Il capitano Pete “Maverick” Mitchell non si rassegna a morire come il cane bastardo lecca-palle del padrone-liberale quale lui è e passa le sue inutili giornate nel deserto polverizzando in voli supersonici le tasse dei poveri contribuenti americani che nel 2022 non hanno neanche un servizio sanitario nazionale che possa assicurare loro cure gratuite per robe tipo il diabete.
Il diabete è una malattia che in paesi con l’embargo americano tipo Cuba non fanno nemmeno un morto perché l’insulina te la fornisce lo Stato, cioè il Popolo Sovrano. Quello stesso popolo che dovrebbe prendere Maverick per i capelli, trascinarlo fuori dalla carlinga del suo jet militare brucia-soldi, legarlo stretto stretto ad un palo della luce e dargli fuoco spengendo poi le fiamme con abbondante piscio di maiale, perché ogni ora di volo di un jet privato contribuisce al disastro ambientale con 2 metri cubi di co2.
Film propaganda (becera) molto ben confezionato che farà esaltare le gonadi dei guerrafondai liberali tipo Enrico Letta o Gianni Riotta che rappresenta probabilmente l’imbarazzo massimo del giornalismo italiano; una roba che quando passa per strada anche le merde rancide dei senza tetto alla stazione si scansano per non farsi toccare da cotanta schifezza.
E facendo un esercizio immaginativo, possiamo discutere di quanto sua madre gli ha voluto bene, ma lui ha tradito il suo cuore desiderando il cul di lei molteplici notti, culo sporco di merda che il piccolo Gianni forse voleva leccare lentamente assaporando ogni momento come fosse l’ultimo mentre suo padre, chissà se anch’esso senzapalle, guardava la scena nell’angolo più buio della casa masturbandosi furiosamente e rimuginando su quanto sia bello spendere i soldi delle tasse in armamenti per i nazisti ucraini.
VOTO: 3 riottosi
Titolo giapponese: トップガン マーヴェリック Regia: Joseph Kosinski Durata: 2 ore e 10 minuti Compralo: https://amzn.to/3AwFNtT
John Spartan è un poliziotto americano che non bada a spese quando si tratta di demolire palazzi interi nell’intento di catturare pericolosissimi criminali neri come la notte della ragione che lui non riconoscerà mai di contribuire a creare.
Ma a un certo punto, punto certo, avendo provocato la morte di 30 ostaggi mentre acchiappava per le palle il pazzo carnefice Simon Phoenix, viene condannato assieme a quest’ultimo al congelamento correttivo in una prigione criogenica per una sonora quarantina d’anni.
Balzo in avanti e siamo nel 2032, la società si è trasformata in una distopia liberale del politicamente corretto dove vieni punito attraverso un sistema a crediti per ogni parolaccia o per ogni comportamento scorretto, tipo mangiare cibi ricchi di colesterolo.
Ed è in questo paradiso per gente tipo Lilli Gruber che John e Simon si ritrovano a darsene di santa ragione, mentre un ricco fascista liberale con un gusto estetico da parrucchiera di Viterbo complotta per terrorizzare la popolazione e spingerla a dargli pieni poteri, come Mario Draghi.
Famosissimo film sconosciuto che nonostante abbia molti fan e si fregi di grande classico di serie B, rimane inspiegabilmente estraneo ad ogni discussione sul trash anni ’90.
Scritto male e con una vivace quanto tenue satira politica, recitato da cani simpaticissimi e con una produzione di un certo livello che ha permesso loro di ricreare un futuro neanche troppo lontano da quello che effettivamente si è venuto a creare, Demolition Man è il miglior film da raccomandare ad un caro amico che odiamo tanto.
VOTO: 3 trash e mezzo
Titolo peruviano: El demoledor Regia: Marco Brambilla Durata: 1 ora e 55 minuti Compralo: https://amzn.to/3P3UYQP
Soprusi, egoismo, ladrocini, rampantismo, tradimenti, menefreghismo e tonnellate di cocaina. No, non sto parlando del Governo Draghi, ma dei famigerati anni ’80.
