Where to Invade Next (2015)

Micheal Moore, uno dei più grandi documentaristi contemporanei al mondo (e sicuramente il più simpatico), questa volta decide di girare l’Europa in cerca di idee progressiste e rivoluzionarie da “rubare” e portare a casa nella saccoccia del suo pantalone da culone.

Visita quindi l’Italia delle tredicesime e delle ferie pagate, la Finlandia senza compiti a casa per gli studenti, le prigioni norvegesi col bagno privato e l’Xbox per giocare, la Francia dalle mense con lo chef e i pranzi salutari, l’Islanda con le donne al potere e i banchieri in prigione, la Germania con le SPA gratuite per i lavoratori stressati e la Slovenia con le università pubbliche e gratuite (per davvero, mica come in Italia che ce so’ le tasse regionali e gli scaglioni de li mortacci vostra).

Where to Invade Next (2015)
mortacci vostraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

Splendido ritorno per l’ormai zoppo e in forte obesità Moore, questo vero e proprio tour de force emotivo attraverso alcune delle meravigliose conquiste del genere umano è un’esperienza che lascia il groppo in gola e una lacrima sul viso per la franchezza con cui è raccontata, anche a costo di una semplificazione buona a raggiungere il grande pubblico.

Il percorso tortuoso di un americano alla disperata ricerca di un modo di vivere alternativo e migliore colpisce dritto nel segno, soprattutto quando pian piano si viene a scoprire quanto molte di queste idee, oggi bandite in USA perché considerate comunis-socialiste, facciano in realtà parte del DNA di una nazione fondata da pensatori illuministi carichi di principi innovativi e comunitari.

Siccome è uscito nelle sale per breve (brevissimo) tempo, cercate di beccarlo come potete; vi solleverà l’animo e vi farà sperare in un futuro prossimo migliore per tutti gli esseri umani.
Basta poco.
Basta volerlo.

VOTO:
5 coppie d’esseri umani ad uso e consumo alieno

Where to Invade Next (2015) voto

Titolo originale: Where to Invade Next?
Regia: Michael Moore
Anno: 2015
Durata: 120 minuti
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Lui è tornato (2015)

Adolf Hitler viene magicamente teletrasportato dal suo bunker-da-suicidio-fine-bellico alla Berlino contemporanea.

Dopo un primo iniziale spaesamento dovuto alle diavolerie moderne ed un rinnovato odio verso i nuovi usurpatori della grandiosità tedesca, il dittatore troverà la sua dimensione come attore comico televisivo spopolando dentro e fuori il piccolo schermo.
La cosa allucinante di tutta questa “farsa” è che Adolf non scherza affatto con tutti i suoi discorsi populisti sugli immigrati che rubano il pane ai poveri locali e, mano a mano, anche una certa fetta di pubblico comincia a prenderlo sul serio.

Lui è tornato (2015)
tipo questi 3 fascisti romani di merda in trasferta che, non sapendo si trattasse di un film, si sono fatti un selfie al grido di <camerati!>

Tratto da un best seller letterario tedesco della madonna (un successo in parte dovuto all’argomento scandaloso: in Germania è ancora reato penale fare saluti romani o richiamare in qualunque modo il partito nazista… mentre noi abbiamo Forza Nuova, la Meloni e Casa Pound), Lui è tornato è una simpaticissima commedia finto documentaria molto simile per certi versi a Borat.

Inframmezzato ad una storia girata in maniera convenzionale, anche qui abbiamo un personaggio in costume che si aggira tra la gente ignara con l’unico scopo di provocare delle reazioni naturali e controverse.
Ed è così quindi che scopriamo con orrore quanto molti tedeschi siano ancora d’accordo con le folli tesi del Fuhrer, alcuni invochino i campi di lavoro forzato (altrimenti noti come campi di concentramento), e ci sia un generale malcontento della classe media dovuto alla vessazione quotidiana orchestrata ad arte dall’elite dirigente; un pastrocchio sociale molto simile a quello che ha dato i natali ai fascismi europei dello scorso secolo.

