Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970)

Un pezzo grosso della polizia italiana, il cui nome non viene mai rivelato per elevarlo a simbolico rappresentante di un’idea politica inespugnabile e non una persona la cui eliminazione potrebbe significare un cambiamento, vive una scabrosa e morbosa relazione con una ricca borghese ebrea che, per l’enorme senso di vuoto datole dalla sua condizione di parassita della società, si diverte a provocarlo nel mettere in scena su di lei e su altri l’impunità istituzionale che lo contraddistingue.

Passare con il rosso, tormentare il di lei marito omosessuale, sottoporla a tecniche interrogatorie volte a distruggere l’accusato per fargli confessare reati che mai ha commesso sono alcuni esempi di un crescendo di richieste che il protagonista fatica a declinare, preso com’è dal senso d’orgoglio per il suo sporco lavoro quotidiano di cane del potere e dall’inadeguatezza a contrastare caratterialmente una donna indipendente e vorace come quella capitatogli tra capo e collo.

L’apice di questo scontro tra la figura matrigna di lei e quella bambinesca crudele di lui giunge con l’assassinio della prima ad opera del secondo e la successiva scivolata narrativa, che poi compone l’intera ossatura del film, si giocherà tutta sull’incapacità del poliziotto nel farsi condannare da un sistema, da lui sempre servito e riverito come un totem divino, il cui scopo reale non è difendere il cittadino, ma preservare lo status quo, costi quel che costi.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970)

Immenso film di denuncia uscito nei ruggenti anni di piombo, quando era ancora possibile fare un film contro la polizia senza essere attaccati dalla sinistra, e magnifica disamina dell’orrore celato dietro la cravatta dei potenti a cui tanti chinano il capo perché tengono famiglia… e chi se ne frega se nel tritacarne ci finiscono froci, sottoposti, proletari e più in generale chiunque non rivesta un ruolo di comando all’interno di un palazzo.

<<Poliziotto che intercetti le mie conversazioni>> dice l’anarchico Antonio  Pace al telefono <<ribellati al padrone… o per lo meno fatti dare un aumento!>>; la semplice soluzione al dilemma dentro cui ci ritroviamo sta tutta qui in fin dei conti.
Non devi necessariamente mettere una bomba alla questura, che se però lo vuoi fare hai tutta la mia stima; basta che ti ribelli a quello stronzo del tuo capo che non riesce a concepire quanto la tua manodopera sia essenziale alla riuscita dell’impresa tanto se non più della sua.

Interpretazione stellare di Gian Maria Volonté, che si rivolterebbe nella tomba se sapesse che a Roma alcuni ex della galassia comunista, poi confluiti nel PD e compagnia cantante per farsi raccomandare il posto fisso, hanno aperto una scuola di cinema col suo nome sperando di lavarsi la coscienza mentre c’hanno piazzato dentro una cooperativa popolata di ex compagni con la speranza di farli entrare poi in pianta stabile nella pubblica amministrazione con la prossima infornata di assunzioni politiche.

Fate schifo al cazzo e ve la faremo pagare cara per l’ignavia dimostrata.

VOTO:
5 Smeriglio

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) voto

Titolo inglese: Investigation of a Citizen Above Suspicion
Regia: Elio Petri
Anno: 1970
Durata: 1 ora e 55 minuti
Compralo: https://amzn.to/3o6sMQD

Pappa e ciccia (1983)

Due episodi.

Nel primo abbiamo Nicola Calore, un pugliese emigrato in Svizzera che ha mentito ai paesani sulle sue reali condizioni miserrime e quindi quando sua nipote puppona viene a trovarlo, deve inventarsi ‘sto mondo e quell’altro per non svelare il castello di carte dentro il quale vive.

Nel secondo episodio siamo di fronte al tipico susseguirsi di catastrofiche disavventure dell’italiano medio che viene truffato dal business dei viaggi organizzati; tra aerei fatiscenti e una puppona da sedurre col classico tuffo in piscina, lo sgorbio dovrà fare i conti con l’inesistenza di qualsivoglia dio.

Pappa e ciccia (1983)

Doppietta filmica come non ne vedevo da tempo messa in scena da due commedianti di prima fila come Lino Banfi e Paolo Villaggio.

