 Durata: 55 minuti
Nico Giraldi è un maresciallo della polizia di stato dalle maniere spicciole, volgari e violente; con un passato da scippatore e una madre mignotta oramai al camposanto, Nico ha passato fiume e s’è fatto sbirro acchiappaladri. Ovviamente, come tutti quelli coi sensi di colpa inespressi e repressi, svolge il suo lavoro con enorme foga e senza alcun rispetto delle più basilari regole comportamentali; anche se questo vuol dire fare le pinne con la motocicletta tra i banchi della frutta al mercato rionale o farsi 8 piani di scale di marmo sgasando come un coglione del Mandrione.
La storia gira intorno ad una valigetta contenente 5 milioni di dollari (o 4 miliardi del vecchio conio) che viene scippata in pieno centro da un paio di ladruncoli di basso rango; il problema è che quei 5 milioni di dollari appartengono a Richard Russo, un diplomatico americano che per arrivare a fine mese si è messo a riciclare i soldi sporchi dei rapimenti. Venuto a conoscenza dei fatti, Nico pensa bene di sfruttare l’occasione e usare Baronetto, uno degli scippatori, come esca per acchiappare il pesce grosso e cioè il diplomatico criminale.
Facendosi avanti a suon di sberle sulle recchie, calci in culo col riporto e un vestiario da psicopatico infantile, Nico risolverà il caso e si beccherà pure una sventola di ragazza intellettuale che inspiegabilmente si innamora di lui… lui che legge Topolino e non sa chi sia Thomas Mann.
Finalmente mi sono costretto a vedere uno dei film della serie Maresciallo Giraldi (da non confondere col più famoso Monnezza) e posso confermare che è una cazzata.
Diretto da Bruno Corbucci (fratello meno talentuoso di Sergio) questo Squadra antiscippo è un crogiuolo di mediocri aspirazioni da italiano medio e sentimenti giustizialisti da baretto della domenica con una bella spolverata del sempreverde svilimento della donna, vista solo come un essere debole da difendere (spesso e volentieri da altri maschi alfa) o come un oggetto sessuale (da svestire senza reale motivo). Esemplare a tal proposito la scena in cui Nico arriva tardi alla cena preparata dalla ragazza perché impegnato col lavoro: entra con un fiore preso al campo sotto casa, chiede scusa e poi, ignorando il cibo e le candele, se la scopa. Bisogna ricordare che i due si sono conosciuti il giorno prima per 20 minuti massimo, durante la pausa pranzo di lei.
Nico in pratica applica gli stessi modi criminali che aveva quando faceva gli strappi in motorino al suo attuale lavoro da poliziotto e la lezione che se ne dovrebbe dedurre, visti i risultati positivi delle sue azioni, è che lo Stato non dovrebbe rispettare la legge mentre cerca di pizzicare quelli che non rispettano la legge. Notate l’ossimoro? Bravi, siete più intelligenti dell’italiano medio.
Qui siamo di fronte all’inizio del cosiddetto “riflusso” e cioè il graduale ma inesorabile ritiro delle istanze politiche degli anni ’60 e ’70 in favore di una vita borghese da televisore acceso mentre si cena. Forse molti all’epoca non se ne sono resi conto, ma questo tipo di film è diretta espressione della moderna ideologia fascio-capitalista italiana; un ordine economico piramidale maschilista senza rispetto delle regole ma con un cuore grande per la mamma mignotta.
E chi lo sa? Forse Corbucci ci ha tirato un grande tiro mancino: mettere in scena un personaggio criminale, stupido, violento, ignorante, rozzo, sporco, sbruffone, maschilista e figlio di mignotta e farci poi identificare tutti i vari fascistelli (inconsapevoli [?]) italiani è stata una mossa politica geniale. Sì, forse è così… o forse Corbucci era più semplicemente uno stronzo senza etica.