Tra una notizia sul terrorismo, un operaio che si suicida e il prezzo del pane che continua a salire, le condizioni per un ritorno in questi nostri tempi agli estremismi nazionalisti ci sono tutti.
Speriamo però che stavolta i leader fascisti le prendano talmente tanto forti sui loro grugni trogloditi da doversi andare presto a rintanare nelle fogne dove sono soliti figliare.

VOTO:
3 zoccole e mezza (zoccola a Roma vuol dire ratto)

Lui è tornato (2015) Voto

Titolo originale: Er ist wieder da
Regia: David Wnendt
Anno: 2015
Durata: 116 minuti
Compralo: https://amzn.to/3arWk3N

X-Files: 10° stagione (2016)

Chi non ricorda con profonda simpatia Fox Mulder e Dana Scully, agenti speciali della sezione X-Files dell’FBI?
Durante le loro folli investigazioni in giro per l’America questi due hanno visto più roba strana che un prete la domenica pomeriggio, eppure non sono mai riusciti a convincere la massa idiota e beona sull’esistenza del paranormale tant’è che alla fine Dana è tornata a fare il medico mentre Fox si scolava la birra nel suo appartamentino con le pareti in compensato e le sedie in finta radica.
E però ecco che dopo svariati lunghi anni l’FBI li richiama in servizio non si sa bene perché e subito le cose si mettono male visto che stavolta sono alle prese con un’ammasso di stronzate cospirazioniste talmente infantili e incoerenti che manco i grillini più scemi potevano far meglio.

The-X-Files-season-10-(2016)
senza parole

Folle e soprattuto idiota ritorno per il duo del mistero: 6 puntate dense di stronzate che da una parte si prendono molto sul serio e dall’altra la buttano in caciara con la prima e l’ultima a racchiudere il tutto sotto l’ombrello della minaccia cospirazionista di un gruppo elitario tipo gli Illuminati che vogliono far fuori il 95% della razza umana con l’aiuto del DNA alieno trovato a Roswell…
vabbè, avete capito l’andazzo.

Nonostante qualche interessante idea nella seconda, terza e quarta puntata e più di una frecciatina allo stile di vita capitalista americano (la lucertola mannara che deve imparare a vivere come gli esseri umani è una vera delizia), la sensazione che si ha è quella di un treno che arriva in stazione molto di fretta dopo un ritardo di 7 ore.
Parecchia roba di dubbio valore artistico spinta con forza nel poco tempo a disposizione fanno di questa stagione un mancatissimo esperimento da non ripetere più.

VOTO:
2 treni e mezzo

The-X-Files-season-10-(2016)-Voto

Titolo originale: The X-Files
Stagione: 10
Creatore: Chris Carter
Anno: 2016
Durata: 6 episodi da 45 minuti

Valu (2008)

Il film può essere visto come una simpatica commedia con due o tre intrecci che si sviluppano grazie al filo conduttore, e cioè la cattura del riottoso toro indiano Durkya che porta scompiglio nel piccolo villaggio di Kusavde.
Oppure possiamo leggerlo più approfonditamente come l’ennesima rappresentazione dell’uomo contro la natura con la, seppur non originale, visione dell’essere umano come cieco annientatore della biodiversità.
Oppure ancora può essere un inconsueto film sulla libertà: il povero Durkya è uno spirito libero che non chiede altro se non di essere lasciato libero di pascolare per le sterminate valli dell’entroterra del Maharashtra (lo stato cui Mumbai fa da capitale) e a cui vengono addossate, per la sua fisica incapacità (se non anche la non-volontà) di controbattere, anche tutti gli errori e i difetti dei conformisti abitanti del villaggio.