Decisamente tra i meno conosciuti di entrambi gli attori, questa pellicola si distingue unicamente per una gag con i giornali e la presenza di Milly Carlucci con un culo da cavalleggeri.

Battute pessime e umorismo da cinema muto fanno quel che possono per elevare il film a crimine contro l’umanità, ma purtroppo rimaniamo dalle parti di Sabra e Shatila, crimine impunito perpetrato con la complicità dell’esercito israeliano.

VOTO:
2 Milly

Pappa e ciccia (1983) voto

Titolo inglese: Thick As Thieves
Regia: Neri Parenti
Anno: 1983
Durata: 1 ora e 32 minuti
Compralo: https://amzn.to/3mGo8Jx

Squid Game (2021)

Un poveraccio col vizietto del gioco d’azzardo ha la vita rovinata dopo i disordini in fabbrica repressi nella violenza dai cani del potere liberista e oggi si ritrova a campare di lavoretti dormendo a casa della madre zoppa.

Un dramma, ovvero la normale esistenza del sotto-proletariato urbano contemporaneo, ovvero il ragionato prodotto del sistema liberal-liberista sostenuto da gentaglia buona solo per la frattaglia tipo Carlo Calenda, quel Carlo Calenda che parla sempre come se fosse stocazzo quando invece riesce ad abbindolare solo i poveri cristi intimoriti dalla sua sicumera facilmente cancellabile con un bel papagno piantato in pieno muso.

Seong Gi-hun, questo il nome del poveraccio disoccupato e divorziato, viene avvicinato da un’organizzazione criminale finanziata da miliardari annoiati che non pagano le dovute tasse allo stato che li ha tenuti in vita troppo a lungo e si ritrova in un gioco più grande di lui, ovvero una gigantesca competizione ad eliminazioni cruente tipo Takeshi’s Castle, ovvero una corsa di cavalli umani su cui scommettere milioni di euro.

Squid Game (2021)

Parte benino, ma finisce nell’idiozia più completa con l’occhiolino alla seconda stagione all’insegna dei capelli pinkissimi.

Io davvero non mi capacito di quanto la massa non abbia una cultura che vada al di fuori di Orietta Berti e quindi non riesca ad accorgersi, di fronte a questo Squid Game, di tutte le scopiazzature influenze che l’hanno prodotto: dal citato Takeshi’s Castle a Saw (con tanto di finale) passando per tutti i manga giapponesi tipo Battle Royale o As the Gods Will.

Simpatico, sì; un po’ di cacarella in alcuni punti, certo; ma non è il miglior sceneggiato su Netflix, tantomeno il migliore mai visto.

VOTO:
3 papagni

Squid Game (2021) voto

Titolo originale: 오징어 게임
Regia: Hwang Dong-hyuk
Anno: 2021
Durata: 9 episodi da 1 ora

Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel (2021)

Nel febbraio 2013 una giovane canadese era in visita nella ridente e tragica cittadina di Los Angeles; un tipico viaggio giovanile carico di belle speranze per un futuro pieno di sorprese.

Purtroppo per lei, il suo futuro si sarebbe riproposto a breve e in maniera tragica, come una zuppa di cavolfiore succhiata poco prima di una cavalcata su un ciuchino zoppo, per poi cristallizzarsi in uno dei tanti falsi misteri che girano per l’internet.

Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel (2021)

Mini serie tutta incentrata sulla “misteriosa” scomparsa di Elisa Lam all’interno del famigerato Cecil Hotel di Los Angeles, grande luogo di spaccio e prostituzione che sorge nella parte più povera e disperata della città, il cosiddetto “Skid Row” dove si trova anche l’immaginario negozio di piante di Little Shop of Horrors.

Allora: per intrattenere, intrattiene; ma non aspettatevi niente di trascendentale visto che il “mistero” lo si può intuire dopo 20 minuti.

Quello che invece non mi aspettavo è il colpo di coda finale sulle condizioni dei reietti della società, dimenticati e sommersi dall’ingiustizia di una piramide sociale fondata sulla prevaricazione del più forte sul più debole, del codardo sul generoso, del liberista sul socialista.

