Hank è un povero naufrago bloccato su una minuscola isola del Pacifico; vista l’impossibilità di un fuga e la più che reale prospettiva di una lenta morte per sete e fame, Hank ha deciso quindi di suicidarsi con una corda al collo.
Ad interrompere il suo tragico epilogo arriva però Manny, un cadavere ben vestito portato a riva dalle onde, che si rivelerà essere un gran compagno di avventure, un buon amico e un eccezionale tuttofare, da cui il titolo L’uomo coltellino svizzero.
Questo film è proprio strano: partendo dal presupposto assurdo di un cadavere semovente e portato avanti da una coppia d’attori in gran forma sul filo di una lama narrativa totalmente astrusa e chiaramente al servizio di una scelta stilistica volutamente stramba e per questo difficile da giudicare univocamente, Swiss Army Man è una favola simbolica il cui significato sembra sfuggire ogni volta lo si raggiunge con un dito.
Hank è pazzo? Dove ha passato gli ultimi mesi? Dove ha trovato il cadavere? Quanto del film è avvenuto esclusivamente nella sua mente e quanto invece ha un fondamento di verità?
Tutte domande che i due autori vogliono lo spettatore si ponga, e non importano le risposte; quello che conta è non essere passivi recettori di un’opera, ma essere fruitori e portatori stessi del senso ultimo… un po’ come lo stecchito Manny.
VOTO:
4 cadaveri ambulanti e mezzo
Titolo originale: Swiss Army Man
Regia: Daniel Kwan, Daniel Scheinert
Anno: 2016
Durata: 97 minuti
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