Elio Perlman, un inquieto rampollo di una benestante famiglia ebrea italo-americana, trascorre le estati in una villona in quel del Cremasco assieme alla madre, al padre e alla servitù… perché la vita non è vita senza un paio di servi a renderti le giornate un interminabile sequenza di noie da cui trarre ispirazione per brutte poesie o passeggiate riflessive piene di dubbi.
Ma l’estate del 1983 sarà particolare per Elio perché la trascorrerà in quel del Cremasco assieme alla madre, al padre, alla servitù e ad un fascinoso studente del padre, professore di archeologia, che sconvolgerà le sue giornate fatte di brutte poesie e passeggiate riflessive aggiungendoci il pallino dell’amore per le figure maschili in ridicole pose plastiche che accomunerà padre, figlio e studente fascinoso.
A seguire, storia d’amore un po’ combattuta e parecchie panoramiche su un’Italia oramai scomparsa nel tempo saeculorum travolta dal rampantismo di soggetti che amavano la musica straniera, le Converse, le scopate in soffitta e le pesche mature, tipo i socialisti craxiani.
Pennellata d’innamoramento su tela alla modica cifra di 4 milioni di euro che va elogiata per molte cose meno che per la semi-classica storia d’amore omosessuale che invece lo ha posto all’attenzione del pubblico non troppo avvezzo ai baci gay.
Perché il fatto che il protagonista nutra o meno sentimenti per questo biondo di Riace cambia poco o nulla sulla resa narrativa e sull’impatto emotivo che riesce a suscitare (spoiler: altalenante, come le giornate estive in quel del Cremasco).
Il film infatti poteva benissimo vedere modificato il personaggio dello studentE in studentessA e tutto sarebbe rimasto più o meno com’era.
E questo è un bene perché, a mio modesto avviso, l’ossessione per la sottolineatura omoerotica non fa altro che distanziarlo dalla comune storia d’amore estivo (che poi altro non è) e che più o meno tutti hanno vissuto.
Per carità: girata bene, con pause e gusto estetico raffinato e con delle interpretazioni eccellenti, specialmente per l’attore che interpreta magistralmente l’adolescente con i dubbi sessuali, ma come impiantistica non siamo troppo distanti da Mignon è partita, pellicola gradevolissima ma che mi pare non abbia vinto l’Oscar.
Unica nota veramente eccellente è l’abbandono dell’immondo conflitto narrativo dualistico tipico della narrazione occidentale secondo cui le cose sono bianche o nere, buone o cattive; qui invece si può essere etero e gay o vittime e carnefici allo stesso tempo senza che il cervello dello spettatore scoppi in un clamoroso BUM.
VOTO:
3 craxiani e mezzo
Titolo originale: Call Me by Your Name
Regia: Luca Guadagnino
Anno: 2017
Durata: 132 minuti
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