Valu-(2008)-montaggio
a sinistra una pittura nelle grotte di Lascaux, a destra un disegno promozionale per Valu

Il toro è forse la più antica rappresenzazione della natura, la selvaggia possente madre che un po’ si teme ma che ci dà il pane quotidiano, e non risulta casuale quindi la scelta di affidare il ruolo di outsider, di ribelle, di libero pensatore al succitato Durkya, vero colosso taurino che incute riverenza (in India si sa che i bovini sono rispettati e adorati come divinità) e che allo stesso tempo fa da agnello sacrificale per le colpe umane.
Si sa che dio è creato a immagine e somiglianza dell’uomo e i poveri ignoranti abitanti del villaggio non infrangono la regola quando addossano all’ignaro Durkya ogni colpa, dai matrimoni falliti alla caduta delle stoviglie.
Infine, come ogni agnello sacrificale che si rispetti, arriva anche per lui l’ora dell’espiazione dei peccati; viene infatti chiamato a “risolvere” la questione una guardia forestale che, armata di fucile e giovane documentarista (metafora del film stesso), cercherà di far quadrare i conti del caos creatosi nell’apparente tranquillo villaggio…
…farà emergere invece le ombre che si vorrebbero nascondere.

Valu è un film godibile e vale la visione; sicuramente l’impossibilità per molti, non solo di seguire la trama senza passare attraverso i castranti sottotitoli, ma di cogliere sfumature come il particolare accento e la cadenza linguistica dei villici fanno perdere punti in partenza, ma d’altronde di fronte questi problemi non se ne scappa mai…
…come è inutile fuggire dai propri peccati.
Amen.

VOTO:
3 He-Man

Valu-(2008)-Voto
Titolo tradotto: Il Toro
Titolo inglese: The Wild Bull
Regia: Umesh Vinayak Kulkarni
Anno: 2008
Durata: 123 minuti

Saving Mes Aynak (2014)

Il Buddismo è quella pratica religiosa inventata da Siddhārtha Gautama, anche noto come il Buddha, un uomo nato in Nepal circa 400 anni prima di Gesù il quale ha predicato per 40 anni la sua filosofia spiccia, riassumibile nel “giusto mezzo tra l’ascetismo e l’ingordigia”, per le vaste lande dell’India nord orientale.

Vale la pena ricordare che i buddisti hanno spesso praticato l’arte della guerra (ho visto con i miei occhi un braccio mummificato di un guerriero mussulmano in un tempio buddista in Ladakh), hanno un forte pregiudizio verso le donne tanto da non permettere loro pari diritti, e vivono di offerte della popolazione locale (una volta erano le mandorle, oggi gli orologi d’oro).

Detto questo, il Buddismo si è diffuso in lungo e largo, scavalcando le frontiere naturali del sub-continente indiano, e questo documentario vuole gettare un po’ di luce sul suo lascito in Afghanistan, la stessa terra dove nel 2001 i Talebani hanno fatto saltare in aria i due giganteschi Buddha di pietra di Bamiyan per protesta contro la follia tutta occidentale di mandare tonnellate di soldi per la riparazione di due pezzi di pietra quando milioni di afghani stavano morendo di fame.
E come dar loro torto?

Saving Mes Aynak (2014)
non ho l’acqua potabile, però ho un grande passato sotto i piedi

Documentario propaganda per cercare di aizzare l’opinione internazionale sull’imminente distruzione di Mes Aynak (uno dei siti buddisti più antichi del mondo costruito su uno dei più grandi giacimenti di rame del mondo) ad opera della MCC, la spietata compagnia di estrazione mineraria statale cinese.

Nonostante lo sforzo produttivo sia da elogiare (il regista ha fatto praticamente tutto da solo, girando materiale per 18 mesi sotto la costante paura delle mine anti uomo e dei briganti), la cosa più importante dell’intera operazione è forse la riuscita della “colletta dei sette mari” per pagare qualche arretrato dei poveri operai reclutati tra la popolazione locale, un manipolo di esseri umani sfiancati da secoli di sopprusi e conquiste da parte di questo o quell’altro invasore.
Come dice uno dei vecchi di uno dei villaggi presto sfrattati dalla miniera cinese a cielo aperto, in Afghanistan non c’è Al Qaeda, ci sono solo un sacco di persone che si sono rotte il cazzo di essere prese per il culo.