VOTO:
2 liberisti e mezzo

Sulla scena del delitto: Il caso del Cecil Hotel (2021) voto

Titolo originale: Crime Scene: The Vanishing at the Cecil Hotel
Regia: Joe Berlinger
Anno: 2021
Durata: 4 episodi da 1 ora circa

Un uomo da marciapiede (1969)

Il texano Joe Buck è convinto che la sua vita cambierà di botto una volta messo piede a New York.
Cambierà perché Joe Buck ha in testa di diventare un battone da marciapiede tanto bono da far girare la capa a tutte le ricche signore con cagnetto della grande mela.

Purtroppo la realtà dei fatti sarà ben diversa e il suo provinciale atteggiamento, la sua ignoranza da Candido e il suo completo da cowboy frocio lo trascineranno sempre più in basso nella spietata piramide sociale liberista fino a che non verrà preso sotto l’ala protettrice (si fa per dire) di Enrico Salvatore Rizzo, uno zoppicante truffatore da due soldi che vive alla giornata tossendo via la sua anima per i vicoli di una metropoli da incubo.

Un uomo da marciapiede (1969)

Capolavoro assoluto uscito a cavallo tra il decennio del boom economico e quello della contestazione sociale contro il sistema capitalista; un momento di grande risveglio delle coscienze popolari contro le false promesse dei liberisti che volevano convincere tutti della bontà del libero mercato che altro non è se non quel mostro famelico che sbrana e schiaccia tutto e tutti pur di garantire la sua esistenza… e solo quella.

Il film è anche una pietra scagliata in bocca a quegli artistoidi superficiali come Andy Warhol che, totalmente privi di un contenuto che abbia la benché minima rilevanza sociale, avevano e hanno tutt’oggi riempito ogni nicchia artistica evolutiva con le loro opere inutili e che per questo dovrebbero essere mandati nei campi di rieducazione.

E il personaggio di Joe Buck, interpretato da un giovane esordiente John Voight, rappresenta quella sana e genuina ignoranza americana che è stata via via stuprata a rotella dai porci capitalisti che si sono succeduti lungo i 250 anni d’indipendenza americana trasformando una giovane nazione dalla fica stretta nella famosa super potenza terrorista che minaccia continuamente la pace mondiale con le sue mostruose labbra sbrindellate.

VOTO:
5 rotelle

Un uomo da marciapiede (1969) voto

Titolo originale: Midnight Cowboy
Regia: John Schlesinger
Anno: 1969
Durata: 113 minuti
Compralo: https://amzn.to/3l3yiU9

A Classic Horror Story (2021)

4 teste di cazzo degne della morte più cruenta e un rispettabile dottore finito in miseria per colpa d’uno sceneggiatore così politicamente corretto da meritare l’invito al raduno annuale delle fiche di legno sul lago di Como, si ritrovano assieme per il viaggio della vita morte in quel di Calabria perché vogliono risparmiare 10 euro sul prezzo di un treno intercity; una scelta giudia che costerà loro lingua, occhi e orecchie.

A Classic Horror Story (2021)

Come il titolo suggerisce, l’intenzione non era certo quella di creare qualcosa d’originale, ma semplicemente far venire nelle mutande quei malcapitati che si fossero avventurati nella visione per poi dar loro una forte mazzata sui coglioni mentre il sipario si apriva sulle facce stupefatte delle loro madri cagne.
Alla faccia degli scemotti che perseverano nel mantenere l’emozione della prima parte anche dopo il completo stravolgimento narrativo.

Quindi parliamoci chiaro: la pellicola non è niente di scandalosamente eccezionale, ma fa bene il suo lavoro, facendoti prima accanire di bestemmie contro le scelte idiote dei protagonisti per poi farti accanire di sorrisi come non ci fosse un Domani (giornale liberal-liberista sciacqua palle che cola bava e merda da tutti i pori).
Non bellissimo, ma godibilissimo; non Minofrio, Mismizzu e Misgarro, ma Osso, Mastrosso e Carcagnosso.

PS: ma chi mastrocazzo è Matilda Anna Ingrid Lutz?

