Seth Rogen e James Franco sono due comici americani (il primo canadese, il secondo statunitense) che da ormai 6 anni hanno stretto un sodalizio artistico piuttosto fruttuoso.
Apprezzati in Pineapple Express e This is the end, James e Seth formano una coppia comica ben assortita: il primo nella parte del semplicione positivo e il secondo nella parte del cupo cinico realista.
Leggenda vuole che alla fine degli anni 2000 i due amici se ne uscirono con un’idea per un film: l’uccisione di un dittatore da parte di un giornalista straniero… e quale miglior dittatore se non quello nord coreano?

The Interview parla proprio di questo: il tentato assassinio di Kim Jong Un da parte di un giornalista gossipparo della tv americana con annesse peripezie acrobatiche e sacrifici eroici.
Il film è salito alla ribalta delle cronache per il cyber attacco di un gruppo anonimo di hackers ai database della Sony, che controlla la Columbia Pictures, casa distributrice di questo film; l’attacco ha sottratto parecchio materiale confidenziale alla Sony e quattro film ancora inediti.
Molti hanno detto che l’attacco è stato portato avanti dalla Corea del nord in risposta al contenuto satirico dell’opera in questione, e il governo americano ha abbracciato totalmente questa ipotesi.
La Corea dal canto suo ha negato l’attacco, ma ha confermato la sua profonda incazzatura verso una pellicola che a suo dire è assolutamente oltraggiosa verso un capo di stato straniero.
Ora, i coreani hanno ovviamente ragione ad incazzarsi perché Kim Jong Un ci fa una figura barbina, ma chi come me è per la libertà di parola non può che esserne contento.
Il vero conflitto qui però è ovviamente un altro: il continuo attacco mediatico degli USA verso la Nord Corea.
Per inquadrare meglio la questione però, facciamo un passo indietro:
Alla fine della seconda guerra mondiale, i giapponesi furono cacciati a calci in culo dalla penisola coreana che avevano colonizzato nel 1910; presto il territorio fu diviso in due, con il nord controllato dall’Unione Sovietica e il sud dagli Stati Uniti.
La guerra civile coreana del 1950 è stata il primo conflitto della guerra fredda, che era una situazione di stallo politico delle due principali potenze economiche uscite vittoriose dal secondo conflitto mondiale; la guerra fredda fu l’inaugurazione di un nuovo modo di condurre i rapporti diplomatici tra USA e URSS: far combattere altre popolazioni al loro posto, lasciando quindi a queste il fardello della perdita di vite umane.
Dal 1953, anno della fine della guerra di Corea, le due nazioni gemelle sono rimaste su piani ostili, talmente ostili che il confine nord-sud è il più militarizzato dell’intero pianeta.
Da allora la Corea del nord è stata governata da una dinastia di dittatori fascistoidi (ricordiamo che ogni riferimento al comunismo è stato cancellato dalla costituzione nel 2009) e non passa giorno senza che gli USA commentino sulla durezza del regime di Pyongyang, sull’atrocità delle esecuzioni capitali, sulla repressione della libertà di parola e via dicendo.
Se da un lato non c’è alcun dubbio che la Corea del nord sia una dittatura e che vivere in quel paese sia indubbiamente una sfiga colossale, dall’altro non si può non sottolineare come il resto del mondo non sia in alcuna posizione superiore per poter giudicare: la pena di morte esiste in molte nazioni, tra cui gli USA, ed è risaputo che le minoranze etniche e gli strati sociali più poveri sono statisticamente più condannati degli altri; il tasso di povertà nelle nazioni cosiddette ricche è molto alto, comparabilmente più alto della Corea del nord, che dal canto suo ha un’aspettativa di vita alta (69 anni) per un paese nelle sue condizioni economiche e gode di un’alfabetizzazione praticamente totale della popolazione.
No, il punto qui è il solito: c’è una nazione arrogante e presuntuosa, per via della sua superiorità militare, che si sente in diritto di giudicare il resto del mondo secondo il proprio metro di giudizio.
Ovviamente chi ha sfogliato anche solo una volta un qualsiasi manuale di antropologia sa che da almeno 100 anni gli studiosi di culture e civiltà non si azzardano più a puntare i loro ditini saccenti come si amava fare nella “bella” epoca coloniale inglese, quando sua maestà la regina andava in giro a civilizzare i preistorici negri con moschetti e cavalleria.
Anche se possono sembrarci assurde o primitive o ingiuste, le civiltà vanno lasciate evolvere secondo il loro ritmo e le loro esigenze interne e non si può arrivare con i bombardieri e i carri armati per imporre uno stile di vita totalmente avulso alla loro tradizione.
Oggi certo i modi sono cambiati: le guerre non si fanno più direttamente, ma si usano altre nazioni con governi fantoccio per spingere le proprie agende politiche all’estero; altre volte invece si usano i film come The Interview, che è chiaramente un film propaganda a favore degli Stati Uniti, con tutto il suo carico di satira verso un capo di governo straniero rappresentato come un frocio represso infantile e bugiardo.
E come volete che la prendano in Corea? Che vi mandino baci e abbracci?!
Ma è ovvio che la reazione sia di sdegno e incazzatura suprema.
Poi certo, ‘sti gran cazzi: il film lo si fa uscire uguale e non si ascoltano quelli che minacciano ripercussioni verso i cinema che proiettano la pellicola.
L’unica cosa però che mi piacerebbe venisse adottata è la coerenza: la prossima volta che il Vaticano si permette di incazzarsi e usare i mezzi di comunicazione di massa per tuonare verso questa o quell’altra opera artistica per il rispetto che si deve verso Gesù e la Madonna maremma maiala, la risposta unanime del cosiddetto mondo civile dovrebbe essere:
Ma vaffanculo!
PS: The Interview è un buon film e fa ridere; certo, non è la miglior commedia che abbia mai visto, ma è sicuramente meglio di 40 anni vergine che molti invece dicono essere migliore.
VOTO:
4 vergini
Titolo originale: The Interview
Regia: Evan Goldberg, Seth Rogen
Anno: 2014
Durata: 112 minuti
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