Breve percorso ricapitolativo sulla breve ma intensa storia del gruppo rivoluzionario marxista-leninista anni ’60/’70 conosciuto come “The Weathermen”, fazione (o sarebbe meglio chiamare “setta” per la sua natura segreta ed esclusiva) parecchio violenta e certamente bombarola distaccatasi senza poche contestazioni dal movimento studentesco americano SDS (Student for a Democratic Society) dell’università del Michigan.
Questi scalmanati con poca o punta cultura in testa e parecchia droga nelle vene (come si evince chiaramente dai discorsi pressapochisti e dalle interviste tra il circense e le sbattute di piedi adolescenziali rilasciate ai vari giornalisti durante quegli anni caldi) pensavano molto male che, siccome il loro governo usava violenza e morte verso popolazioni tipo quella vietnamita del nord o quella laotiana e opprimeva sistematicamente la minoranza nera statunitense, allora loro erano giustificati a portare la violenza in casa sotto forma di dinamite, non a caso il loro slogan era “Bring the War Home”.
Dopo qualche anno di clandestinità, una prolifica attività di detonaggio verso questo o quel luogo simbolo del potere (banche, statue, edifici governativi) ed il loro avvicinamento alla fase adulta (avere 30 anni e i figli a carico), i Metereologi alla macchia si sono infine consegnati uno ad uno alle autorità e, scampata la galera per i metodi illegali con cui l’FBI aveva raccolto molte prove a loro carico, sono poi tutti rientrati perfettamente nel sistema dal quale in realtà non si erano mai veramente distaccati, chi insegnando all’università e chi aprendosi un bar a New York.
Perché solo i veri coglioni proletari (che questi parolai dal grilletto facile pensavano di difendere) si fanno il culo una vita intera e alla fine rimangono a servire panini al fast food con la paga minima.
Se va bene.
Grossa delusione per un documentario che volevo vedere da oramai 5 anni; da quando cioè, molto distrattamente, mi era stato consigliato dal professore di film documentario alla scuola cinematografica indiana dove ho studiato, da vero privilegiato quale sono rispetto al carico di dolore e miseria che la stragrande maggioranza della popolazione mondiale porta in groppa silenziosamente ogni giorno.
A differenza però di questi sedicenti rivoluzionari con le famiglie ricche io ho imparato ben presto che l’unica cosa di cui si può esser certi (e solo nell’esatto momento in cui la si pronuncia) è la propria opinione; tanto meno è lecito professarsi leader della classe operaia perché si è letto una decina di libri scritti da altrettanti privilegiati bianchi europei (tanto per usare la stessa medicina di pretesa diversità culturale di cui si riempiono la bocca senza averne ben chiaro il vero motivo).
L’unico di questi adolescenti cresciuti tardi ad essersi reso conto della ridicola situazione pericolosa nella quale hanno allegramente sguazzato per una decina d’anni è quello che alla fine si è aperto un bar a New York, dimostrando anche nella pratica la sua pragmaticità e il suo materialismo, il quale ha perfettamente colto la fondamentale fallacia di tutti quelli che giungono per una via e per l’altra all’infantile convinzione di essere in missione speciale per la salvezza del genere umano, siano essi terroristi islamici o ridicoli bombaroli di De Andreiana memoria: il fine non giustifica mai i mezzi e per liberare gli oppressi non si può opprimere gli oppressori… perché il cambiamento sociale non è come sturare un lavandino, ma è un processo tortuoso, lungo e che deve coinvolgere tutti.
Il documentario resta molto interessante e ben fatto e, per chi come me riesce a distinguere tra opera ed autore, può essere anche una valido viatico verso un’importante discussione sulla logica, unica àncora di salvezza per la specie umana, così saldamente legata a sentimenti primitivi ed (evoluzionisticamente parlando) ampiamente inutili quali la fede (sia religiosa che politica) che altri non è se non un credere ciecamente in una direzione senza basarsi su fatti reali e senza essere passati attraverso un processo induttivo.
E se anche voi siete fan dell’Induzione non perdetevi il mio blog Palomar nel mondo, nel quale (esattamente come il Palomar di Calvino) cerco di dedurre conclusioni universali partendo da piccole realtà oggettive intorno a me.
VOTO:
3 piccole realtà oggettive e mezza
Titolo originale: The Weather Underground
Regia: Sam Green, Bill Siegel
Anno: 2002
Durata: 92 minuti
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