E’ l’estate del ’66, una notte al faro, e Jep Gambardella vede La Grande bellezza, ovvero le tette meravigliose di una sua coetanea.
Cercherà invano per il resto della sua vita di ripetere quell’esperienza estatica, giusto mezzo tra sacro e profano, in una Roma fatta della summa sbilenca di feste, sballo, chiese, papponi, droghe, vino, puttane, figli, statue, matti, cazzi, nane, abbacchi, sante, giraffe, teatri, amici, funerali, libri, nichilismo, chiavi, spiritualità, amori, latitanti, quadri, polacche, segreti, strade, notti, bambine, nobili ed immense, immense, tristezze.

La grande bellezza è stato giustamente paragonato alla Dolce vita; come in quel film, il protagonista è un giornalista disilluso da una Roma simbolo di una decadenza culturale e morale, ma mentre nel capolavoro di Fellini Marcello Rubini non si riprende più dal coma intellettuale a cui si è condannato, qui Geppino Gambardella trova nuova vena creativa dopo un incontro con una santa sdentata e centenaria che parla sì agli animali ma non ai giornalisti.

Questo di Paolo Sorrentino è un solido film.
Si capisce bene come molti critici si siano spazientiti di fronte a questa roboante e un po’ lunga favola/incubo sulla nostalgia dei tempi andati e dei luoghi passati, ma francamente in giro si produce molta merda spacciandola per arte somma, quindi facciamo meno gli schizzignosi e applaudiamo se qualcuno in Italia cerca ancora di fare un film che non sia una commedia o un film sui (falsi) compagni.
Qui l’estetica nuda e pura la fa da padrone e la storia di conseguenza (come chiede il tessuto narrativo stesso) deve fare un passo indietro per lasciare il passo a una serie infinita di carrellate e dolly su una città che decade dal 476 dopo cristo.
VOTO:
4 cristi
Titolo originale: La grande bellezza
Regia: Paolo Sorrentino
Anno: 2013
Durata: 142 minuti
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