VOTO:
3 scemotti e mezzo

A Classic Horror Story (2021) voto

Titolo italiano: Una classica storia dell’orrore
Regia: Roberto De Feo e Paolo Strippoli
Anno: 2021
Durata: 95 minuti

Supermen of Malegaon (2008)

Nell’orribile, ingiusta e crudele città indiana di Malegaon vivono quasi 500mila persone la cui unica colpa è essere stati cacati dalla loro madre in uno dei buchi di culo del mondo dal quale la fuoriuscita è cosa quanto mai impossibile.

Ecco che allora questa massa di persone abituate a vivere al limite della povertà più nera portando avanti la loro esistenza trascinandosi lungo strade polverose e affollate mentre una pipinara infinita di clacson e merda affoga i loro cenciosi sogni di fuga, ecco che ‘sti disperati figuri di una commedia patetica tentano la risalita morale grazie anche e soprattutto ad un’inaspettata industria cinematografica molto amatoriale che fa il verso, spesso in maniera comica, ai grandi film hollywoodiani e bollywoodiani.

Tra questi troviamo la storia del rifacimento di Superman in salsa basmati (come l’hanno titolato quei fottuti dei francesi); una riedizione a bassissimo costo del famoso supereroe americano, questa volta alle prese con l’industria del tabacco, l’inquinamento e le fogne a cielo aperto.

Supermen of Malegaon (2008)

Delizioso e brevissimo documentario che con la sua oretta buona di visione riesce a raccontare tutto il dramma umano di chi, emarginato dalle rivoluzioni celesti sopra cui viaggiano i pochi fortunati nati nel cosiddetto primo mondo, rimane ai bordi della strada a guardar passare tutti i treni di un futuro migliore fino a quando, arrivata la sera, non può che andare a gettarsi con una scarpa e una ciavatta dentro fosse comuni senza nome spazzate dal vento dell’indifferenza.

Una chicca.

VOTO:
4 checche

Supermen of Malegaon (2008) voto

Titolo francese: Superman basmati
Regia: Faiza Ahmad Khan
Anno: 2008
Durata: 66 minuti
Compralo: https://amzn.to/2UFPLXI

Guida perversa al cinema (2006)

In questo “prequel” di Guida perversa all’ideologia, il cocainomane Slavoj Zizek tira su col naso per due ore e mezza mentre t’inonda di concetti psico-filosofici senza soluzione di continuità sfruttando lo stesso schema del suo “sequel“, ovvero immergere il filosofo sloveno in alcune famose scene di altrettanto famosi film.

Un documentario/esperimento che, seppur molto lungo e non proprio masticabilissimo, risulta indubbiamente buono sia per chi è appassionato di cinema che per chi è appassionato di cocaina.

VOTO:
3 nasi e mezzo

Guida perversa al cinema (2006) voto

Titolo originale: The Pervert’s Guide to Cinema
Regia: Sophie Fiennes
Anno: 2006
Durata: 150 minuti
Compralo: https://amzn.to/3y8lQH0

Il Sorpasso (1962)

Bruno Cortona è uno spaccone quarantenne che, non volendo prendere possesso della propria fase adulta, bighelloneggia senza sosta tra un frenetico infantilismo da luna park e una tarda adolescenza porcellona.

Solo come un cane nella Roma desolata di ferragosto, Bruno muore dalla smania di esprimere corporalmente il futile ed egocentrico entusiasmo di un’Italia che viveva un boom economico capace di trasformare una società profondamente arretrata in un mostro a quattro ruote lanciato verso il baratro dell’incoscienza.

Vittima sacrificale di questo girone dantesco diventa, suo malgrado, Roberto Mariani; un giovane laureando in legge del nuovo e benestante quartiere della Balduina che non ha mai visto un pelo di fica e che sarà giocoforza trascinato sempre più dentro una pericolosissima spirale di maturazione.

Il Sorpasso (1962)

Celebre commedia all’italiana che, dietro una parvenza di spiritosaggine e spavalda cialtroneria, prende di petto l’orrore di un’Italia investita come un gatto in tangenziale da un fiume di soldi più o meno leciti e che, pur di agguantarne il più alto numero possibile, sarebbe stata disposta a vendere la madre, il nonno, la dentiera del nonno e pure tua sorella se fosse stato necessario.