L’unica cosa che si salva, in questo mare di inettitudine fatta mito, sono le acrobazie dei cascatori (gli stuntmen de casa nostra), poveracci che senza uno straccio di assicurazione sulla vita si gettavano a capofitto dai tetti dei palazzi di una Roma sconsolata e decrepita che però piaceva tanto all’estero e che ha aiutato non poco la vendita di tutti questi film di merda nel mercato internazionale.
VOTO: 2 maschi alfa
Titolo alternativo: The Cop in Blue Jeans Regia: Bruno Corbucci Anno: 1976 Durata: 95 minuti Compralo: https://amzn.to/3YzZb3S
Gangster Frank si distanzia sempre più dalla moglie mentre cerca di rimettersi in gioco nella malavita locale alla disperata ricerca di contanti; Paul CHiPs si svela essere frocio represso con tanta voglia di paternità; Detective Colin smette di bere e ricomincia a provare sentimenti; e Donnuomo Ami viene accusata di mobbing sessuale al dipartimento. Ah, molti personaggi senza nome schioppano come petardi in un finale che vorrebbe essere adrenalinico ed invece è soporifero.
Altro episodio, altro regista, stessa pappa. Niente di veramente importante succede, eccezion fatta per uno dei momenti più assurdi che abbia mai visto e cioè quando il padre guru-santone-truffatore di Ami guarda dritto dritto Detective Colin e se ne esce con le seguenti parole: “Hai un’aurea enorme, verde e nera, prende tutta la stanza… ecco, sentivo di doverlo dire”.
Semplicemente magnifica questa metafora della famosissima nerchia di Colin.
VOTO: 2 Colinerchie e mezza
Titolo originale: True Detective – Down Will Come Stagione: 2 Episodio: 4 Regia: Jeremy Podeswa Anno: 2015 Durata: 55 minuti
Lo contea di Ventura cerca di usare l’erotomane Ami contro il detective Colin Farrell per arrivare a rompere i coglioni al sindaco della città di Vinci e il sindaco di Vinci a sua volta fa pressione sulla polizia cittadina per stroncare l’erotomane Ami che ha osato entrargli in casa per indagare sul misterioso omicidio del manager cittadino Ben Casper a cui piaceva tanto la perdizione sessuale fatta di giovani prostitute, gigolò ragazzi e oggetti sadomaso.
In tutto ciò, Paul CHiPs non fa nulla.
Continuano le peripezie di tre personaggi in cerca d’autore alle prese con i misteri noir della California inizio millennio. Grazieaddio per quest’episodio il regista è cambiato e le cose cominciano tiepidamente a migliorare: con un’apertura fantastica e molto Lynchana tra Colin e il padre ex detective (interpretato dal mitico e invecchiatissimo Fred Ward, indimenticabile grugnone bifolco in Tremors) e caratterizzazioni leggermente meno stereotipate, il terzo episodio della nuova stagione di True Detective cerca pietosamente di scalare la montagna di merda ai piedi della quale si era felicemente gettato.
VOTO: 2 montagne di merda e mezza
Titolo originale: True Detective – Maybe Tomorrow Stagione: 2 Episodio: 3 Regia: Janus Metz Anno: 2015 Durata: 55 minuti
Il poliziotto Nicholas Angel della polizia di Londra è un vero portento, un primo della classe ligio al dovere sempre pronto a sacrificare il proprio tempo e le proprie forze per servire la Legge. Nicholas è talmente bravo e talmente ambizioso che i suoi superiori lo fanno trasferire a Sandford nel Gloucestershire, un paesino di merda in una provincia di merda inglese, perché i suoi eccellenti risultati stanno facendo apparire tutti i colleghi come dei nullafacenti. Arrivato alla cittadina tutta rose fiori stradine cigni berbenismo e stupidità, Nik si troverà ben presto invischiato in un torbido giro di orribili omicidi interconnessi ed una cospirazione fuori dalla comprensione umana.
omoerotismo a gogò
Secondo capitolo della trilogia del cornetto dopo il fantastico esordio con Shaun of the Dead che parodiava il genere zombie, questo Hot Fuzz è invece un concentrato di rimandi e ammiccamenti ai vari polizieschi e ai film d’azione che tanto hanno popolato i piccoli e grandi schermi di mezzo mondo, dal primo The Great Train Robbery fino alle stronzate tipo Bad Boys.