VOTO:
4 orologi d’oro

Saving Mes Aynak (2014) voto

Titolo originale: Saving Mes Aynak
Regia: Brent E. Huffman
Anno: 2014
Durata: 60 minuti

Le streghe son tornate (2013)

Vi ricordate quando si mangiavano i prigionieri di guerra per prendere loro l’anima?
E quando c’erano due categorie di persone, i cittadini e gli schiavi?
Ma invece vogliamo parlare di quando i bianchi erano considerati una razza superiore alle altre?
E come non ricordare poi quando le donne non potevano votare?
Che bell’epoca, che tempi d’oro, che memorie di gioventù italiche: i bimbi col moschetto, le donne sempre gravide, gli amici con le camicie nere, i treni in orario, le porte aperte, le eiaculazioni precoci.

Poi venne quel maledetto ’68 con tutte quelle pazze idee tipo uguaglianza, identità di genere, solidarietà, indipendenza, diritti sul lavoro… che spreco di forze e intelletto, che affronto alle nostre tradizioni millenarie e millenaristiche.
Ma queste donne in piazza che bruciavano i reggiseni si rendevano conto che il reggiseno serve a reggere le loro puppe pendule?
E poi quei cartelli scritti male, con quegli slogan cattivi che non capivo, tipo “Tremate tremate, le streghe son tornate”.
E dove sarebbero ‘ste streghe? Ditemelo che andiamo io e gli amici con le camicie nere e gliene suoniamo due o tre.
E invece no, io lo so che è per mettere paura alla gente; siete dei terroristi. E noi i terroristi li mettiamo in galera se sono di sinistra, se invece sono di destra li prendiamo e gli facciamo fare le stragi per conto nostro così dopo possiamo accusare questo o quel gruppo sovversivo e fargli un culo così.
Perché a noi il mondo ci piace ingiusto, e voi zitti.

Le streghe son tornate (2013)
una color correction di merda

Filmetto del cazzo spagnolo che la critica si è pure permessa di osannare, questo Las brujas de Zugarramurdi prende spunto da fatti reali e cioè dall’antica tradizione pagana dei paesi baschi e la perseveranza dell’inquisizione spagnola di rompere il cazzo mettendo al rogo queste supposte streghe quando in realtà altro non erano se non un retaggio di un matriarcato ULTRA-millenario (alla faccia del cristianesimo) che faceva molta paura alla Chiesa Cattolica perché… voglio dire… avete mai visto un Papa donna?

La trama in due parole:
3 stronzi e 1 ragazzino devono attraversare ‘sto paesino di Zugarramurdi per raggiungere il confine francese così da sfuggire alla polizia spagnola che li vuole per una rapina ad un “compro oro” in piazza centrale a Madrid.
E però a Zugarramurdi ci sono ancora le streghe, e no, non parlo delle femministe, ma proprio delle streghe vere, quelle con i capelli scompigliati, i pentoloni, i rospi, i tarocchi e le scope in culo, e queste fattucchiere vogliono il bambino perché boh, neanche si capisce bene, ma tipo che lo vogliono offrire alla dea madre che è uno sporco colosso obeso alto 20 metri e che mannaggia la pentecoste c’avevo le mani nei capelli quando l’ho visto.
E poi giù di cliché sessisti con le femmine isteriche perché l’uomo non si decide ad amarle e che però si calmano se lui alza le mani perché lo sanno tutti che le donne sotto sotto vogliono essere menate, ‘ste stronze.

Ma io ti maledico Álex de la Iglesia, ma io ti mando le SS a casa per stanarti dalla soffitta in cui ti sei rifugiato, io ti trascino in piazza centrale a Madrid e ti impicco a testa in giù e poi ti brucio dopo averti spennellato col finocchio fresco così quando il puzzo di grasso e verdura si spanderà per la città tutti sapranno che è stato bruciato un frocio della cultura.

Stronzo.

