E’ il 1823, i territori nord americani centrali sono stati da poco ceduti agli USA dalla Francia napoleonica in cambio di una ragguardevole somma di denaro e una cancellazione del debito estero, l’esercito americano ha da poco cominciato ad esplorare queste vaste lande abitate soltanto da nativi americani appartenenti a diverse tribù quali i Sioux o i Ree, e le carte in tavola ci sono tutte per l’inizio di un mito.
Hugh Glass, un esperto montanaro con un passato a stretto contatto con i nativi Pawnee e un amato figlio avuto da una delle loro donne, offre i suoi servigi per fare da apripista ad un gruppo di zoticoni fucilieri inglesi assetati di moneta facile; in seguito ad un attacco a sorpresa da parte di un manipolo di Ree, 10 sopravvissuti riescono a fuggire e tentano quindi la via del ritorno verso il loro accampamento, una roba tipo 300 chilometri distante.
Durante il rientro, Glass viene attaccato da un’orsa che, per difendere i suoi piccoli, aggredisce a morsi e zampate il povero montanaro il quale, nonostante la disparità fisica, riesce ad uccidere infine l’enorme bestia prima di svenire sotto il dolore lancinante delle profonde ferite che porta su torace, schiena e viso.
Trovato dal suo gruppo e dato per prossimo alla morte, viene comunque trasportato via grazie al rispetto guadagnatosi con il capitano Andrew Henry il quale ad un certo punto però, non potendolo tirare su per un dirupo molto scosceso, lo lascia insieme al figlio Hawk e un paio di soldati i quali, dietro promessa di lauto compenso, promettono di dargli degna sepoltura una volta abbia tirato le cuoia.
Quello che succede invece è che Fitzgerald, uno dei due fucilieri messi lì a guardia del moribondo, prima tenta di soffocare Glass, poi uccide il di lui figlio che sta tentando di salvarlo e infine, mentendo all’altro soldato su cosa sia accaduto, lascia il nostro eroe mezzo sepolto sotto pochi centimetri di terra gelida.
Sfortunatamente per lui però Glass non muore e giura tremenda vendetta sul cadavere del figlio.
Fantastico film contemplativo del messicano Iñárritu che, dopo il successo del precedente Birdman, torna alla carica con questo potentissimo calcio in faccia al rallentatore composto da una serie indescrivibile di piani sequenza su paesaggi mozzafiato entro i quali si muovono questi piccoli esseri fatti di sangue lacrime e speranza chiamati umani.
La bellezza delle inquadrature, splendidamente sottolineate da una colonna sonora minimalista ma non per questo trascurabile di Ryuichi Sakamoto e Alva Noto (7 punti a chi lo apprezza), è solo una parte della magia che questo film riesce ad evocare: boschi, fiumi, torrenti, orsi, neve, pellicce, sangue, lacrime, silenzi, affreschi, fuochi, bisonti, rocce, fango, fucili, scalpi, pennacchi, cavalli, stupri, bandiere, banchetti, fortini, dirupi, cascate… The Revenant è allo stesso tempo questo e tutt’altro.
Se qualcuno vedesse in questa vera e propria impresa omerica un non so che d’incredibile ed esagerato, sbaglierebbe perché l’intera cornice epica dissipa ogni dubbio a riguardo: questa non è solo una storia di un uomo che, fatto a brandelli da un orso di 200 chili, percorre 300 chilometri in pieno inverno centr’americano per fare lo scalpo all’assassino di suo figlio; questo è un classico del genere Uomo vs Natura, un viaggio semi-documentaristico per le foreste sconosciute di un pianeta chiamato Terra viste con l’occhio estatico di chi sa lasciarsi prendere la pancia dall’immagine notturna di due uomini che si cibano voracemente di un bisonte a malapena rischiarati da un fuoco vacillante come i loro destini appesi al filo di Arianna dentro il dedalo buio delle loro brevi esistenze.
PS: Leonardo DiCaprio regala un’ottima (ed esagerata) interpretazione, ma ad essere sinceri Tom Hardy gli caca in testa per quanto è bravo.
VOTO:
5 cacate in testa
Titolo originale: The Revenant
Regia: Alejandro González Iñárritu
Anno: 2015
Durata: 156 minuti
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