Con una sceneggiatura perfettamente congegnata e scritta in 18 mesi (mica cazzi), un mistero appassionante e un messaggio pungente (a tratti consapevolmente e autoironicamente fascista) contro il finto berbenismo tipico britannico, Hot Fuzz le azzecca praticamente tutte portando a casa un risultato incredibile: far appassionare allo stesso modo sia un pubblico popolare becero e sia uno più ricercato e colto.
Alla faccia delle diarree nazional-popolari italiche tipo Tale of Tales che invece fanno fischiare i culi di tutti quanti.
VOTO: 4 culi fischianti e mezzo
Titolo originale: Hot Fuzz Regia: Edgar Wright Anno: 2007 Durata: 121 minuti
Dopo il primo deludente episodio, qui si cerca di sviluppare ulteriormente quattro protagonisti che non hanno nulla da offrire ad un pubblico avveduto quale dovrebbe essere quello fedele a True Detective e lo si fa andando a scavare nelle loro psiche, proiettili morti che viaggiano a 100 all’ora su strade buie.
Il redento criminale Frank racconta alla moglie che il padre lo chiudeva nello scantinato la notte quando andava a “lavorare” e che una volta lo lasciò lì sotto per 5 giorni senza acqua né cibo; l’agente CHiPs Paul viene mollato dalla ragazza perché non vuole conoscere i genitori di lei e la giovine si sente usata solo come sfogo sessuale; la tosta Ami quando torna stanca dal lavoro si guarda i porno anali (perché questo dovrebbe significare “perdizione” secondo i puritani Hollywoodiani); e Colin, dopo aver preso a calci in bocca il padre di un compagno di scuola del figlio bastardo (nel senso non suo), viene dichiarato indesiderato dalla moglie la quale però prova ancora molta compassione per un soggettone alcolizzato e manesco.
Nonostante l’evidente voglia di inspessire una trama da libretto pulp anni ’50, siamo ancora ben lontani da una vera e propria caratterizzazione, sia dei personaggi, povere figurine senza colla lanciate al vento di novembre, e sia per la corrotta città di Vinci la quale sembra essere fatta unicamente di tristi ciminiere e autostrade a 6 corsie.
Ma dove sono gli abitanti? Dov’è il popolo? Ma soprattutto, che fine ha fatto Carmen San Diego?
Bah… se questo è intrattenimento, io sono Paperino.
VOTO: 2 Paperini perduti
Titolo originale: True Detective – Night finds you Stagione: 2 Episodio: 2 Regia: Justin Lin Anno: 2015 Durata: 55 minuti
Non ci siamo proprio. Questa nuova stagione di True Detective si apre nel segno della noia, dello stereotipo, del macchiettistico e dell’assurdo; e la storia sembra complicata solo perché è montata a cazzo di cane quando invece è in realtà parecchio semplice (oltre che stravista in precedenza).
SPOILERS
Allora: ci troviamo in California nella contea di Ventura (sulla costa poco più a nord di Los Angeles) e come, da copione, tutto sembra andare in malora: la violenza e la perversione regnano sovrane e la città sta per svelare un imponente progetto urbanistico/viario che promette di portare parecchi dindini nelle tasche di mafiosi e politici corrotti. Questa bolla però sembra stia per scoppiare perché un giornalista hipster che vive in una casina di legno di periferia e che guida una macchinina blu cielo ha fatto appena uscire la prima di una serie di 5 reportage sulle macchinazioni criminali che governano le istituzioni cittadine.