VOTO:
1 stronzo

Le streghe son tornate (2013) voto

Titolo originale: Las brujas de Zugarramurdi
Regia: Álex de la Iglesia
Anno: 2013
Durata: 110 minuti

Il sorriso del capo (2011)

dio, patria, famiglia, vincere, combattere, morire, boia chi molla, duce duce dacci la luce, fuoco, fuoco purificatore, fuoco eterno, fiamme pure, in alto i cuori, faccette nere, se avanzo seguitemi, padre, madre, figli della lupa, autarchia, spezzare le reni alla grecia, perfida albione, scoparsi claretta petacci sulla scrivania di quercia a palazzo venezia, dichiarare guerra al mondo, scoreggiare in bocca a churchill, sbofonchiare il tedesco, perdere i capelli, nasone, ciccione di merda, fascio, fasci littori, fascismo, fasci combattenti, la marcia su roma, l’impero, i negri, le colonie estive, le colonie africane, le bombe sui cammelli, morire in russia, ebrei, ida dalser in manicomio, bastonato a testa in giù, crocche e papagni sul naso rotto in culo del capo del fascismo ignorante e privo di umorismo.

Coddio cane.

Marco Bechis, artista poliedrico nato in Chile da padre italiano nel lontano 1957, si fece notare nel mondo cinematografico nel 1999 con il suo capolavoro Garage Olimpo, un film sulle camere della tortura utilizzate dalla polizia segreta fascista argentina per estorcere informazioni dai famosi desaparecidos, cioè quei cittadini che sparivano dal giorno alla notte perché accusati di socialismo.

Sulla scia politica che lo ha sempre contraddistinto dal resto dei registi italiani buoni a chiacchiere ma fregne di merda coi fatti, nel 2011 Marco ci ha tirato fuori quest’opera strana, fatta esclusivamente di immagini d’epoca fascista dell’Istituto Luce e sporadiche dichiarazioni fuori campo di suo padre Riccardo.
Tramite le parole di lui e le immagini di repertorio, ci viene mostrata un’Italia totalmente soggiogata dalla propaganda di regime, un elemento essenziale per ogni dittatura; è ormai infatti di dominio pubblico l’enorme mole di studi e dati scientifici sulla diretta connessione tra comando e infantilismo e forse giusto un verme sotto i sassi di Matera può ignorare ciò che segue.

Per controllare una persona e fargli fare quello che si vuole, bisogna prima ridurre la sua personalità, schiacciarla con la propria e far sì che si instauri un rapporto da padre padrone: né troppo crudele ma neanche troppo tenero; l’ignoranza del soggetto passivo è virtù e la progressiva totale devozione il logico risultato.
Una volta imparata la tecnica poi la si può semplicemente riprodurre su larga scala e prendere il potere di un’intera nazione.

E Il sorriso del capo parla di questo: di come il Fascismo abbia preso il potere usando il bastone e la carota, con la demagogia e il totale oscuramento dei mezzi di informazione, crescendo intere generazioni di ragazzi totalmente devoti al regime e senza un briciolo di personalità o capacità decisionale propria.

L’opera in sé è un po’ disomogenea e non eccessivamente accattivante, ma rimane un interessante esperimento andato in onda a notte fonda su un canale secondario della RAI.
Quindi, come al solito, complimenti ai fascio-capitalisti nella televisione pubblica.

VOTO:
3 Berlusconi

Il sorriso del capo (2011) voto

Titolo originale: Il sorriso del capo
Regia: Marco Bechis
Anno: 2011
Durata: 75 minuti

The Interview (2014)

Seth Rogen e James Franco sono due comici americani (il primo canadese, il secondo statunitense) che da ormai 6 anni hanno stretto un sodalizio artistico piuttosto fruttuoso; apprezzati in Pineapple Express e This is the end, James e Seth formano una coppia comica ben assortita: il primo nella parte del semplicione positivo e il secondo nella parte del cupo cinico realista.
Leggenda vuole che alla fine degli anni 2000 i due amici se ne uscirono con un’idea per un film: l’uccisione di un dittatore da parte di un giornalista straniero…e quale miglior dittatore se non quello nord coreano?