E in questi anni di capitalismo sfrenato senza le redini del socialismo a togliergli la coca da sotto al naso, i fottuti liberali (a cui tanti personaggetti fanno riferimento, tipo quel Beppe Severgnini che pare sia stato pagato dal governo inglese per creare scompiglio sociale e odio dei popoli con l’artefizio delle fake news) si bevevano Wall Street con una scorza di proletariato come non ci fosse un domani mentre la nostra povera Tess McGill faceva la segretaria di donna top manager mangia cazzi doppiogiochista.
…e allora perché non mettere in pratica un po’ del comportamento sleale delle classi dirigenti così da fare anche lei la scalata? Incontri fortuiti, fidanzati fottuti ed ecco che l’occasione di una vita sembra alle porte…
Ma il mostro mangiacazzi è pronto a riprendersi l’osso di buco di culo frocione paperone.
Commedia-dramma-film per donne che vogliono farcela nella vita in un mondo dominato da maschi liberali; e alla fine io non sono sicuro mi sia piaciuto.
Belle le interpretazioni di Harrison Ford col ciucciotto in bocca e Melanie Griffith sotto botta di cocaina, ma la morale della favola qui è sì farcela con le proprie gambe, e va bene ok buon insegnamento per le donne vessate dai dirigenti maschilisti, ma perché per dire che le donne hanno diritto ad un posto in società si deve glorificare un sistema malsano come quello liberale?
Qui la catarsi sembra essere che la manager Tess sarà meno stronza e più sincera con la sua segretaria di quanto lo sia stata la sua manager quando a sedere dall’altra parte del tavolo c’era lei, ma questo è semplicemente un abominio. Un po’ come quelli che sono felici perché ora ci sono le donne nell’esercito; l’esercito che uccide uomini, donne, bambini, cani, vecchi e calpesta i diritti di tutti gli altri per pacificare la pancina sempre brontolona di capitalisti sociopatici che siedono ai posti di comando.
Fanculo Wall Street, fanculo l’esercito e soprattutto fanculo i giornalisti pagati dal governo inglese per creare scompiglio sociale e odio dei popoli con l’artefizio delle fake news.
VOTO: 3 vecchi
Titolo originale: Working Girl Regia: Mike Nichols Durata: 1 ora e 53 minuti Compralo: https://amzn.to/3MpIilc
Una cittadina texana di 50 mila persone diventa il teatro della più contemporaneo delle tragedie umane, l'(in)aspettata conversione di un giovane disadattato che con un agile scatto passa dalla dottrina americana neo-liberista alla dottrina araba neo-musulmana.
Risate a non finire.
Interessantissimo cortometraggio dal contenuto inquietante nel suo triste esito e dalla realizzazione perlomeno estraniante se vogliamo accettare le maschere di Ironman e Topolino come una fortunata intuizione dell’autore e non un ombelicale ribaltamento del tono per il gusto di.
Da vedere anche perché corto.
VOTO: 3 e mezzo
Titolo brasiliano: Fantasmas de Sugar Land Regia: Bassam Tariq Anno: 2019 Durata: 21 minuti
La mattina dell’11 settembre 2001, 15 cittadini sauditi dirottarono 4 aerei di linea americani per andare a conficcarli, come siringhe nel braccio dei rimastini che bivaccano dietro casa tua, dentro 1 Pentagono, 2 torri gemelle e 1 campo disabitato della Pennsylvania.
Un attacco orchestrato dal terrorista mondiale Osama Bin Laden, precedentemente al soldo della CIA in posizione anti-sovietica, che è costato la vita a migliaia di esseri umani.
Ma siamo proprio sicuri?
Lunghissimo e dettagliatissimo documentario di quel pazzo di Massimo Mazzucco, il complottista più famoso d’Italia che dalla sua residenza pensionistica calabrese continua tuttora ad ispirare migliaia di vernacolieri italici che combattono contro i poteri forti mondiali, ed estenuante viaggio interiore volto a far affiorare tutti i dubbi di una realtà ufficiale troppo frettolosamente data per scontata.