A fermare questo giornalista alla Milena Gabbanelli viene mandato il corrotto detective Ray Velcoro (chiamato da me Colin Farrell perché non riesco a vedere proprio altro nella sua performance) che, per fermare l’uscita degli altri reportage, riempie di botte Mr Hipster e gli ruba il laptop…
…come se nel 2015 non ci fosse il cloud storage e la redazione del giornale presso cui l’hipster lavora non avesse già accesso da rempoto a tutto il malloppo di informazioni. Ma vabbé, questa minchiata di telefilm vuole imitare i polizieschi anni ’90 come L.A. Confidential che voleva imitare Chinatown che voleva imitare i polizieschi anni ’40 e ’50 quando certo non esistevano i computer e il cloud e le email e bastava spaccare una bottiglia in testa al giornalista e rubargli la macchina da scrivere con tutti i fogli per stoppare le inchieste. Tutto questo, tra l’altro, passando attraverso la lente deformante di una commedia noir come Chi ha incastrato Roger Rabbit, prodotto infinitamente migliore di questa scatarrata in pieno petto.
Dicevamo: Colin è stato mandato da Frank Semyon, un pezzo grosso della mala locale, un incredibile bamboccione stempiato interpretato da un Vince Vaughn in cerca di riscatto personale dopo le numerose commedie da ergastolo che lo hanno visto protagonista negli ultimi anni (spesso insieme al suicida fallito Owen Wilson). Colin lavora per Frank perché anni prima Frank aveva fatto fuori (senza un reale motivo) lo stupratore della moglie di Colin, la quale aveva poi spurgato un bambino bastardo (nel senso di illegittimo) pel di carota che non potrebbe essere figlio di Colin neanche se la madre fosse vichinga. A complicare le cose però arriva la scomparsa di Benjamin Casper, il direttore amministrativo della città (il vice del sindaco per intenderci), che ha lasciato in fieri il mega affarone mafioso ancora da annunciare agli investitori e un villone di sua proprietà pieno zeppo di cazzi di gomma, dipinti di donne senza testa e scheletri vestiti come Madonne da incubo.
Qui è chiaro che Nic Pizzolatto, il creatore e scrittore della serie, vuole stupire a tutti i costi un pubblico sempre molto avvezzo a farsi prendere per il naso con trucchetti semplicini semplicioni sempliciotti come questi.
Cazzi di gomma? Spavento froci perversione. Qui c’è sotto qualcosa di diabolico! Scheletri ingioiellati? Paura, le tombe l’Egitto, i film vecchi che piacevano a nonna!
A me semplicemente mi è venuta in mente un’altra scena di un altro film sempre con Colin Farrell. In Minority Report, Colin fa l’investigatore alla ricerca di Tom Cruise assassino e ad un certo arrivano alla scena del crimine dove Tom avrebbe ucciso il pedofilo che aveva rapito suo figlio anni prima: sul letto e per tutta la stanza ci sono foto di bambini, segno inequivocabile dell’attività criminale del morto. Colin non ci casca e dice qualcosa di molto sensato: “Questa scena del crimine è un’orgia di prove… e sai quante orge di prove ho incontrato nella mia carriera? Nessuna”. Perché per l’appunto nella realtà dei fatti (seguendo i quali True Detective dovrebbe essere stato scritto) i matti e i cattivi sono tutto sommato persone normali: hanno lavori comuni e a volte gratificanti (tipo vice sindaco) e non passano certo il tempo a ficcarsi cazzi di gomma in culo mentre si masturbano sotto uno scheletro vestito da principessa.
Qui il problema è che gli sceneggiatori di Hollywood confondono la realtà con la loro immaginazione, e io non sto qui a giudicare Nic perché sogna di mettersi i cazzi di gomma in culo mentre si masturba sotto uno scheletro vestito da principessa. No, io contesto che ci facciano una serie televisiva sopra e alla quale milioni di boccaloni ignoranti abboccano pensando che sia una cosa bella e alternativa.
