L’apparente serenità di una giovane coppia americana viene improvvisamente distrutta con la morte dell’uomo in un incidente stradale davanti casa.
Una casa che diventerà, per il fantasma del deceduto, il luogo di perpetua presenza fino a che non verrà risolto il motivo della sua non-dipartita.
Pescando a piene mani dallo stile del cinema minimalista indipendente e all’immaginario classico degli spiriti con questioni terrene irrisolte, questa piccola e piacevolissima opera è stata per me una bella riflessione sull’insensatezza ultima dell’immanente nell’ottica di un universo infinito.
Partendo da una personale esperienza di morboso attaccamento domiciliare e da una paura per una possibile catastrofe mondiale che porti all’estinzione il genere umano, il regista del remake di Elliot, il drago invisibile porta avanti il discorso sull’intangibile elevandolo ad una sfera emotiva rarefatta ma non per questo meno emozionante di un rettile sputafuoco.
Tutto quello che facciamo per cercare di lasciare un segno del nostro passaggio su questa particella di polvere alla deriva nello spazio, dalla nona di Beethoven alle stronzate che postiamo su Facebook, è destinato a perdersi in saecula saeculorum, con tutto quello che ne consegue.
Il film non dà, e non cerca, una risposta a questo notorio dramma umano, ma piuttosto lo diluisce in eterne e apparentemente frivole inquadrature che in realtà ben veicolano il falso perdurare di un istante qual è la nostra breve esistenza.
Se non temete una scena con una donna che mangia una torta di mele per 5 minuti e 13 secondi, allora ve lo consiglio caldamente.
VOTO:
4 mele e mezza
Titolo originale: A Ghost Story
Regia: David Lowery
Anno: 2017
Durata: 92 minuti
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