Molto incentrato sui numerosi fatti che smascherano i cosiddetti debunker, tipo quell’allampanato pien di sé chiamato Paolo Attivissimo, quest’epico documentario risulta molto convincente su alcuni punti molto critici della teoria ufficiale, abbracciata da governi e giornalisti cani manco fosse ossigeno su Marte.
Ovviamente nessuno può dire con certezza se Massimo abbia totalmente ragione, specialmente perché qualche volta gli parte la brocca e tira fuori dal cappello teorie non completamente convincenti, ma possiamo tutti concordare che gli attacchi dell’undici settembre duemila uno sono stati l’incipit alla più importante svolta imperialista mai vista in tempi recenti.
VOTO: 4 Massimo
Titolo inglese: September 11: The New Pearl Harbor (2013) Regia: Massimo Mazzucco Anno: 2013 Durata: 5 ore Compralo: https://amzn.to/2Uk30NW
E’ il 1984 e le due super potenze mondiali, Stati Uniti d’America e Unione Sovietica, se le danno di santa ragione menando colpi di propaganda e fendenti di sotterfugi politici.
Il capitano Marco Ramius, della marina sovietica, è al comando di un nuovissimo sottomarino nucleare dotato di un sistema di propulsione silenziosa che permetterebbe all’URSS di piazzare testate nucleari al largo della baia di New York senza che nessuno al Pentagono se ne accorga. E questo è ovviamente inammissibile per l’uomo tutto d’un pezzo che è Marco, cresciuto a pane e sberle in bocca dal nonno pescatore Lituano.
Viene quindi messo in scena un elaboratissimo piano segreto per ammutinare e consegnare il prezioso sottomarino agli avversari statunitensi per poi godersi una meritata pensione in Montana; con moglie culona, conigli da sbranare, morbide toffolette e un camioncino per le consegne a domicilio.
Tipico film d’azione americano per un pubblico sopra i 40 anni e tremenda sviolinata per la magnificenza del sistema capitalistico statunitense.
Tratto da un libro di Tom Clancy a sua volta basato, molto alla lontana, sul vero ammutinamento della Storoževoj nel 1975 ad opera del capitano Valery Sablin, incazzato nero con il segretario generale Leonid Il’ič Brežnev per l’abbandono (a suo dire) del Leninismo, questo film intrattiene, certo… ma è anche da bastonare per benino sui menischi.
Uscito un anno prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica, Caccia a Ottobre Rosso risulta quasi un’apripista cinematografico alla migrazione verso ovest del sentimento popolare della sinistra mondiale, accecata da un valanga senza fine di pubblicità colorata e belle cosce rivolettate da impietosi umori vaginali.
Un film per tutti? Purtroppo sì. Un bel film? Purtroppo ni.
VOTO: 3 menischi
Titolo: The Hunt for Red October Regia: John McTiernan Anno: 1990 Durata: 135 minuti Compralo: https://amzn.to/2X51uNt
Paperino si arruola nella marina americana, dando finalmente un senso al suo vestito e tacendo al contempo tutte quelle voci che lo davano frocio perso, e decide di lasciare i nipoti Qui Quo e Qua allo zio Paperone, un disgustoso capitalista ricco sfondato con una fissa incredibile per l’oro.
Circondato da questa nuova e giovane linfa vitale che suggia con frequenti visite notturne al cloroformio, zio Paperone si lancia in incredibili ed entusiasmanti avventure dando sfogo ai suoi istinti più bassi quali avarizia, ingordigia, cupidigia e generando parallelamente un’incredibile mestizia nel giovane spettatore che si ritrova catapultato dentro un mondo distopico che premia i miliardari e il loro storto modo di vedere la realtà delle cose terrene.
A far da contraltare alla “giustizia” finanziaria di zio Paperone, abbiamo comparsate a rotazione delle classi più povere e minoranze etniche varie.