A conclusione abbiamo poi gli altri due personaggi primari: due poliziotti della stessa contea, entrambi con problemi seri di autostima e comprendonio. Uno è un veterano dell’esercito, ora poliziotto in motocicletta stile CHiPs, che prende il viagra di nascosto dalla sua ragazza fotomodella con la quale non vuole condividere un amore perché si vuole autopunire guidando a fari spenti nella notte manco fosse in una canzone di Niccolò Fabi, e l’altra è una donna che fa sesso strano con colleghi sprovveduti i quali caccia di casa subito dopo il coito manco fossero mignotte e che ha un padre capo sprituale fricchettone ridicolo al massimo che due ceffoni se li meriterebbe subito subito e una sorella ex tossica che ha perso la retta via e ora si masturba in webcam previo lauto pagamento con carta di credito (chiamala scema).
Insomma, come al solito ci troviamo di fronte una zuppa di stereotipi fatta di maschi tenebrosi e alcolisti che dentro dentro vorrebbero solo amare e donne stronze e acide e dure e con le spine che in realtà hanno solo bisogno di un uomo che le addolcisca con un bacino sul mento. In genere questi due stereotipi si incontrano e, dopo una serie di incomprensioni che sembrano portarli alla rottura, trovano un fine comune dietro il quale marciare uniti e grazie al quale impareranno che la felicità è dietro l’angolo. Basta volerla.
True Detective? Ma vaffanculo.
VOTO: 2 donne stronze acide dure e con le spine che in realtà hanno solo bisogno di un uomo che le addolcisca con un bacino sul mento
Titolo originale: True Detective – The Western Book of Dead Stagione: 2 Episodio: 1 Regia: Justin Lin Anno: 2015 Durata: 55 minuti
Joe Marshall (che in America sarebbe tipo Peppe Maresciallo) è un poliziotto di San Diego esperto in arti marziali che viene chiamato a Los Angeles per combattere una gang Yakuza invischiata nel traffico di droga. Aiutato dal suo collega nero Frank Washington (che in America sarebbe tipo Franco Negretti) sconfiggerà uno ad uno tutti i suoi avversari a suon di cazzotti, katane e, cosa più importante, conquisterà la sua bella cucinandole una torta per il suo compleanno.
Samurai Cop è un film cult. Girato da un Iraniano emigrato a Los Angeles dopo la rivoluzione islamica, sembra a tutti gli effetti un film turco con attori americani; mai uscito nelle sale cinematografiche e rimasto una chimera per 15 anni, si è fatto pian piano strada nei cuori della gente grazie ad internet e alla diffusione di piccole esilaranti clip tratte dal film stesso.
E’ anche difficile esprimere a parole lo stupore di trovarsi di fronte una tale ciofeca, l’incredulità delle situazioni e delle locations (tipo l’enorme villa bianca sul mare di Peppe-Joe), la ridicola serietà di certe performance (tra tutte, quella del compianto Robert Z’Dar, famoso attore di B-movies affetto da cherubismo) e la povertà tecnica di tutta l’operazione (capita frequente che luci, eyelines e temperature colore non combacino tra uno shot e l’altro).
L’unico modo per capire appieno la soglia di stupenda mediocrità raggiunta da questa perla del genere “buddy cop” è vederla con i propri occhi e fortunatamente il film, dopo anni di oscurità, è stato ripescato e rimasterizzato in blu-ray, così da poterlo ammirare in tutta la sua magnificenza. Se siete amanti della forza di volontà degli inetti e dei loro terribili risultati, non fatevi scappare Samurai Cop.
VOTO: 2 espressività e mezzo
Titolo originale: Samurai Cop Regia: Amir Shervan Anno: 1991 Durata: 96 minuti
E’ il futuro e la razza umana è riuscita a far sua la manipolazione genetica.