The Interview (2014)
baby, you are on fire

The Interview parla proprio di questo: il tentato assassinio di Kim Jong-un da parte di un giornalista gossipparo della tv americana con annesse peripezie acrobatiche e sacrifici eroici.
Il film è salito alla ribalta delle cronache per il cyber attacco di un gruppo anonimo di hackers ai database della Sony, che controlla la Columbia Pictures, casa distributrice di questo film; l’attacco ha sottratto parecchio materiale confidenziale alla Sony e quattro film ancora inediti.
Molti hanno detto che l’attacco è stato portato avanti dalla Corea del nord in risposta al contenuto satirico dell’opera in questione, e il governo americano ha abbracciato totalmente questa ipotesi.
La Corea dal canto suo ha negato l’attacco, ma ha confermato la sua profonda incazzatura verso una pellicola che a suo dire è assolutamente oltraggiosa verso un capo di stato straniero.
In realtà i coreani hanno ragione: Kim Jong-un ci fa una figura barbina, ma chi come me è per la libertà di parola non può che esserne contento.
Il vero conflitto qui però è ovviamente un altro: il continuo attacco mediatico degli USA verso la dittatura nord coreana.
Per inquadrare meglio la questione però, facciamo un passo indietro:

Alla fine della seconda guerra mondiale, i giapponesi furono cacciati a calci in culo dalla penisola coreana che avevano colonizzato nel 1910; presto il territorio fu diviso in due, con il nord controllato dall’Unione Sovietica e il sud dagli Stati Uniti.
La guerra civile coreana del 1950 è stata il primo conflitto della guerra fredda, che era una situazione di stallo politico delle due principali potenze economiche uscite vittoriose dal secondo conflitto mondiale; la guerra fredda fu l’inaugurazione di un nuovo modo di condurre i rapporti diplomatici tra USA e URSS: far combattere altre popolazioni al loro posto, lasciando quindi a queste il fardello della perdita di vite umane.
Dal 1953, anno della fine della guerra di Corea, le due nazioni gemelle sono rimaste su piani ostili, talmente ostili che il confine nord-sud è il più militarizzato dell’intero pianeta.
Da allora la Corea del nord è stata governata da una dinastia di dittatori nazional-socialisti, cioè fascisti (il comunismo non c’entra un cazzo ovviamente), e non passa giorno senza che gli USA commentino sulla durezza del regime di Pyongyang, sull’atrocità delle esecuzioni capitali, sulla repressione della libertà di parola e via dicendo.
Se da un lato non c’è alcun dubbio che la Corea del nord sia una dittatura fascista (ricordiamo che ogni riferimento al comunismo è stato cancellato dalla costituzione nel 2009) e che vivere in quel paese sia indubbiamente una sfiga colossale, dall’altro non si può non sottolineare come il resto del mondo non sia in alcuna posizione superiore per poter giudicare: la pena di morte esiste in molte nazioni, tra cui gli USA, ed è risaputo che le minoranze etniche e gli strati sociali più poveri sono statisticamente più condannati degli altri; il tasso di povertà nelle nazioni cosiddette ricche è molto alto, comparabilmente più alto della Corea del nord, che dal canto suo ha un’aspettativa di vita alta (69 anni) per un paese nelle sue condizioni economiche e un’alfabetizzazione praticamente totale della popolazione.

No, il punto qui è il solito: c’è una nazione arrogante e presuntuosa, per via della sua superiorità militare ed economica, che si sente in diritto di giudicare il resto del mondo secondo il proprio metro di giudizio.
Ovviamente chi ha letto anche solo una volta un qualsiasi manuale di antropologia sa che da almeno 100 anni gli studiosi di culture e civiltà non si azzardano più a puntare i loro ditini saccenti come si amava fare nella “bella” epoca coloniale inglese, quando sua maestà la regina andava in giro a civilizzare i negri con moschetti e cavalleria.
Le civiltà vanno lasciate evolvere secondo il loro ritmo e le loro esigenze interne e non si può arrivare con i bombardieri e i carri armati per imporre uno stile di vita totalmente avulso alla loro tradizione.
Oggi certo i modi sono cambiati: le guerre non si fanno più direttamente, ma si usano altre nazioni con governi fantoccio per spingere le proprie agende politiche all’estero; altre volte invece si usano i film come The Interview, che è chiaramente un film propaganda a favore degli Stati Uniti, con tutto il suo carico di satira verso un capo di governo straniero rappresentato come un frocio represso infantile e bugiardo.