E’ stato veramente un colpo al cuore rivedere questo vecchio cartone animato dopo una vita d’oblio; un cartone molto goduto da bambino, quando le difese intellettuali erano meno forti lasciando il giovane me completamente in balia di questo lavaggio del cervello fatto pure male (nonostante qualcuno continui a lodare l’animazione per essere svariati gradini sopra la media dell’epoca), e un cartone molto disprezzato ora che ne riesco a cogliere ogni mostruosa sfaccettatura il cui fine ultimo è deturpare la natura umana di solidarietà per tramutarla nel sogno bagnato americano del “cane mangia cane”.
Io che sono cresciuto con la versione italiana di zio Paperone, ho potuto godere di un punto di vista molto nostrano sulla spinosa questione dell’avarizia del vecchio taccagno capitalista: numerose sono state infatti le occasioni in cui il vecchio ne usciva completamente demolito nella sua patetica arroganza pecuniaria e altrettante volte la povertà di Paperino, lasciato senza un soldo dall’avido zio, era sinonimo di nobiltà d’animo. Qui invece avviene una graduale normalizzazione del comportamento patologico di un vecchio papero che non riesce a pensare altro che al vil denaro; la percezione negativa dello spettatore verso zio Paperone viene infatti via via scalfita a colpi di gesti eroici ed affetto verso i piccoli nipoti che vengono emotivamente elevati al di sopra la montagna di denaro accumulato in anni di arraffamento monetario, quando invece sappiamo tutti che il vecchio Scrooge McDuck venderebbe Qui Quo e Qua ad una banda di pedofili tedeschi se questi gli offrissero una valida contropartita in dollari.
Da evitare come la peste quindi, sia se siete alla ricerca del tempo perduto (e della famosissima sigla iniziale cantata da Jeff Pescetto) e sia soprattutto se volete far vedere un cartone animato con protagonisti dei paperi ai vostri piccoli pargoli. Optate invece per quella piccola serie giappo-olandese (contemporanea a DuckTales) che in Italia è stata titolata Niente paura, c’è Alfred!; un ottimo cartone che affronta con intelligenza temi importanti quali il razzismo, la lotta al capitalismo, il nazismo, la perdita dei genitori, la nascita della democrazia, l’ecologia e l’amore verso il prossimo tuo.
Una bella serie con una sigla che recitava allegramente dei bellissimi versi positivisti che tutt’oggi riecheggiano sonanti nella mia mente altrimenti devastata da una moltitudine di schiaffi sociali che questo mondo mi ha costretto a sopportare in silenzio:
L’amicizia sempre risplenderà, la giustizia tutto illuminerà, tutto quanto migliore sarà, se c’è Alfred, proprio Alfred. Porta ovunque la felicità e una mano a tutti quanti lui dà; è un amico per voi, è un amico per noi, siamo tutti amici suoi.
Niente paura, c’è sempre un Alfred per ogni bambino, niente paura, c’è sempre un Alfred che insegna il cammino. Niente paura, niente paura c’è un Alfred per tutti noi.
VOTO: 2 Alfred J. Kwak
Titolo originale: DuckTales Creatore: Jymn Magon Anno: 1987-1990 Durata: 100 episodi da 23 minuti divisi in 4 stagioni
Nel 23esimo secolo la Terra è unita sotto un unico regime para-fascista che glorifica il sacrificio personale verso la Patria, specialmente quello fisico, e detesta i pappamolle pacifisti.
John Rico, Dizzy Flores, Carmen Ibanez e Carl Jenkins sono 4 giovani appena diplomati che decidono di arruolarsi nell’Esercito della Federazione; chi per fare carriera, chi perché appassionata di navi spaziali falliche e chi per seguire l’amore che chiaramente gli darà in culo al primo giro dell’angolo. Questi giovani figli della patria troveranno pane per i loro denti nella guerra interplanetaria contro Klendathu, un corpo celeste all’altro capo della nostra galassia popolato da una specie aliena di aracnidi che non vedono di buon occhio l’invasione del loro pianeta per mano dei nazi-fascisti della Terra.