Ora è possibile selezionare gli embrioni in base al DNA e far nascere solo quelli con il minor numero possibile di condizioni genetiche negative quali miopia, calvizie, obesità, depressione, insufficienza polmonare e tendenze socialiste. Sembra un futuro roseo; un tempo in cui finalmente l’umanità sembra potersi disfare delle frattaglie genetiche che l’hanno accompagnata lungo il suo percorso evolutivo durato milioni di anni.
Sì, tutto bello e tutto giusto… ma che fare con gli umani schiacciati tra un futuro perfetto e un passato da dimenticare? Che fare con gli umani imperfetti? Che fare con quelli come Vincent?
specialmente se hanno la faccia di Ethan Hawke
Gattaca è stato un film un po’ particolare: uscito al culmine del dibattito sulla genetica (negli stessi anni la razza umana era riuscita a decodificare il DNA umano, un evento che apriva molte strade per il futuro ma anche molti interrogativi sul come gestire le inevitabili scoperte scientifiche che ne sarebbero scaturite), il film è stato anche l’inizio e la morte stessa dei dibattiti cinematografici sull’eugenetica, cioè la selezione artificiale degli umani su base genetica. Dopo Gattaca infatti non se ne è più parlato… e forse è un bene.
Nonostante l’aperto confronto tornerà inevitabilmente una volta che sarà effettivamente possibile fare quello che il film mostra, ciò non toglie che le paure e gli interrogativi che la pellicola ha cercato di sollevare sono stati in gran parte già scongiurati: il genoma umano è stato dichiarato patrimonio dell’umanità e reso pubblico e quindi tutti hanno potuto e potranno accedere alle informazioni racchiuse al suo interno, e in seconda istanza sono entrate già in vigore in USA (non so in Europa) leggi che tutelano la riservatezza delle informazioni genetiche mentre la discriminazione genetica è già un reato perseguibile al pari della discriminazione razziale o di genere.
E dirò di più: il controllo dei geni è una delle conquiste più grandi che potessimo fare; non solo adesso abbiamo una conoscenza approfondita di tutti quegli ostacoli che hanno impedito a miliardi di persone di realizzarsi al loro più alto potenziale, ma abbiamo anche la possibilità di evitare inutili sofferenze alle generazioni future. Un domani senza cancri, malattie, deformità e via dicendo.
Ma attenzione, è qui che bisogna ricordare come il compito dell’arte non sia quello di indirizzare verso una precisa strada, ma più quello di mostrarci TUTTE le possibili strade dalla comodità della finzione artistica. Avendo quindi di fronte lo spettro emotivo completo di una biforcazione evolutiva, risulta più facile prendere la via più sensata.
Un grazie quindi ai film come Gattaca che cercano di esplorare orizzonti così lontani e che eppure ci appaiono così vicini grazie proprio all’emotività che sviscerano in noi.
Un vaffanculo invece a quelli che continuano a demonizzare la scienza.
VOTO: 4 Dottor Stranamore e mezzo
Titolo originale: Gattaca Regia: Andrew Niccol Anno: 1997 Durata: 106 minuti Compralo: https://amzn.to/3gvsRHL
Consapevole delle ripercussioni sul mio buon nome e su quello dei figli dei figli dei miei figli è arrivato il momento di fare outing e dire che sono un fan accanito di Castle, la serie televisiva americana incentrata sulle investigazioni del detective Kate Beckett della polizia di New York e del suo infantile e geniale spasimante Richard Castle, scrittore di romanzi gialli ricco e viziato.
Castle fa al caso vostro.
Altrimenti fate i fichi della situazione e guardatevi quella cacata di proporzioni colossali che è Game of Thrones; una serie esclusivamente incentrata su cazzi, cazzotti, spade, draghi e il culo di Emilia Clarke.
