1 – “If we dig precious things from the land, we will invite disaster.”
2 – “Near the day of Purification, there will be cobwebs spun back and forth in the sky.”
3 – “A container of ashes might one day be thrown from the sky, which could burn the land and boil the oceans.”
Koyaanisqatsi significa “vita sbilanciata” nel linguaggio Hopi e, partendo e chiudendosi con le immagini di una missione spaziale finita molto male, in questo film ci viene raccontata la grande avventura umana: dalle viscere della terra, buie e tenebrose, affioriamo in superficie dove enormi macchine scavano incessantemente i materiali preziosi che hanno permesso lo sviluppo umano, uno sviluppo umano che sembra non conoscere limiti, che sembra moltiplicarsi senza fine in un mare di volti e corpi che si muovono o troppo velocemente o troppo lentamente per essere compresi, tutto questo in un vortice sempre più impetuoso che trasporta lo spettatore in un coma da sindrome di Stendhal per poi richiudersi su se stesso in un circolo perfetto fatto di sbiadite pitture parietali preistoriche che fungono da memento mori verso chi si scordi quanto l’essere umano sia solo una delle molteplici parti che compongono il complesso meccanismo terrestre.
Koyaanisqatsi è, a quanto mi risulta, un capostipite del genere e quindi gli si deve molto in termini di linguaggio cinematografico; privo completamente di dialoghi e totalmente sorretto dalle splendide musiche di Philip Glass (che secondo me dovrebbe musicare ogni film mai fatto), quest’opera d’arte, nata un po’ per caso dalla volontà del regista Godfrey Reggio e del cinematografo Ron Fricke di riprendere tutto ciò che fosse interessante da un punto di vista visivo fregandosene della storia, è un caleidoscopio assolutamente ipnotico di vita e morte a passo uno che non dovrebbe mancare sulla lista di ogni benedetto cinefilo che si rispetti.
VOTO:
5 (coppie di) cojoni scazzati
Titolo originale: Koyaanisqatsi
Regia: Godfrey Reggio
Anno: 1982
Durata: 86 minuti
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