Alla fine del 19esimo secolo gli Stati Uniti d’America erano ancora un paese in fieri colmo di mistero e timore; un paese molto difficile da vivere e per questo popolato per buona parte dai due estremi dell’essere umano: i poveri determinati cristi che tentavano, contro ogni pronostico, di costruire qualcosa dai sassi e la polvere a disposizione e chi invece no.
Qui, a differenza dei classici film manichei coi buoni e i cattivi, vengono tralasciati gli uomini qualunque a ruoli marginali e macchiettistici (come il pianista del saloon) e sono invece narrate vicende che mettono in contrapposizione persone prese solo dal gruppo dei poveri determinati cristi: briganti nomadi che vanno avanti sgozzando viandanti appisolati sotto il Sole rovente della steppa centro americana, baffuti sceriffi ligi al dovere che cenano con una misera zuppa bollita sopra la stufa dell’ufficio, cowboy dall’egocentrismo romantico che rischiano la vita per pure formalità, infermiere stracolme di un femminismo applicato e non professato da immaginari scranni, miserabili vecchi vedovi che in mancanza di una pensione di cittadinanza sono costretti a lavorare e rischiare la pelle per due soldi e primordiali clan di bestiali nativi americani pronti a tutto pur di sopravvivere tra sterpaglia e canyons.
Ognuno di questi personaggi si ritroverà sullo stesso immaginario sentiero e dovrà adattare andamento e postura per continuare la propria camminata nella valle della morte che chiamiamo vita.
Meraviglioso western che riesce a mischiare orrore, dramma e commedia in un cocktail dal forte sapore artistico senza però risultare stucchevole.
Questa piccola e appassionante storia del rapimento di una donzella da parte di un gruppo di misteriosi trogloditi e dell’immediato tentativo di salvataggio da parte di quattro uomini della frontiera americana assume le connotazioni dell’epica grazie ad estenuanti trottate per le sterminate praterie americane, splendidamente sottolineate dalle classiche panoramiche in cinemascope (qui giustificatissimo, non come in Perfetti sconosciuti) e da una colonna musicale che spazia dallo sperimentalismo alla The Shining fino alla simpatica canzone sui titoli di coda.
Tra interpretazioni ai massimi livelli e una tensione narrativa spessa come l’Appennino Abruzzese, la cosa migliore del film risulta essere però l’encomiabile perseveranza nel dipingere personaggi realistici e pieni di difetti, come tutti noi, che si trovano loro malgrado alle prese con avvenimenti più grandi di loro e, di riffa e di raffa, navigando tra oscure acque rigate di sangue, tentano l’impossibile facendolo apparire semplicemente come logico.
In tre parole: capolavoro parzialmente incompreso.
VOTO:
5 bone tomahawk
Titolo giapponese: Tomahawk: Gunmen vs. Cannibal Tribe
Regia: S. Craig Zahler
Anno: 2015
Durata: 132 minuti
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