VOTO: 4 culi di Emilia
Titolo originale: Castle Creatore: Andrew W. Marlowe Anno: 2009 – 2016 Durata: 8 stagioni con episodi da 45 minuti circa
Rustin Spencer Cohle è un investigatore texano con parecchi problemi esistenziali: da quando gli hanno investito la figlia piccola, la sua vita è andata a rotoli e il suo pessimismo cosmico l’ha reso sempre più inviso a colleghi e amici. Passa le giornate ad odiare gli stupidi, a leggere libri su libri e a dispensare giudizi affrettati su chiunque gli sbarri la strada. Martin Eric Hart invece è un investigatore della Louisiana, uno stato americano famoso per l’atteggiamento rilassato (probabilmente dovuto all’influenza coloniale francese dei secoli passati), è un padre di famiglia a cui piace bere e guardare le partite in tv, non ha una grande intelligenza e si radica in un finto berbenismo e un tradizionalismo confortanti per i semplicioni come lui.
I due vengono appaiati dalla polizia statale e messi presto a lavorare su un caso sconcertante: una ragazza drogata a forza, stuprata, torturata, e uccisa secondo uno strambo rituale pagano.
Rust e Marty, compensando le reciproche lacune caratteriali come una brava coppia del 19° secolo, spaccheranno talmente tanto il culo al sistema che risolveranno il caso e al contempo riveleranno una macchinazione talmente grande da mettere a repentaglio le loro stesse vite.
a sinistra Tree of Life, all’EUR di Roma; a destra una delle tanto decantate inquadrature di True Detective
Questa prima stagione di True Detective è stata un clamoroso successo di pubblico ed un ottimo ritorno economico per il canale produttore, quella HBO che ci sta regalando i migliori anni della nostra vita televisiva. Basato sul genere “true crime”, molto in voga negli anni ’50, e con uno stile sicuramente influenzato dal capostipite del genere “investigazioni folli”, Twin Peaks, questa serie televisiva americana trova libero sfogo nel compiacimento tecnico visivo, sicuramente di grande impatto e con bellissimi momenti fotografici, ma che bene o male piglia a destra e manca da grandi registi del passato e non.
La cosa più divertente invece è il nichilismo pessimista di Rust: un misto di intelligenza, misantropia, e decadentismo politico lo rende un personaggio interessante e sicuramente diverso dalla marea di poliziotti che hanno fatto capolino sull’etere negli ultimi 60 anni. D’altra parte però, questo continuo rendere antipatico un personaggio che in realtà ha solo perso la voglia di vivere dopo la tragica morte della figlia, depotenzia troppo spesso il messaggio anti clericale di cui tutta la serie è pervasa. Soltanto uno sciocco (senza sale, in zucca) potrebbe infatti ignorare tutta la linea anti religiosa che continuamente rispunta ad ogni puntata; una linea politica talmente forte che, senza rovinare la serie a chi non l’ha vista, sarà infine parte fondamentale del mistero attorno al caso.
i culi invece non hanno alcuna ragione narrativa
Non convince appieno neanche l’altro protagonista (e co-produttore dello show), Marty, interpretato da un imbolsito Woody Harrelson, che cerca malamente di comprendere la filosofia di vita di Rust mentre si scopa le ragazzine alle spalle della moglie. Nonostante in qualche punto si faccia un esile collegamento tra i suoi peccati, le sue tendenze violente e il generale clima di terrore soffocato che pervade le paludi della Louisiana tra le quali orribili omicidi vengono perpetrati ogni giorno, questo legame narrativo è troppo flebile per essere compreso dal pubblico generale e quindi il messagio viene in gran parte vanificato. Non molti avranno infatti collegato il tema pedofilia e violenza sulle donne con l’atteggiamento finto berbenista e maschilista di Marty il quale giunge a riempire di cazzotti una coppia di ventenni, rei di aver amoreggiato consensualmente con la sua figlia adolescente. La cosa che lascia più perplessi infatti è il velo di giustificazione verso una giustizia sommaria e privata che ricopre troppo spesso le azioni dei due “eroi”; non si traccia realmente un parallelismo tra i demoni che affliggono Rust e Marty e quelli reali che torturano e uccidono giovani americani per raggiungere un più alto piacere personale, in nome di un contrappasso dantesco che viene appena accennato, una volta rivelata l’identità dell’assassino.