Il bipolare Vittorio Gassman, che dà vita ad un omone tanto affabile in superficie quanto spaventoso sotto la crosta dorata, è la rappresentazione plastica dell’arrivismo imperante in quegli anni matti e sregolati e, come in un moderno e vampiresco Dorian Grey, vive e sopravvive succhiando la linfa vitale di chi lo circonda condannandolo a morte dopo averlo gettato nel fango come un cencio avvoltolato.

Un capolavoro.

VOTO:
4 Cenci e mezzo

Il Sorpasso (1962) voto

Titolo francese: Le Fanfaron
Regia: Dino Risi
Anno: 1962
Durata: 105 minuti
Compralo: https://amzn.to/3vDXNh5

I Am Here…. Now (2009)

Dopo aver abilmente hackerato il mondo intero nel grottesco film precedente, Neil Breen compie un passo ulteriore mettendoSi in scena come dio sceso in terra, letteralmente.

Ebbene sì, lui è un Gesù cibernetico dai piedi rugosi e senza un briciolo d’intelligenza; un creatore di mondi che, disgustato dalle sue creature, diventa uno spietato devastatore di civiltà.

I Am Here.... Now (2009)

Ma cosa volete che vi dica?

E’ un film assurdo girato senza permessi tra il deserto del Nevada, dove la mafia sotterra i cadaveri, e una Las Vegas senza pietà per i disabili, spinti a terra con violenza da immigrati greci a cui Neil Breen cava gli occhi.

Con sì e no 45 minuti di girato Neil ha voluto ricavare un’ora e mezza di tortura cinese riciclando le stesse inquadrature più e più volte con l’effetto di farmi uscire di capoccia in svariate occasioni.
E neanche la visione dei culi di un paio di battone da marciapiede ha potuto salvarmi dal proferire le mie care bestemmie.

VOTO:
1 marciapiede

I Am Here.... Now (2009) voto

Titolo russo: Я уже здесь
Regia: Neil Breen
Anno: 2009
Durata: 87 minuti

Ecotherapy Getaway Holiday (2014)

Durante una banale scampagnata organizzata, 7 donne vengono abbandonate nella foresta dalla loro pusillanime guida che avrebbe dovuto condurle verso delle micragnose cascate.

Le signore però non rinunceranno alla visione della fica da vicino e, dopo aver dormito sotto le stelle, essersi cibate di serpenti ed aver confessato le reciproche tristezze, giungeranno ad una migliore consapevolezza di sé stesse.

Ecotherapy Getaway Holiday (2014)

Film vagamente femminista, considerando la cultura profondamente maschilista che domina il Giappone, ma che a conti fatti non è altro che una spolverata di storie di donne al bivio che si lamentano di non avere un uomo.

Non passa quindi il Bechdel test.

VOTO:
3 Alison Bechdel

Ecotherapy Getaway Holiday (2014) voto

Titolo originale: 滝を見にいく – Taki wo mini iku
Regia: Shuichi Okita
Anno: 2014
Durata: 88 minuti

Peace (2010)

Una compagnia di semi-volontariato si prende cura del trasporto di persone disabili, malate o semplicemente troppo anziane per muoversi indipendentemente.
C’è chi deve andare a comprare un paio di scarpe nuove perché quelle che ha le ha consumate a forza di strusciarle a terra per colpa di una paralisi, c’è chi vuole andare al parco e prendersi un semplice caffè e chi ancora ha la visita periodica dal dottore per controllare l’avanzamento del tumore polmonare che lo affligge.

Piccolo documentario girato a spalla e virante al minimalismo che, in un gioco di riflessi, segue le vicende di persone la cui vita è ai margini della società giapponese.
Quello che ne scaturisce è una profonda tristezza, sia per la condizione di estrema povertà economico-sociale alla quale tanti membri della società sono relegati e sia per la loro rassegnazione ad un destino scritto nella pietra di un cuore freddo come quello del Sol levante.

VOTO:
3 destiny’s child

Peace (2010) voto

Titolo polacco: Pokój
Regia: Kazuhiro Soda
Anno: 2010
Durata: 75 minuti