Ma come volete che la prendano in Corea? Che vi mandino baci e abbracci?!
Ma è ovvio che la reazione sia di sdegno e incazzatura suprema.
Poi certo, ‘sti gran cazzi: il film lo si fa uscire uguale e non si ascoltano quelli che minacciano ripercussioni verso i cinema che proiettano la pellicola.

L’unica cosa però che mi piacerebbe venisse adottata è la coerenza: la prossima volta che il Vaticano si permette di incazzarsi e usare i mezzi di comunicazione di massa per tuonare verso questa o quell’altra opera artistica per il rispetto che si deve verso Gesù e la Madonna maremma maiala, la risposta unanime del cosiddetto mondo civile dovrebbe essere:
Ma vaffanculo!

PS: The Interview è un buon film e fa ridere; certo, non è la miglior commedia che abbia mai visto, ma è sicuramente meglio di 40 anni vergine che molti invece dicono essere migliore.
La gente non ci capisce proprio un cazzo…

VOTO:
4 vergini

The Interview (2014) voto

Titolo originale: The Interview
Regia: Evan Goldberg, Seth Rogen
Anno: 2014
Durata: 112 minuti

Armageddon – Giudizio finale (1998)

La Terra è sotto minaccia aliena: un asteroide delle dimensioni del Texas sta per impattare con il nostro pianeta e l’unico modo per salvare l’umanità è mandare un gruppo di trivellatori petroliferi (capitanati da un Bruce Willis con le meches) nello spazio, fare un buco nella crosta dell’asteroide, piazzarci una bomba atomica e farla detonare.

Armageddon (1998)
questa è la faccia che Bruce ha fatto quando gli hanno proposto il ruolo

Successone della fine anni ’90, Armageddon (una delle perle di pura merda “amerigana”) è figlia dell’acclamato regista Michael Bay e del produttore re dei blockbuster spegni-cervello Jerry Bruckheimer, lo stesso di Pirati dei Caraibi.
Che dire…questo film è un ricettacolo di stereotipi (neri grossi e illiterati, russi violenti ed egocentrici) ed è portatore sano di una generale propaganda pro-trivellazioni anti-ambientalista.
Se uno lo guarda con un certo occhio critico, questa è una delle pellicole più reazionarie degli ultimi 30 anni: un gruppo di americani rudi ma in fondo buoni mettono in riga i lenti e macchinosi scienziati della NASA a colpi di chiavi inglesi in testa (manco fossero Bud Spencer e Terence Hill) e accenti marcatamente sudisti, il tutto sulle note di una delle band più sovrastimate di sempre, gli Aerosmith.

In aggiunta alla propaganda reazionaria poi, c’è tutto il sottotesto sessuale col padre-orco Bruce Willis che non vuole dare la sua giovanine figlia fica bianca al gran trivellatore Ben Affleck, temuto tra l’altro per la sua indole irruenta; un chiaro caso di “Kronos che si taglierebbe il cazzo pur di non cedere lo scettro di maschio alfa al nuovo venuto”.
Siccome però siamo alle prese con un prodotto hollywoodiano, alla fine Bruce imparerà a mettere da parte la sua libido, accetterà le doti trivellatorie di Ben e si farà esplodere il cazzo detonando la bomba atomica salvando così la Terra.

Come descrivere questo film?
Vediamo…
forse così: Armageddon è una montagna di merda, come la mafia.

VOTO:
2 montagne di merda

Armageddon-(1998)-Voto

Titolo originale: Armageddon
Regia: Michael Bay
Anno: 1998
Durata: 151 minuti

Guida perversa all’ideologia (2012)

Slavoj Žižek è un accademico, un filosofo e uno psicanalista sloveno salito alla ribalta delle cronache negli ultimi 15 anni: da intrepido studioso e teorico comunista è rapidamente diventato una rock star intellettuale, protagonista di numerosi video, documentari e film.