penso che dopo questo girerò Interstellar
La cosa più bella ed invece meno sfruttata di tutte è la sinestesia di Rust, cioè quella condizione per cui due o più sensi si confondono; un certo gusto quindi può dare la visione di un certo colore o il sentire un particolare odore. La percezione del mondo attraverso i sensi è una cosa naturale ed utile agli esseri viventi, ed una leggera sinestesia è comune e ben accetta: basti pensare alla vista del cibo che può stimolare il senso del gusto, proprio come lo si stesse effettivamente assaporando. Nella sua forma più pura però, la sinestesia è unidirezionale (cioè va solo da un senso all’altro), incontrollabile e può a volte inficiare la vita della persona affetta.
Rust, con il suo passato di drogato, ha ancora dei fenomeni di allucinazione visiva e olfattiva (lui li definisce flashback acidi) di quando si faceva pesantemente di LSD; in una puntata però, si fa riferimento alla cosiddetta Teoria M, una teoria fisica molto recente e ancora in discussione che, detto in parole poverissime, vorrebbe unificare tutta la fenomenologia fisica sotto un unico ombrello semplificativo. Una sfera spazio-tempo quindi potrebbe essere ridotta a un cerchio, una figura bidimensionale, nella quale tutte le posizioni di una particella nel tempo sono presenti nello stesso spazio, e dalla cui visione quindi si può concludere che un evento non è mai isolato, ma tutto è ciclico, tutta la storia è circolare e ricorsiva.
Rust si domanda cosa cambi salvare una bambina dalle mani di un assassino quando quella bambina tornerà inevitabilmente in quel posto, ancora, e ancora, e ancora, per tutta l’eternità di questo universo. Purtroppo però tutta questa linea più alta e filosofica è stata gettata nel cesso dopo circa 10 minuti, in favore di tette pubescenziali e spauracchi fatti coi legnetti.
Grazie, pubblico generalista.
Titolo originale: True Detective Stagione: 1 Regia: Cary Joji Fukunaga Anno: 2014 Durata: 8 episodi da 55 minuti circa
Il capitano di polizia Dewey Wilson deve trovare chi ha ucciso orribilmente gli straricchi palazzinari Van der Veer nel Battery Park di Manhattan. All’inizio si punta sulla pista terrorista per l’ovvia valenza simbolica di un assassinio di così alto profilo, ma ben presto entra in campo la magia ed il mai risolto conflitto coi nativi americani.
…
Wolfen è un dimenticato film primi anni ’80 che si inserì nel prolifico filone dei licantropi, anche se a vederla bene non c’entra un cazzo con questi ultimi. La regia è buona e la storia non male, un quasi classico senza troppe pretese; lo stile a volte è troppo raffinato per il pubblico di riferimento e forse anche per questo è oggi dimenticato. E’ uno dei primi film a fare uso della steadycam e soprattutto lo fa per una ragione narrativa, da apprezzare quindi. Gli inserti visivi in stile Mtv invece sono sorpassatissimi, anche se in altri film, tipo Predator, funzionano ancora alla grande. Di rilevanza storica infine sono le immagini girate nel Bronx, quando la zona era in completo disfacimento ed offriva rifugio ai tanti derelitti della società americana: drogati, poveri, neri e spiriti divini.
Annotazione buffa: il regista Wadleigh ha due lauree, in fisica e medicina, ed insegna ad Harvard.
Titolo originale: Wolfen Regia: Michael Wadleigh Anno: 1981 Durata: 115 minuti