Magnifica satira del militarismo e dell’imperialismo americano tutta giocata sull’eccesso e sul ribaltamento di significato.
Difatti solo un imbecille potrebbe prendere sul serio la spregiudicata propaganda fascista che trasuda da ogni costume da gerarca, ogni dialogo sulla decadenza morale della democrazia e ogni inquadratura d’ogni perfetto metro di città sulla quale camminano bellissime persone sorridenti in un pauroso clima di pace romana mondiale.
Alla sua uscita fu un bel flop al quale contribuì molto probabilmente la stupidità di chi andò a vederlo e lo considerò nella migliore delle ipotesi uno strano film d’azione con personaggi e intrecci da serial televisivo per adolescenti quando invece la genialità dell’opera risiedeva proprio in questo suo sfacciato e orrendo travestimento da storia d’amore nello spazio.
Consigliato a chiunque abbia un briciolo di cervello e un assoluto must per i fan delle affabili distopie alla RoboCop.
VOTO: 5 briciole
Titolo completo: StarShip Troopers – Fanteria dello spazio Regia: Paul Verhoeven Anno: 1997 Durata: 129 minuti
Cosa puoi fare nella vita dopo che per anni e anni hai sbracato di mazzate il popolo palestinese umiliando il diritto internazionale protetto dall’ombrello militare americano?
Semplice: il parrucchiere in America. Avrai così l’occasione di fare i capelli lisci alle signore anziane prima di strapazzartele nel retrobottega facendo però al contempo molta attenzione alla possibile comparsata del tuo acerrimo nemico, il terrorista Fatoush “Phantom” Hakbarah.
Sviolinata sionista da far rizzare i capelli in testa per la carica di stereotipi che porta avanti tronfio e fiero come un maiale col cappello di paglia la domenica e imperdonabile affastellamento di situazioni a volte assurde fino all’inverosimile, molte altre semplicemente stupide.
Per concludere, un paio di riflessioni: 1 – Per una volta, il titolo italiano non toglie nulla a quello inglese. 2 – Se mai nella vita verrete decapitati, questo è probabilmente il film che vi verrà in mente mentre la vostra testa starà cadendo nel cestino di vimini.
VOTO: 2 cestini di vimini
Titolo originale: You Don’t Mess with the Zohan Regia: Dennis Dugan Anno: 2008 Durata: 113 minuti
Durante i favolosi anni ’50 americani c’era un clima politico abbastanza spiacevole per cui chiunque lavorasse nel mondo dell’intrattenimento e fosse anche lontanamente in odore di comunismo/socialismo/progressismo/femminismo/anti-capitalismo eccetera eccetera veniva prima messo su una lista nera e poi messo alla porta da tutte le produzioni.
Il protagonista di questo film, Howard Prince, è un furbacchione newyorkese che lavora un po’ come cassiere di un ristorante e un po’ come allibratore clandestino durante i favolosi anni ’50 di cui sopra; un giorno viene avvicinato da Alfred Miller, un suo vecchio amico d’infanzia ora sceneggiatore televisivo bollato come anti-americano e messo prima sulla lista nera e quindi alla porta, il quale gli propone uno scambio equo e solidale: Howard presenterà le sue sceneggiature facendole passare come proprie così d’aggirare il divieto e lui in cambio gli darà il 10% del ricavo monetario.
Il gioco funziona per un po’, arricchendo entrambe le parti, fino a che la commissione per le attività anti-americane comincia a gettare un occhio anche su Howard Prince, da sempre completamente avulso dalla scena politica, rivelando quindi a chiare note il clima da caccia alla strega che si respirava durante i favolosi anni ’50 americani di cui sopra, sopra.
Piacevole commedia molto Yiddish, col povero ma scaltro protagonista alle prese col Golia sistemico, dai risvolti morali parecchio drammatici che elevano l’opera un paio di gradini sopra quelli dove sembra sedersi.
