Il film può essere visto come una simpatica commedia con due o tre intrecci che si sviluppano grazie al filo conduttore, e cioè la cattura del riottoso toro indiano Durkya che porta scompiglio nel piccolo villaggio di Kusavde.
Oppure possiamo leggerlo più approfonditamente come l’ennesima rappresentazione dell’uomo contro la natura con la, seppur non originale, visione dell’essere umano come cieco annientatore della biodiversità.
Oppure ancora può essere un inconsueto film sulla libertà: il povero Durkya è uno spirito libero che non chiede altro se non di essere lasciato libero di pascolare per le sterminate valli dell’entroterra del Maharashtra (lo stato cui Mumbai fa da capitale) e a cui vengono addossate, per la sua fisica incapacità (se non anche la non-volontà) di controbattere, anche tutti gli errori e i difetti dei conformisti abitanti del villaggio.

Il toro è forse la più antica rappresenzazione della natura, la selvaggia possente madre che un po’ si teme ma che ci dà il pane quotidiano, e non risulta casuale quindi la scelta di affidare il ruolo di outsider, di ribelle, di libero pensatore al succitato Durkya, vero colosso taurino che incute riverenza (in India si sa che i bovini sono rispettati e adorati come divinità) e che allo stesso tempo fa da agnello sacrificale per le colpe umane.
Si sa che dio è creato a immagine e somiglianza dell’uomo e i poveri ignoranti abitanti del villaggio non infrangono la regola quando addossano all’ignaro Durkya ogni colpa, dai matrimoni falliti alla caduta delle stoviglie.
Infine, come ogni agnello sacrificale che si rispetti, arriva anche per lui l’ora dell’espiazione dei peccati; viene infatti chiamato a “risolvere” la questione una guardia forestale che, armata di fucile e giovane documentarista (metafora del film stesso), cercherà di far quadrare i conti del caos creatosi nell’apparente tranquillo villaggio…
…farà emergere invece le ombre che si vorrebbero nascondere.
3 He-Man