Qui il Nostro si lascia andare per due ore parlando animatamente di ideologia, delle sue motivazioni, di come individuarla, stanarla e di come interpretarla sotto una prospettiva marxista, tutto questo attraverso la visione e l’analisi di spezzoni presi da 25 film diversi: da Lo squalo a Zabriskie point, da Sentieri selvaggi ad Essi vivono.

Žižek è un personaggio affascinante che riesce a trascinare anche un pubblico non avvezzo a discorsi quali quelli da lui trattati e con questo film, quasi un ammasso omogeneo di idee sparse, si riesce bene ad apprezzare la logica non-lineare di uno dei più famosi filosofi viventi.

Titolo originale: The Pervert’s Guide to Ideology
Regia: Sophie Fiennes
Anno: 2012
Durata: 136 minuti

The Avengers (2012)

The Avengers è uno dei più destrorzi pezzi di propaganda americana dai tempi di Berretti verdi e trovo incredibile che nessuno sottolinei a dovere la cosa.

Analizziamo i personaggi, idioti pezzi di cemento buttati a caso sul set da un regista pagato per dire azione e stop a comando.
Bravo cane, eccoti l’osso.

Capitan America: visto il nome, non ci sarebbe neanche bisogno di spiegare; ad ogni modo questo manichino dal ciuffo biondo è il governo americano. Eroico, nobile, con scarso senso dell’umorismo ma ligio al dovere, passa tutto il tempo a salvare civili mentre il mondo è invaso dagli alieni; li salva dagli autobus a pezzi, dagli uffici sventrati, dalle strade infestate da orde di alieni in una New York molto simile a quella della mattina dell’undici settembre 2001.

Thor è un dio scandinavo e rappresenta la religione costituita; potente ma ebete in un mondo moderno dominato da scienza e capitalismo, sembra sempre un passo indietro nei processi logici rispetto ai suoi compagni di merende e ostenta una totalmente ingiustificata arroganza verso tutto e tutti.

Black Widow (vedova nera) è la solita figura femminile sensuale e sessista piazzata in quota rosa dallo studio di produzione; ha le tettone e un bel culo e le sue armi segrete sono la seduzione e la persuasione, tipici attributi femminili… per un maschilista.

Iron man è “er mejo”: impaccato di soldi da far schifo, Tony Stark è un genio (e non esita a mostrarlo), è sufficiente con le persone perché se lo può permettere (è impaccato di soldi da far schifo) e sembra non gliene freghi un emerito cazzo del mondo.
Insomma, è il Capitalismo personificato e ovviamente è proprio lui a salvare il mondo col suo gesto eroico senza senso (ma come fa a cadere verso la Terra se nello spazio non c’è gravità !?!).

Ops, dimenticavo The Hulk!
Sì, lo scienziato folle, utile solo se tenuto sotto stretto controllo, altrimenti si ribella, impazzisce e miete vittime con aborti, contraccettivi, eutanasie e quella pazza idea che non ci siano Dei (badate bene che Hulk è l’unico in grado di rompere il culo a Loki, un dio).

The Avengers (2012)
Feuerbach afferma che non è Dio che crea l’uomo, ma l’uomo che crea l’idea di Dio! Porco dio!

Vedete, io non ce l’ho tanto con il ragazzetto che va a vedere il film con gli amici il sabato pomeriggio; capisco perfettamente la loro voglia di basso intrattenimento a velocità raddoppiata.
No, io ce l’ho con quegli stronzi hipster del cazzo che ne hanno parlato bene, che si sono divertiti mentre il governo americano gli spingeva merda fascio-capitalista giu per la gola, e loro a goderne, coprofaghi dei miei stivali.

Ce l’ho con te, John Gholson, che su Rotten Tomatoes hai avuto l’audacia di scrivere: “è come se i fumetti Marvel fossero stati iniettati direttamente nelle tue vene. Ti fa semplicemente cadere la mascella”.
Bene caro John, io spero che presto o tardi sia il tuo microscopico cazzo a cadere, nella bocca del tuo amato Iron man.

VOTO:
2 microscopici cazzi e mezzo

The Avengers (2012) Voto

Titolo originale: The Avengers
Regia: Joss Wehdon
Anno: 2012
Durata: 143 minuti
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