La figura più coinvolgente rimane chiaramente quella di Hecky Brown, interpretato da un isterico Zero Mostel (lui stesso vittima del maccartismo, assieme al regista e allo sceneggiatore di questo film) il quale riesce a mettere in scena il rassegnato sbigottimento di un’intera classe di lavoratori durante i favolosi anni ’50 americani di cui sopra, sopra, sopra.
VOTO 4 bigotti
Titolo originale: The Front Regia: Martin Ritt Anno: 1976 Durata: 95 minuti
Che succederebbe in California se improvvisamente sparissero tutti i messicani che, regolarmente o irregolarmente, sono venuti a spazzolare i cessi degli americani prima di servire loro un bel taco caldo?
Boh… ma a noi, diciamo la verità, ce ne frega un cazzo?
In questo finto documentario/cacata/spot promozionale del governo messicano che francamente si può evitare come uno eviterebbe un calcio sui coglioni, si ricostruisce (tramite l’abbondante uso di attori cani bastardi e una fotografia da far sembrare bravi i DOP italiani) le fantastiche vicende di un giorno durante il quale tutti i messicani scompaiono misteriosamente dal suolo californiano mentre una nebbia rosa circonda lo stato americano col più alto tasso di Harvey Weinstein.
Se non fosse per la retorica spinta a forza come un foie gras, se non fosse per le miserevoli ricostruzioni stile Ultimo Minuto, si potrebbe puntare un accusatorio dito sull’ironico quanto patetico razzismo della pellicola stessa che decide di far sparire solo i messicani “puri”, cioè quelli con entrambi i genitori messicani, lasciando in pace quelli nati da coppie miste… roba che manco Joseph Goebbels dio cristo.
Un film dimmerda insomma che non mi sento di salvare neanche per quel briciolo d’intento socio-politico che si risolve dopo 5 minuti nella dentiera di un messicano lasciata in un bicchiere al bagno.
VOTO: 2 messicani
Titolo originale: A Day Without a Mexican Regia: Sergio Arau Anno: 2004 Durata: 100 minuti Compralo: http://amzn.to/2hYUCjN
4 soldati fuori dagli schemi (leggasi: teste di cazzo) fanno comunella per sconfiggere il male chiamandosi Squadra Alpha così da sottolineare la loro insoluta voglia d’essere i maschi number 1 del quartiere.
Il film concentra le forze narrative su uno dei loro casi precedenti alla serie tv (ebbene sì: è un prequel) ovvero quello che li ha fatti radiare con disonore e sbattere in galera. Ma loro sono troppo forti e se ne strafottono delle regole, in carcere c’hanno la jacuzzi e se gli dai 6 mesi sono imbattibili. A una certa poi ho abbassato un po’ il volume e ho dormicchiato, poi mi sono svegliato e stavano precipitando dal cielo dentro un carro armato con dei paracadute sparando verso terra per rallentare la velocità di caduta…
Jessica Biel è bona, ma è sempre più manichino. Liam Neeson se la batte sempre più con Samuel L. Jackson per il titolo di Mignotta d’Hollywood.
Trasposizione cinematografica di un imbarazzante serial anni ’80 di cui quindi non se ne sentiva la minima mancanza.
Tralasciando le ovvie critiche sulla mancanza di spessore, sulle caratterizzazioni macchiettistiche e sulla velocità supersonica del montaggio che lascia più di una volta abbastanza frastornati, quello che più mi ha fatto incazzare è stato l’arco emotivo del personaggio del nero B.A. Baracus il quale, sposata la non violenza durante il periodo di prigionia, viene convinto ad uccidere nuovamente da Liam Neeson che gli cita una frase di Gandhi sull’apatia che maschera l’impotenza. Ovviamente, da bravo maschio alpha, quando viene anche lontanamente insinuato che lui possa essere impotente, Bosco Baracus torna sui suoi passi e spezza il collo di uno dei cattivi con una mossa di wrestling…
…proprio come avrebbe fatto Gandhi.
VOTO: 2 Gandhi
Titolo originale: The A-Team Regia: Joe Carnahan Anno: 2010 Durata: 117 minuti